Dlin Dlon, proposta

Leggo che c’è chi dice, giustamente insofferente a vedere le inviate dei nostri TG costrette a mettere il velo nei servizî dall’Iran, che non dovremmo “mai più [fare] un servizio Tv da quelle parti, se non c’è libertà dal velo per le giornaliste”. Aggiungendo: “Vedremo se il silenzio dei media lo troveranno gradito oppure no”.

Io sono convinto che sarebbe una mossa ostinata e sciocca, e che – specie ora in Iran – troverebbero, eccome, gradito il silenzio dei media. E non aspetterebbero altro, per cacciare gli inviati occidentali.

Ma anche a me la circostanza infastidisce non poco, specie perché tutte le giornaliste fanno finta di niente, come se non si notasse.

Proporrei, invece, che prima di ogni servizio, la giornalista che poi racconterà gli aggiornamenti cominci con un messaggio standard di spiegazione al pubblico, tipo: «vado in onda con una velo a coprire la testa perché questo servizio proviene dall’Iran, una teocrazia che calpesta i diritti delle donne, dove tale indumento è imposto. Qualora non lo indossassi, sarei immediatamente espulsa dal Paese; le donne iraniane, subiscono torture e angherie molto peggiori».
E poi cominciare normalmente il racconto giornalistico.

Liberiamo l’Italia dal marciume che vi si annida!

Questo tipo è davvero fantastico:

P.s. Saya, in arabo, vuoldire “turista”, era una parola fondamentale da dire ai negozianti palestinesi, per farsi fare il prezzo buono: “non sono un turista!”, quindi mi fa ancora più ridere.

P.p.s Certo che ora i coglioni fascistoidi identifichino in Fini, e non nella sinistra, il mandante dell’ovvio complotto ai loro danni è abbastanza sintomatico di quanto la sinistra appaia debole, bisticciosa e inoffensiva.

Lacrime di disappunto

Hitchens sul discorso di Obama al Cairo:

Un’unica volta in cui Obama ha toccato l’argomento più conosciuto del mondo islamico, ovvero la tendenza a rendere le donne cittadine si serie B. E quella volta l’ha menzionato soltanto per dire che gli Stati Occidentali discriminano le donne mussulmane! E come si verifica questa disciminazione? Limitando la possibilità di indossare l’hijab. Il chiaro riferimento era alla legge francese che pribisce l’esposizione di simboli religiosi nelle scuole statali. In effetti, il giorno successivo a Parigi, Obama è stato ancora più esplicito. Cito da Karima Bennoune, una professoressa algerina-americana, dell’università del Michigan:

Ho appena pubblicato una ricerca condotta fra persone dalla discendenza mussulmana, araba, o nordafricana in France, le quali supportano la legge del 2004 che vieta l’esposizione dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche: la vedono come una necessaria emanazione della “legge della repubblica” per contrastare la “legge dei Fratelli”, una regola informale imposta antidemocraticamente su molte donne e ragazzine nei quartieri e nelle case dai fondamentalisti.

Ma alle donne che sono costrette a vestire in ossequio alle decisioni altrui, Obama non aveva nulla da dire. Come se l’unico “diritto” in gioco fosse quello di obbedire a un’istruzione che, poi – se anche contasse qualcosa – non è presente nel Corano. Nella stessa Turchia in alcuni contesti è vietato portare il velo: anche questa è islamofobia? Obama pensa che il velo e il burka sono abbigliamenti liberamente scelti in ottemperanza al proprio gusto della moda? Questo tipo di ingenuità fa sì che, nell’insieme del mondo mussulmano, il tipo sbagliato di persone ride di noi, mentre quelle che devono essere le persone a cui stare accanto, e nostre alleate, piangono lacrime di disappunto.

Piccoli mondi

È proprio vero che ognuno si crea il proprio piccolo cieco mondo, contornandosi delle persone a sé vicine, e finisce per non capacitarsi del resto.

Se l’Italia fosse fatta a misura delle mie persone care, i radicali avrebbero il 30% e Ivan avrebbe qualche milione di preferenze.
E, permettetemelo, sarebbe un’Italia migliore.

Invece i radicali hanno il 2% e Ivan perde a valanga. Ed è un’Italia peggiore.

Eterogenesi dei fini

Mi hanno appena raccontato di uno che alle europee ha votato radicale perché «il simbolo era il più brutto, e così brutto che vuoldire che tengono alle cose serie».
Effettivamente il simbolo era veramente brutto.

