Love me do

Non so se è anche uno smacco all’anti-berlusconismo di tanti di noi, probabilmente sì. Ma è la nemesi del Berlusconi sedicente, e sé desiderante, amato da tutti. Quelli che – dopo quindici anni di proteste, processi, manifestazioni, opposizioni soft opposizioni hard – lo stanno rovinando sono tutte persone che lo ammirano, non hanno nulla da rimproverargli, e quasi non si rendono conto delle sciagure che gli stanno attirando: Noemi Letizia che lo considera un vero “papi” gentile e generoso ma, col suo entusiasmo da groupie, smentisce più volte le versioni di Berlusconi che diceva di non conoscerla. Gino Flaminio che rivela tutti i particolari che Berlusconi aveva tenato di occultare fin dall’inizio, defiendolo sempre “il presidente di tutti”, una persona eccezionale. Barbara Montereale che racconta di averlo abbracciato con trasporto, di aver ringraziato il Signore per avele fatto incontrare Berlusconi, di considerarlo una persona incredibilmente per bene, intanto che racconta di come lui va a puttane.

Se ci si pensa un po’ non ce n’è uno, di questi personaggi, che non abbia votato, e forse amato, Berlusconi.

Che Obama parli

Dirò una cosa che, forse, contraddice quelle che ho detto in precedenza, ma ci ho pensato sù, e in parte c’ho ripensato. Parlo di Obama, ma intendo tutta la comunità internazionale, che – a parte Sarkozy – è stata davvero in silenzio.

Obama ha affermato di voler dire il meno possibile per non diventare una questione in gioco in Iran, per non permettere ad Ahmadinejad e Khamenei di ritorcere contro Musavi l’accusa di essere sostenuti dagli Stati Uniti che, in quel contesto politico, sarebbe infamante.

In queste ultime ore la posizione della Casa Bianca sembra essersi evoluta verso una maggiore partecipazione, quindi parlerò soltanto del concetto sotteso, al di là di quale sarà – in seguito – la linea della comunità internazionale.

Mentre sul discorso al Cairo la mia critica a Obama era più profonda – proprio una divergenza d’obiettivi, a Obama sembrava interessare solamente la stabilità, mentre io volevo un impegno molto più concreto a favore delle donne nell’Islam anche a scapito della stabilità – in questo caso sono sicuro che l’obiettivo di Obama sia quello di tutti noi: un Iran più libero e democratico.

Molto schematicamente. C’è una contraddizione evidente fra il dire che Obama non deve parlare perché questo è ciò che vorrebbe Khamenei, e credere nella genuinità democratica di questi pretesi tumulti . Ci sono tre possibilità:

1) L’appoggio di Obama ai ragazzi che manifestano verrebbe preso come una spinta in più: vorrebbe dire che coloro che abbiamo sentito lamentarsi dell’abbandono dell’ONU e della comunità internazionale sono la maggioranza.
– Se le cose stanno così Obama sbaglia a non intervenire chiaramente a favore dei manifestanti.

2) La maggioranza dei ragazzi che manifestano accoglierebbe con favore le parole d’appoggio da parte di Obama, ma ciò – dopo le accuse di Khamenei e Ahmadinejad, che comunque ci sono già state – li farebbe guardare con sospetto dal grosso della popolazione che li potrebbe considerare spinti dagli americani, facendo fallire le loro proteste.
– Se le cose stanno così stiamo supportanto una spinta alla maggiore libertà che non incontra il favore della maggioranza degli iraniani: in pratica quel sistema imposto da una minoranza, che abbiamo sempre criticato.

3) L’appoggio di Obama – e le conseguenti accuse dell’establishment conservatore – sarebbe sgradito da tutti, dalla popolazione e da quei ragazzi che manifestano. La democrazia, la libertà e tutti quei valori di cui Obama potrebbe farsi portatore, non sono nei cuori dei manifestanti. Non sarebbe quindi Musavi a seguire i propri manifestanti su una linea di progressista, ma i manifestanti a seguire lui su una linea soltanto timidamente meno conservatrice e anti-occidentale.
– Se le cose stanno così il cambiamento portato da questi movimenti non sarebbe un vero cambiamento, neanche un apprezzabile meno-peggio… e allora di cosa stiamo parlando?

