You wanted the bike

prodi in biciVentiquattr’ore.
Berlusconi già parla di campagna elettorale, e c’è già chi paventa un Berlusconi tris (e stavolta non gli si potrà neanche scrivere “Berlusconi Bis-chero, come a suo tempo al Franchi); e Prodi? Prodi ha detto che si farà da parte. Senza acredine, speriamo.
Corrado ieri ci ha raccontato di avere il “sospetto che in fondo qualcuno di noi sente una specie di senso di liberazione”.

Confesso che, io, questo senso di liberazione un po’ ce l’ho avuto. Non che sperassi nella caduta; anzi, quando a Radio Radicale ho sentito «Cusumano sì», ho anche pensato «dài, speriamo». Però.

Però questo governo (già la parola è fuori luogo) era stato inane. Questo frustrava: non che avesse fatto cose sbagliate (come detto dalla propaganda destrorsa), ma che semplicemente non avesse fatto nulla. E cioè che per ogni argomento, ogni provvedimento, ogni tentativo di tirare fuori qualcosa, una legge, un decreto… un’idea(!), c’era sempre la scusa della maggioranza ingovernabile, del senato immobilizzato, dei veti di Binetti o Turigliatto. E della legge elettorale porcata.

Ora, messa da parte in un attimo la questione della legge elettorale: certo che era una porcata, ma senza di quella non sareste andati al governo, non mi è chiaro per quale ragione il fatto che il governo Prodi fosse stato votato da un numero non sufficiente di persone da garantire una maggioranza stabile, diventasse surrettiziamente un alibi e una giustificazione di tutto.
Ehi, nessuno vi ha obbligato ad allearvi con Mastella per governare. Come se arrivare al governo fosse un punto di arrivo, un fine e non un mezzo.

Ecco, io non penso che chi non fa non falla. Anzi, penso che spesso il non fare è peggio del fare male.

Contro i perpetri

Casini ha appena detto per la seconda volta in 5 secondi ‘perpetrato’ quando voleva chiaramente dire ‘perpetuato’. Due su due, significa che non la sa proprio la differenza.

Sono molto irritato, ora faccio una bella scenata: e così darò la colpa al fatto di vedere Porta a Porta, invece che.

Che soffereeeenza: le parole sono importaaanti!

Il titolare…

parentesi.JPG…del presente blog – intanto – e nel buio degli uffici, e nella monotonia delle scartoffie, e nell’oleatura dei gangli gerarchici, è diventato l’ufficialissimo titolista e immaginista dei Mille: quando errando per locande e osterie uditere favella di cotanti capolavori, sappiatelo, sono opera mia.
Di seguito, il discorso d’ascesa alla carica scrittomi da un assai celebrei ghostwriter:

Ringrazio il coordinatore Francesco Costa per il suo invito che accolgo volentieri, assumendo così l’incarico ufficiale di titolista e immaginista per il blog dei Mille.
In questo momento il mio primo pensiero va ai miei cari e a tutti quelli che mi sono stati vicini in questa mia esperienza nei Mille. A loro dedico questo importante risultato, la cui importanza è tale da renderlo sia un punto di partenza per la mia carriera politica che, anche, un punto di arrivo mica male. Sia chiaro: sarò il titolista e l’immaginista di tutti, e non solo di chi ha voluto che io ricoprissi questo incarico.
Mi fermo qui, avrei tante altre cose da dire ma – come spesso accade in momenti come questo – la commozione ha la meglio. Grazie a tutti per la vostra fiducia, viva l’Italia, viva la Repubblica, viva il Corriere.

Sì noti la chiusa con un gioco di parole così infimo da essere apprezzato dal titolare, qui.

Rispondere in coscienza

jiminey-cricket-722558.jpgLeggere questa ulteriore stroncatura di Beppe Grillo mi ha fatto venire alla mente alcune riflessioni collaterali, che metto qui in piazza: nel constatare e nell’avere sempre nuove prove che Grillo sia uno di loro, ovvero un fenomeno finto, che tradisce la buona fede dei suoi fan (non sempre, buona fede), proviamo una sinuosa linea di piacere.

A ogni intervista rifiutata, rivelazione sui fini di lucro del suo blog, mancata risposta a civili obiezioni, autoriduzione a luogo comune, palesamento della sua indole reazionaria, o – appunto – dimostrazione della sua plastica strategia dell’isolamento, oltrepassiamo spesso la giusta considerazione che un vaffanculo non sia la risposta, andando a strusciare pericolosamente l’idea che gli altri “sono tutti uguali”, anche i sedicenti campioni dell’Italia pulita.