Un nuovo mendicamento

Oggi Barack Obama ha fatto l’attesissimo discorso da una capitale del mondo mussulmano, El Cairo.

Sul canale youtube della Casa Bianca tutto il discorso, in inglese. In italiano, al momento c’è solo questa piccola parte, la fine del discorso. Chi l’ha messa online l’ha titolata con un errore che qualcuno definirebbe freudiano: anziché un nuovo inizio, a new beginning, ha scritto a new begging, un nuovo mendicamento, un nuovo elemosinare.

IMPECCABILE
Ha fatto un discorso perfetto per non irritare la platea, cercando di limitare al minimo le possibilità d’essere accusato di pavidità dall’altra parte. È stato impeccabile nella non facile opera di trovare un terreno comune.

Il discorso è davvero molto bello, e conferma la capacità di quest’uomo di dire cose pragmatiche avvolgendole di un’aura di utopia, facendo sembrare magnifico il quotidiano. Chi dice che Obama parla solo di idee, sbaglia. La sua grande capacità, sta nel suo pragmatismo, nella forza con cui illumina il suo messaggio. E tutto questo è quello che ci vuole, come disse uno che ci capisce: è un grande privilegio avere sogni educati.

Obama ha anche una grande abilità nell’elusione, nel riuscire a non dire, dicendo, e facendo sembrare di dire. È quello per cui l’attaccano i nemici, ma il punto non è ovviamente avere questa capacità, ma se e quando utilizzarla.

LA STRATEGIA
Quale sia la strategia migliore per parlare a quel mondo è un argomento così vasto che non può essere esaurito in un post, tantomeno in uno dedicato a un’altra cosa: intendo così scongiurare le obiezioni sulla volta del “non poteva fare altro”, “la diplomazia è così”. Non lo metto in dubbio, o forse lo metto in dubbio perché penso che una diplomazia così sia un po’ troppo kissingeriana, più attenta alla stabilità che alla pace. Anche perché in quell’area ha sempre, purtroppo, funzionato di più la durezza e le prove di forza, che il dialogo, e le richieste di collaborazione: i mendicamenti, appunto. Su questo, però, sono decisamente persuaso di poter sbagliare – e spero che sia così, sia per i mezzi che per il fine.
Le mie critiche non sono, quindi, sull’opportunità di dire certe cose, ma sulle verità omesse, sulle mezze bugie, e su quello che – molto più semplicemente – non mi è piaciuto.

ISRAELE
Obama non ha mai detto che il riconoscimento di Israele è un atto giusto. Ha detto che è necessario che Hamas lo riconosca, ma non ha detto che è giusto. Ha detto che anche gli israeliani, in privato, sanno che creare uno stato palestinese è giusto. Ha detto che anche i palestinesi, in privato, sanno che israele non potrà essere cancellato. È una dissimmetria non indifferente, perché lascia passare il messaggio che: gli arabi hanno ragione e gli israeliani torto, ma i primi devono arrangiarsi. Capisco che sia la cosa più digeribile, in un discorso come quello, ma non sarebbe il caso – ogni tanto – di sfidare le cattive idee sul campo del discorso, e non – solamente – evaderle?

L’unica ragione su cui Obama ha fondato la necessità di uno Stato israeliano è l’Olocausto. Stanti così le cose, avessi dovuto farmi un’idea del conflitto da ciò che ha detto Obama, avrei avuto pochi dubbi: la creazione d’Israele è illegittima e sbagliata. Non è così, e questo avrebbe dovuto spiegarlo.

Inoltre Obama ha sopravvalutato la questione israelo-palestinese rispetto agli stessi israeliani e palestinesi, che sono i primi a non volere la pace. La (larga) maggioranza degli israeliani e la (larga) maggioranza dei palestinesi preferisce questa situazione alla soluzione dei due stati: sarebbe un fatto scomodo da prendere in considerazione.