In altre parole: l’unica opzione che possiamo considerare accettabile è la prima, quindi che Obama parli.

Oggi a Teheran

Oggi è un giorno importante, per ciò che sta succedendo in Iran: proprio mentre pubblico questo post, alle 16 a Teheran (le 13.30 in Italia) ci sarà una manifestazione organizzata dai due candidati d’opposizione ad Ahmadinejad, Moussavi e Karrubi. In realtà sarebbe la convergenza di tre manifestazioni, di cui una sembra essere stata annullata e poi riconvocata.

(edit: Karrubi ha annunciato che non parteciperà alla manifestazione perché non autorizzata dalle autorità)

Ieri Khamenei, che è il capo dei capi, ha detto che le manifestazioni devono terminare. E ha usato parole sibilline a proposito della violenza fomentata dai manifestanti. Ha confermato la vittoria di Ahmadinejad, definendola un segno di Dio e non ha fatto passi di conciliazione verso i protestatarî, se non una timidissima apertura per un riconteggio – che, comunque, non modificherebbe la probabile contraffazione delle schede.
Il Consiglio dei Guardiani ha convocato i tre candidati sconfitti, i due citati sopra e Rezai, che diserteranno l’incontro.

Tutte queste informazioni sono trapelate via internet, perché i media occidentali sono stati rinchiusi negli alberghi fino alla scadenza del visto, anche se qualcuno continua a girare illegalmente. Ma il grosso delle informazioni lo fa internet: la copertura degli sms è tornata attiva dopo una settimana. Le indicazioni che si leggono sul web supplicano di riprendere le manifestazioni di oggi, specie qualunque tipo di violenza da parte delle milizie, con i propri telefonini, poi inviare il video e gettare la SIM: con essa si può essere intercettati.

Può succedere di tutto, anche perché sembra che il regime non abbia le idee molto chiare: potrebbe venire fuori qualcosa d’imprevisto, o potrebbe risultare in un massacro da parte della Guardia Rivoluzionaria, e delle milizie Basij, le cui unità – si dice – sono state richiamate dalle campagne.
Il fatto è che non è per niente detto che un bagno di sangue convenga al governo, l’augurio è che – se non, difficilmente, per bontà d’animo – almeno Ahmadinejad e Khamenei facciano questo ragionamento di convenienza.

Oppure potrebbe succedere assolutamente nulla, chi vivrà vedrà: speriamo siano in tanti a vivere, speriamo in tanti a vedere.

L’apatia araba

Questo post, scovato da Lorenzo Cairoli, di un palestinese che mette a confronto l’indolente sfiducia della gioventù araba con quello che sta succedendo in Iran, mi ha ricordato tanti amici palestinesi che dipingerei perfettamente dentro a quel quadro. Lo traduco:

Quello che sta succedendo in Iran oggi – qualunque sia la fazione che supportate, o la vostra opinione sul riformismo dell’opposizione – riafferma solamente come la gente araba (la gioventù in particolare) sia il più impotente e smidollato popolo del Medio Oriente.
Quand’è stata l’ultima volta che hanno disubbidito agli ordini del loro governo e sono andati in strata, a decine di migliaia, per mostrare la loro insoddisfazione – con tutto quello che i loro governi hanno fatto?

I regimi arabi sono diventati talmente bravi nell’arte dell’oppressione per tanti anni, che hanno creato una generazione di giovani arabi che è soddisfatta di sedere, giovare a carte, fumare l’hookah, e sognare di andare a Dubai o in Occidente per fare soldi. Una generazione di giovani a cui interessano più alcune insignificanti vignette danesi sul profeta, che la loro oppressione e umiliazione quotidiana.