Parlo per me principalmente, ma parlo anche al plurale, perché mi sembra di aver intravisto un atteggiamento simile in molti di coloro che mi hanno manifestato le stesse perplessità nei riguardi del comico genovese, e con cui è come se avessi fatto schieramento (ecco, appunto).
Per continuare a cambiare qualcosa, e fare sì che non ci siano campioni dell’Italia pulita, ma un’Italia pulita e basta, bisognerebbe anche – oltre a molto e ben altro, certo – toglierci queste pigrizie ideologiche.
Probabilmente ho sbagliato quando ho detto che delle volte bisogna armarsi della stessa dietrologia, per smascherarlo.

Che importa se non è Beppe Grillo a scrivere il suo blog, ma un’azienda? Che importa se la Casaleggio Associati fa del tandem Grillo-Di Pietro una chiara macchina del profitto? E che importa se Beppe Grillo ha la sua condanna per omicidio colposo, e vagheggia di fedina penale linda?

Questi sono argomenti melliflui, più propriamente non sono argomenti, non è sostanza. Sono obiezioni che, da una parte stuzzicano quell’insano moto alla compiacenza laddove gli altri siano peggiori di noi, e dall’altra sembrano darci un credito di onestà da spendere per continuare a essere un po’ migliori degli altri, accontentandoci di questo.

È come se facessimo i Beppe Grillo con Beppe Grillo, o in altre parole i Beppe Grillo con noi stessi.

«…ho appena dimostrato che niente è dimostrabile…»

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Oggi sono passato al’Università e c’erano vari striscioni dei cosiddetti collettivi studenteschi contro la venuta del Papa alla Sapienza; uno in particolare mi ha dato il senso – recitava: “Il Vaticano è uno stato senza libertà di parola, non possiamo far parlare il capo di uno stato così”. La quadratura del cerchio.

Ora, si può discutere dell’opportunità dell’invito, ma quando si fanno le barricate per impedire a qualcuno di parlare – molto, molto banalmente – ho sempre un fastidio di pancia. Oltre a essere un principio da monarchia assoluta.

The tiny mo

Ebbene sì, è colpa mia.

Pensavo di aver provato il massimo della comunione cosmica fra calcio e politica venerdì scorso, quando, gratificato dall’essere rimasto alzato fino alle 5 per vedere tutti i risultati, andavo per la casa agitando il pugno e dicendo “vai Iowa, vai”. Come un 2-1 in trasferta all’ultimo minuto, dopo essere stato in svantaggio.

Ma pensavo male, ed è bastato il secondo round per capirlo: ora ho provato il massimo della comunione cosmica. La balsana idea di andare a dormire prima ha sortito le inevitabili conseguenze. Ecco – mi son svegliato pensando – è colpa mia, è tutta colpa mia…

Su calcio e scaramanzia c’è sempre il post definitivo (anche fra gli scritti altrui).

Tenerlo in considerazione

Dico la mia sull’argomento caldo: innanzitutto penso che Matteo Bordone abbia ragione quando spiega che Moratoria non è una parola azzeccata, e anche col resto che dice. Penso che abbia torto chi accusa Ferrara di aver voluto tirare in ballo la 194 in modo surrettizio (e anche se fosse, chissene); se sostenesse la modifica della 194, farebbe una cosa semplice: lo direbbe.
E invece ha più volte detto il contrario, deludendo – anche – molti del suo novello schieramento.
Poi – peggio di quelli che è in gioco il corpo della donna (il corpo delle donne è in gioco in altri luoghi, spesso ignorati da chi ora s’indigna) ci sono solo quelli che “non c’è ombra di dubbio che la vita cominci con l’embrione”. Ora, io non penso che cominci con l’embrione, ma ho molti dubbi al riguardo, e un’unica certezza: non si può dire “senza ombra di dubbio”.
È anche un po’ come dire che un bambino diventa adulto a 18 anni: e a 8 anni è la stessa cosa che a 14? beh no, però un giorno la patente bisogna dargliela.
Considero la legge attualmente in vigore un ottimo dispositivo, come in genere tutte le cose che mirino alla riduzione del danno; gioca però soltanto al paradosso chi dice che la 194 riduce il numero gli aborti. Ovviamente è un discorso ridicolo: qualche decennio fa in Germania ci fu un boom demografico, insieme a una possente migrazione di cicogne. Continuo tuttavia a pensare che non siano le cicogne a portare i bambini.
Anzi, sarebbe anche un pericoloso argomento, perché quasi sottintenderebbe che qualora gli aborti aumentassero (come è ovvio che un giorno o l’altro in un luogo o l’altro succeda), questo toglierebbe legittimità alla norma.
Quello che la 194 ha ridotto sono i bastoni infilati negli uteri, e – per quel che mi riguarda – questo è un argomento pigliatutto.