LE DONNE
Quello che ho trovato davvero vergognoso, e forse senza di questo non avrei scritto, è stato il passaggio sulle donne. In 55 minuti di discorso, articolato in 7 punti, Obama ha riservato al punto che riguardava i diritti delle donne 2 (due) minuti. Due su cinquantacinque.
Metà di questi due minuti sono stati usati per proferire luoghi comuni sciocchi, tipici strumenti dei maschilisti. Se volessi fare il salto retorico direi che sarebbe stato meglio che non ne parlasse: non è così, ma era chiaro che quello era il campo di battaglia più importante, e perciò più potenzialmente pericoloso, e Obama ha deciso di sbrigarlo subito, quasi infastidito dall’ essere costretto a includerlo.
Immagino quante persone che lottano per i diritti delle donne nei paesi islamici siano rimaste deluse, e tradite.

Il passaggio sulle donne, non mi azzardo a dire sulla parità dei sessi, è talmente corto che si può commentare tutto: Obama ha detto due volte che non considera subalterna una donna che senta il bisogno di coprirsi dagli sguardi degli uomini, e che non considera le donne che lo portano meno-uguali degli altri. Ha detto che una donna che rivesta un ruolo tradizionale, leggasi fare la macchina da figli, è certamente rispettabile. Spostando l’oggetto della discussione, perché non ha detto nulla sugli uomini, e sulla società che permette che quella donna trovi l’unica ragione della sua esistenza nel quantitativo di figli maschi prodotti.
Ha detto che il progresso non è nemico di queste tradizioni: cazzate, lo è. Grazie al Cielo.

Ha accostato a questo l’unico concetto che poteva essere, un poco, dalla parte delle donne: dicendo che le donne possono contribuire alla nostra società quanto gli uomini, che a entrambi i sessi deve essere garantita la possibilità di raggiungere le proprie potenzialità. Difficile incontrari fischi, qui, perché anche un talebano ti direbbe che le donne devono raggiungere le proprie potenzialità: quelle di stare a casa a cucinare, produrre figli, e obbedire al marito.

Un concetto già di per sé ambiguo, ma reso ancora più sinuoso perché associato a quell’altra grande ovvietà dietro cui si parano tutti i maschilismi del mondo, ovvero che le-donne-sono-diverse-dagli-uomini, detto come una grande verità. Non pensa, dice Obama, che le donne debbano fare le stesse scelte degli uomini per avere gli stessi diritti. Bella scoperta: nessuno deve fare le stesse scelte – sia mangiare la Fiorentina o tifarla – per avere la parità dei diritti, ma perché allora parlare delle donne, e non di quelli coi capelli rossi o che fanno le vacanze in montagna? Quali sarebbero queste diversità endemiche delle donne, che farebbero loro raggiungere la parità dei diritti attraverso un’altra strada? Chissà perché mi viene il dubbio che siano di quelle che, forse, era il caso di dibattere. Queste “strade alternative”.

Insomma, un discorso debolissimo sulla questione femminile, che ha anche offerto soluzioni sbagliate: il punto non è dare educazione alle donne, come ha detto Obama; non è vero  – se non per un ragionamento ovvio, dello sfruttamento del 100% delle potenzialità anziché del 50% – che i luoghi dove le donne possono avere istruzione sono i luoghi più prosperi. Il punto è l’oggetto di quell’educazione. L’Iran è un paese dove c’è un’istruzione femminile notevole, ed è uno dei paesi dove i diritti delle donne sono annichiliti con maggiore violenza.

È lo stesso ritornello senza fondamento, che si ha con il terrorismo: sappiamo che, nel mondo mussulmano, non sono coloro a cui manca l’educazione a fare attentati, ma – anzi – è più probabile che sia chi ha un’educazione sopra la media. Ma viene ripetuto da tutti, dai tempi di Bush, che per fermare il terrorismo bisogna istruire.

Il punto non è alfabetizzare – ovviamente alfabetizzare è giusto, anche se questo non è una soluzione al terrorismo o ai soprusi sulle donne – non è l’istruzione, ma cosa questa istruzione porti. Non insegnare, ma quello che viene insegnato – e su questo c’è un problema enorme: ciò, che delle donne, insegna l’Islam.

Cavolo, parliamone. O no?
Magari ci si arrabbia, ma almeno si fa un qualche servizio a quelle donne.

LA RELIGIONE
Sull’Islam in generale, Obama ha infine superato quello che ha fatto per la questione femminile nell’Islam: non solo ha ignorato tutto ciò che c’è di terribile in quella religione, ma ha tirato fuori quel pochissimo di buono che c’è. Sono consapevole che sia esattamente ciò che ha fatto – e continuerà a fare – il Cristianesimo con quel poco di buono che c’è nella propria Bibbia, ma sono altrettanto consapevole che sia un’operazione possibile, tale e quale, anche sul Mein Kampf.