Ci sono movimenti di giovani attivi in tutto il mondo, dall’America Latina, all’Iran, alla Turchia, dove i giovani vogliono prendersi un ruolo attivo nel determinare il proprio futuro, ma non nel mondo arabo.
L’indifferenza e l’apatia di questi giovani è il risultato del fallimento della generazione dei loro padri. È triste constatare che chiunque nel terzo mondo sembra cercare di cambiare la propria realtà, tranne gli arabi, dove gli stessi tiranni e i loro figli li comandano da decenni, e ciò non sembra preoccuparli minimamente.

Non è un caso che siano citate le vignette, l’unico argomento che riesce a muovere i cuori arabi a protestare è la religione. Con le infauste conseguenze che sappiamo.

Berl

Tutti quelli che ne capiscono più di me dicono che Berlusconi ha i giorni contati, io mi chiedo, ma per una storia di donne? Per così poco?
Ce lo vedo proprio, Honecker, a chiedersi: “per così poco?”.
In fondo il muro di Berlino è caduto per molto meno.

Chissà se anche i bar di Arcore offriranno birra gratis a tutti.

Ci immischiamo perché esistiamo

Ciò che fonda la filosofia neo-con è un’indefettibile fiducia nell’individuo e nella libertà, nella democrazia e nella libera scelta delle persone. Questo se si vuole credere che i neo-con siano stati in buona fede, che l’attacco all’Iraq (e all’Afghanistan) fossero mossi dal genuino intento di esportare la democrazia, e non da considerazioni macroeconomiche.

A chi contestava che le elezioni in Iraq avrebbero fatto vincere gli estremisti sciiti, posizione definita con disprezzo “realista”, veniva sempre opposto l’argomento del meno peggio: beh, meglio quello che esce dalle urne, che Saddam Hussein. Effettivamente non ci piove.
Così come quando dalle elezioni usciva un candidato più estremista, come Hamas in Palestina, la risposta era: qual è l’alternativa? Non ha senso criticare la democrazia per una ragione semplice: senza democrazia, c’è la dittatura.

Badate bene che non sono sarcastico: sono assolutamente persuaso che qualunque cosa eleggano gli iracheni sia meglio di Saddam, e che per avere legittimità per criticare la democrazia bisogna proporre un’alternativa.

Il problema è questo:  i neo-con dovrebbero quindi essere in prima fila a esultare per quello che sta succedendo in Iran. Qualcun altro potrebbe essere scettico, non loro. E non  è così: la grande maggioranza dei neo-con, in America, ha adottato posizioni molto prudenti, spesso di insofferenza quasi aperta a questi tumulti, o all’entusiasmo che gli s’è creato attorno. Sulla stampa israeliana (di destra) ho letto più volte ventilare l’ipotesi che un Iran più moderato sarebbe controproducente per la sicurezza d’Israele perché il governo iraniano cercherebbe di conseguire gli stessi obiettivi, ma senza dichiararli. C’è anche chi dice che sia tutto uno scontro al vertice in seno ai poteri forti iraniani, una resa dei conti fra due fazioni contrapposte – ma non troppo diverse – del clero, o una riassestamento dei ruoli fra i religiosi e i militari: in pratica che non c’entri nulla la volontà popolare (eppure le piazze sono piene).

Insomma, se ne sentono tante, dette in questi giorni, ma la principale è quella secondo cui Moussavi non sarebbe abbastanza diverso da Ahmadinejad. Maccome. Non era esattamente quello che dicevamo per un governo democraticamente eletto in Iraq, che per quanto fosse stato corrotto/religioso/misogino, sarebbe stato certamente un po’ meglio di Saddam?

Capisco l’opportunità di mettere in guardia dal farsi troppe illusioni su Moussavi, l’ho fatto io stesso, ma dire che non cambierebbe nulla, è precisamente quella filosofia disfattista del tanto-peggio-tanto-meglio, che abbiamo sempre contestato in qualunque altro luogo del mondo, a cominciare dall’Iraq, dall’Afghanistan.