Per tante ragioni culturali/sociali che sappiamo tutti, fra cui un tasso di natalità bassissimo – per fortuna – dal ’78 si sono ridotti anche gli aborti, con un pericoloso anti-dato negli immigrati.
Eh sì, per fortuna. Cerchiamo di ridurre insieme il numero degli aborti, questo mi sembra l’appello di Ferrara: da una parte un tentativo di parlare alla coscienza di ogni donna (e stavolta non ha introdotto crudeltà argomentativa), dall’altro una richiesta di applicazione totale della legge 194.
Io ho paura dell’applicazione totale, ho paura delle agguerrite truppe dei movimenti per la vita, figuriamoci quanta ne ha una ragazza con una condizione psicologica inevitabilmente precaria.
Sostegno, dialogo, anche qualche invito, ma non sensi di colpa (che fra l’altro, se insenati, rimarrebbero vita natural durante per il solo fatto che la futura madre abbia pensato all’aborto), e soprattutto: «Vuole vedere la signora B per parlare della sua condizione?» «No». Se è no, è no, inappellabile.

Ricopio qui una parte della lettera (in archivio, 29 dicembre, pagina 3, in pdf)che Giovanni Lindo Ferretti ha scritto a Ferrara all’indomani dell’annuncio della “dieta liquida”:

A proposito dell’aborto sottoscrivo ogni sua parola, ogni considerazione, ne percepisco la tensione. È una questione privata, anche. Quando mio padre morì, d’improvviso, e mia madre si trovò gravida di nuova vita, qualcuno, per buoni sentimenti tra cui la sua salute psicofisica, il rischio per la salute del nascituro, la situazione economica più che precaria, le consigliò di abortire. Qualcuno per meno nobili sentimenti di cui uno coercitivo: – non si deve è peccato mortale – si raccomandò che non lo facesse. Molti le mostrarono compassione. Mia nonna condivise la sua pena e sono nato io. Abortire è uccidere. Un’uccisione di cui non saprei commisurare la pena. Voglio pensare che avrei perdonato mia madre, nel caso. Non vorrei mai, per questo motivo, vedere una donna, che coadiuva il Creatore nel generare la vita, in tribunale tra avvocati e codicilli, ma considerare l’aborto un diritto sanitario mutuabile, questa è la realtà, comporta organizzazione e ottimizzazione scientifica burocratica economica di un crimine consumato quotidianamente nella rispettabilità del sistema sanitario pubblico e la cui colpa ricade sull’intera società.

Con la precisazione che anche schiacciare una zanzara è ‘uccidere’, sottoscrivo ogni parola.

Questo mi dà il destro per sconfessare un altro luogo comune: dice, ci sono tanti bambini – fra cui Lindo Ferretti, imparo, e me – le cui madri erano sul punto di abortire e non l’hanno fatto. Embè? Dice ancora, non sei contento di vivere? Sì, certo che sono contento, come magari lo è un bambino nato da un profilattico rotto (aboliamo i contraccettivi?), o lo sarebbe uno che non è nato perché quella sera i genitori hanno deciso all’ultimo di andare a vedere l’ultimo di Woody Allen (aboliamo il cinema?).
Alla vita ci aggrappiamo sempre, specie se crediamo che sia l’unica che abbiamo, e così lei a noi. Nel giorno in cui sono nato io sarebbero potuti nascere reggimenti di nuovi individui, magari al posto mio: sono stato fortunato. Voglio pensare che avrei perdonato mia madre, nel caso.

P.s. questo anche per dire che “la 194 non si discute” è una vaccata, tutto si discute, anche la costituzione.
P.p.s Ho fatto anche una considerazione su quanto sia in contrasto la grammatica della famiglia indissolubile uomodonna (nell’ordine), con la pratica di tante ragazze madri che – altro che famiglia – non hanno neanche un compagno. Forse se s’insegnasse che un bambino può crescere anche senza un padre, senza una madre, senza due Sposi, il numero di giovani donne che vedono nell’aborto l’unico appiglio di salvezza sociale diminuirebbe, e con l’idea gli aborti stessi. Ma questa, magari, la svilupperò un’altra volta.