Il sistema in cui crede Obama è quella di far crescere l’Islam fuori dall’Islam, forse sarebbe più efficace – e più onesto – far crescere i mussulmani fuori dall’Islam: e questo lo si comincia a fare chiamando le cose col proprio nome.
Dare legittimità a quel testo e a quell’insieme di credenze è pericolosissimo, perché in una battaglia d’idee è sempre meglio avere ragione che avere torto, e in una sfida sulla veracità del messaggio del Profeta Maometto, la versione di Bin Laden avrebbe di gran lunga la meglio su quella di Obama.
Rischia di essere controproducente perché, così, si sottointende che sia una parte di mondo, un insieme di persone, a essere geneticamente più portato alla violenza, all’oppressione, alla sete di sangue. Se l’Islam è una religione di pace e amore, perché ci sono kamikaze palestinesi e non ci sono kamikaze buddisti, in Tibet? L’occupazione cinese non ha nulla da invidiare a quella israeliana, eppure gli uni considerano la violenza uno strumento necessario, gli altri no. No, non sono gli arabi a essere geneticamente più portati al male, è il dogma, quel dogma a esserlo.

Obama ha selezionato accuratamente, e sottolineato, i pochissimi passaggi presenti nel Corano che incoraggiano la pace e l’amore fra i popoli, tralasciando completamente di citare tutto il resto di quel corpus della Sunna, Corano e Hadith, che ordinano l’odio, la guerra santa, il soggiogamento della donna, l’uccisione degli omosessuali, la sottomisione di qualunque sapere a Dio, l’impossibilità di avere amici cristiani o ebrei, la necessità di sgozzare atei e politeisti, etc.
Magari, come ho detto, è così che si fa diplomazia. Sicuramente è così – ma quando ha detto che il Corano insegna che uccidere un uomo è uguale a uccidere tutta l’umanità, ci voleva qualcuno che si alzasse per dire la cosa che ogni persona ragionevole si sente rispondere quando cita quella stragrande maggioranza di passaggi imbevuti di sangue: «il Corano dice che non bisogna uccidere? Non si può mica prendere tutto alla lettera!»

The change they can believe in /1

[La soluzione non sarà] trovata facendo quello che è stato fatto in passato, ma meglio. L’eredità lasciata da Bush è, in questo, doppiamente perniciosa: ha fatto le cose sbagliate, e le ha fatte male, e questo rischia di creare la falsa aspettativa che queste stesse cose, in qualche modo, possano funzionare se fatte meglio.

Proprio mentre Obama faceva un discorso molto pragmatico – se ho tempo, stasera, ne scriverò – al mondo mussulmano, al Cairo, ho letto quest’articolo su Obama e la questione israelo-palestinese che offre una prospettiva particolare.

In sostanza i due autori sostengono che il problema di Bush è stata l’equivicinanza, che la prospettiva dei due stati, che un tempo sarebbe stata la massima aspirazione palestinese, ora è diventata – perché gradita a Bush – una prospettiva non gradita, anzi osteggiata, in quanto occidentale.
Che ogni abbraccio di Bush a Abu Mazen è stato un bacio della morte: l’augurio è che Obama faccia pressioni su israeliani e palestinesi, ma stando lontano da entrambi, specie dai palestinesi. Perché, per gli arabi, qualunque soluzione che sembri far piacere agli americani, e agli occidentali, diventa automaticamente una soluzione che non va bene.

È un concetto non bellissimo, perché sottointende che con gli arabi non si può trattare come con tutti gli altri, e – in un certo modo – bisogna dissimulare un disinteresse per la questione. Ingannarli.
Io non sono molto d’accordo, però l’abbiamo provate tutte, e non hanno funzionato. Chissà che non sia la strada giusta.

Di una semplicità scandalosa

Certe volte succede che i buoni si comportino da buoni, e gli stronzi si comportino da stronzi. E siano premiati i primi.

Secondo me quelli del Giornale, misurandoli col proprio metro, hanno pensato: «figurati se quelli dell’Espresso non farebbero qualunque porcata per danneggiare il proprio nemico». Penso che siano ancora lì, a rimuginarci: «ma perché non hanno fatto come avremmo fatto noi?».

Davvero bravo a Marco Lillo, e a tutti i suoi colleghi.