E anche ammessi, e tutt’altro che concessi, questi argomenti: in Iran, è oramai accertato, ci sono stati dei brogli evidenzi, e un’elezione truccata. Anche soltanto per una questione di forma. Non dovremmo sostenere con tutte le nostre forze quello che (giustamente) abbiamo sempre evocato come diritto costitutivo e inviolabile dell’individuo, ovvero la certezza di poter esprimere il proprio voto, e che questo voto sia regolarmente contato?

Sarà mica che ora ci si rimangiano tutte queste cose solo perché l’Iran, nel presente momento, è il nemico?

***

Per fortuna c’è un neo-con abbastanza schizzato da essere in buona fede e crederci davvero, trovo attraverso una segnalazione dello sfiduciato Enzo, ed è Michael Leeden: lui – uno che è solito dire che il miglior strumento di libertà del XX secolo è stato l’esercito americano – scrive cose da inguaribilmente ottimista, facendo un discorso da vero neo-con, un bel discorso (da leggere tutto), un discorso che finisce così:

Come Obama ha scoperto oggi, l’America verrà accusata d’immischiarsi in nome della libertà, anche se non farà nulla. E l’accusa sarà vera, nel più profondo dei significati, anche se il Dipartimento di Stato farà a garà per smentirla. Noi siamo il simbolo della libertà nel mondo moderno, e tutti coloro che lottano per la libertà contro le tirannie intuitivamente invocheranno il nostro nome e la nostra Costituzione nella loro lotta. Hanno ragione, perché la sola esistenza dell’America minaccia la legittimità dei tiranni.

We meddle because we exist. Interferiamo perché esistiamo.

Io, l’ho detto, non so cosa pensare: spero tanto che abbia ragione lui, e non Enzo e Obama, i quali – per una volta – condividono la stessa opinione.

Ancora sulla dittatura e non

Finisce sempre che i commenti sono più interessanti dei post, e che mi ritrovo a postare qui delle cose che io o qualcun altro ha scritto nei commenti!

In risposta al post dove commentavo il mio disappunto per coloro che chiamano dittatura quella italiana una mia lettrice, Valentina, mi aveva posto la domanda: “riusciresti a dire che siamo in democrazia qui in Italia?”. La risposta è “ovviamente sì”. E trovo davvero offensivo per quelli che ci muoiono, davvero, nelle dittature asserire il contrario.

Ed è una madornale indelicatezza che proprio non sopporto, anche perché la sento dire a molti insospettabili, persone che solitamente guardano ai fatti senza un filtro ideologico, bandosi quindi su prove ed evidenze: non solo Valentina, anche Malvino aveva parlato di “dittatore regolarmente eletto” riferendosi sia a Ahmadinejad che a Berlusconi, e alle mie perplessità aveva risposto dandomi, se ho capito bene, dell’apologeta delle menzogne di Berlusconi.

A Valentina, che mi parlava delle tante indecenti iniziative di questo governo per giustificare la definizione di dittatura, visto che ci sono “varie e molte sfumature di uno stesso concetto”, avevo risposto il seguente. Credo che le “pagelle” di Freedom House possano essere un buono spunto di discussione per capire l’inconcepibilità del sensazionalismo che vuole l’Italia simile all’Iran.

Prima ti dico un’altra cosa, poi mi spiego: tutte le cose che citi, erano molto, molto peggio quarant’anni fa. Quando nessuno questionerebbe che si era in democrazia. Le leggi per l’immigrazione, la stampa pilotata, etc. Cosa diresti se si riinstaurasse la legge che vieta il divorzio? Che siamo in una dittatura, credo. Eppure era quello che succedeva quarant’anni fa.
Le cose vanno enormemente meglio, per nulla abbastanza, ma “si stanno creando le basi per uno stato non democratico” è un allarmismo pericoloso, e falso, per la storia di Pierino e il lupo.