Giovanni Fontana

iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:

giovannifontana1.JPGMi chiamo Giovanni Fontana, ho 24 anni, e didovessono non lo so dire.
Sono un “mezzo” tutto, quindi un tutto niente. Sono nato a Firenze (vicino a un cimitero), dopo essere stato concepito in Toscana (davanti a un cimitero), da madre toscana e padre americano – pure lui, “mezzo”, italiano. Abito a Roma da una vita (accanto a un cimitero), e studio alla Sapienza (di fronte all’altro cimitero). Di fiorentino mi è rimasta l’attenzione per la lingua e il tifo per la Fiorentina, ma vivo a Roma perché in nessun altro posto al mondo se indugi un poco allo scattare del semaforo, invece di insultarti o aspettare pazientemente, ti senti dire «a regazzi’, piuvverde deccosì nun ce diventa…».

Da bambino volevo fare il capitalista, allora ho imparato tutte le capitali del mondo a memoria. Cresciuto un poco ho ripiegato sul liceo scientifico, per poi scartare di lato e dedicarmi allo studio della linguistica e della letteratura; dopo la triennale in filologia romanza (neanche io sapevo cosa fosse prima d’incontrarla!), mi sto specializzando in una di quelle cose – così inutili che tutti dovrebbero saperle – che hanno a che fare con il medioevo, con Ginevra, Lancillotto, Tristano e Isotta.

Penso che essere di sinistra significhi intervenire, e cioè non girarsi dall’altra parte se qualcuno sta male, come disse bene qualcuno: se vedo uno che viene picchiato, cerco di impedirlo. Poi magari ce le prendo io.
Questo vuoldire tanto, perché in molti casi per fare sì che le cose cambino, bisogna intervenire. Per ciò inorridisco quando sento definire “di sinistra” i personaggi più conservatori dell’intero arco politico.

Proprio per provare a intervenire e a cambiare, con disincanto ma forza di volontà, per non continuare – solo – a lanciare contumelie al televisore, ho pensato giusto tentare di sfruttare quella che è la più grande opportunità degli ultimi anni: il progetto del Partito democratico.
Per quello che ne so io il PD è un partito laico, moderno e libertario. Per quello che ne so io, è il mio partito ideale.
È da qui che voglio profondere il mio piccolo contributo per fare sì che questo progetto si concretizzi come nelle proprie prerogative.
Poi si sa, non tutto va come nei propri progetti, per dire: ora so tutte le capitali, ma non farò il capitalista…

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Il candidato alla prova dei giovani

iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:

limonaia.jpgIeri, giovedì ventisette: uno degli appuntamenti della campagna elettorale di Walter Veltroni è l’incontro con i neovotanti. Siamo essi sedicenni, diciassettenni, o diciottenni imbucati per mangiare un pezzo di pizza. Limonaia di Villa Torlonia, pretesa sede di un pic-nic romano dei Mille, poi spostato a qualche yard (siamo internazionali…) più in là per sovvenute ragioni di maggior entità – era chiuso. L’invito è fissato per le 15.30, che per i romani significa le 16. Difatti è alle 16 che arriva il più rappresentativo dei romani, non Totti, ma il sindaco.

Passo indietro. Il dietro le quinte inizia un paio di settimane prima, allorché la quota Mille viene chiamata al tavolo dell’organizzazione: la quota Mille siamo io e Francesco Costa, una mano ce la dà anche Arianna Cavallo. Durante le riunioni che iniziano sempre al finir del sole, e finiscono sempre all’iniziar delle partire, si cercano di supporre luoghi, idee, slogan.

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Smoke gets in your eyes

iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:

bogart.jpgSmoke gets in your eyes
Racconto un fatto piccolo e sciocco, perché mi è subito saltato alla mente come parallelismo, e metafora di ciò che stanno combattendo iMille. Come sapete, al comitato nazionale per Veltroni abbiamo una stanza che dividiamo con le altre correnti della lista – a proposito, qualcuno un paio di giorni fa ha appiccicato alla porta un cartello con scritto «lista 2, Con Veltroni – ambiente, innovazione, lavoro», dovremmo quindi avere il nome della lista – legambiente, una componente riformista della CGIL, e alcuni giovani che appoggiano WV che fanno riferimento a quel Michele Samogia di cui Marco Simoni ci ha parlato nella relazione introduttiva all’assemblea nazionale dello scorso weekend. Come anche normale (ognuno fa, fa-le-cose, in cui è bravo) molto spesso soltanto noi Mille siamo nella stanza: organizziamo i contatti, gestiamo le faccende informatiche e non, siamo presenti. Talvolta però la stanza ospita incontri, o riunioni delle altre componenti. Continue reading “Smoke gets in your eyes”