Inutile dire a te quanto sia contrario a Berlusconi, alla viscidità di molta parte dell’informazione televisiva, e a moltissime sue iniziative politiche; sai quanto la mia posizione sull’immigrazione sia più radicale di quella di qualunque partito politico, e quanto sia quindi disgustato dalle varie iniziative del partito degli egoisti stronzi (la Lega).
Ma tutto questo non configura una dittatura. Ed è molto lontano dal configurarlo.
Qualche dato.

Freedom House è un’istituzione molto prestigiosa che monìtora la libertà in tutti i paesi del mondo, fa degli studi su tutti gli stati, ci sono un sacco di dati e di osservazioni – è lo stesso istituto che ha recentemente declassato l’Italia per la libertà di informazione, ricordi? Alla fine, per semplificare, stilano una graduatoria delle libertà politiche e civili di ogni paese.
Dànno un voto da 1 (massimo) a 7 (minimo) per ciascuna di queste due categorie.
Infine fanno una mappa con tre gradi, Paese libero, paese parzialmente libero, paese non libero.
Ci sono dunque, vari gradi di lettura. È un lavoro molto utile.
Qui trovi quello dell’anno appena trascorso.
http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=22&year=2008&country=7417
L’Italia riceve il massimo in tutte e tre le categorie, insieme a pochi altri stati, qualche esempio:

Francia: libero, 1 1
Italia: libero, 1 1
Israele: libero, 1 2 [non contempla i territori occupati, che sono – per colpa dell’esercito israeliano, e delle leggi dell’Aut Naz Palestinese invece NON libero 6 6]
Messico: libero, 2 3

L’Iran è insieme alle peggiori dittature al mondo:
Iran: NON libero, 6 6
Russia: NON libero, 6 5
Cuba: NON libero, 7 7
Turkmenistan (avevo letto in giro fosse la dittatura più efferata al mondo) NON libero, 7 7

in mezzo ci sono tanti altri stati, tante altre sfumature, come dicevi. Cito a caso:
Turchia: PARZ. libero, 3 3
Malesia: PARZ. libero, 4 4
Nigeria: PARZ. libero, 4 4
Giordania: PARZ. libero 5 4

Mi sembra ce ne sia abbastanza per inorridire a parlare di dittatura in Italia. Siamo incredibilmente fortunati, proviamo ad aiutare chi non lo è.

La domanda

IMMISCHIARSI?
Obama sta dicendo in continuazione che gli Stati Uniti non devono immischiarsi perché qualunque mossa degli USA offrirebbe una sponda ad Ahmadinejad per dire che i manifestanti sono burattini dell’Occidente, e dell’America più nello specifico.
La verità è che non ho un’opinione ben definita in merito, effettivamente c’è un certo grado di contraddizione fra dire questo, e avere molto fiducia nelle idee di questa folla: se è vero, come leggo, che ci sono moltissimi pro-occidentali un proclama di Obama servirebbe da spinta, nei cuori e nei morali di coloro che manifestano e un accusa di essere orchestrati dagli americani, da parte di Ahmadinejad, non intaccherebbe la forza del movimento.

MEGLIO FUORI
Però è vero che – al contrario – se si pensa a quale sia la situazione in Iran, a come sia stata manipolata l’informazione e il sistema educativo negli ultimi trent’anni – e anche prima – non ho dubbi che la maggior parte di quella piazza sia profondamente anti-americana (oltre che anti-semita e misogina): in questa prospettiva un intervento di Obama sarebbe, effettivamente, controproducente, specie perché scollerebbe l’appoggio che – a quello che vediamo – sembra esserci fra i ragazzi, primi promotori della protesta – oltre che primi obiettivi delle squadracce di Ahmadinejad – e presumibilmente più in linea con i valori di libertà e autodeterminazione dell’individuo, e il grosso della popolazione: se è vero che tutte le persone delle campagne e dei villaggi sono con i fondamentalisti, ci deve essere per forza un – penso vastissimo – segmento di mezzo che è assolutamente necessario per portare a termine una rivoluzione di questo genere.

MOUSSAVI
Devo dire che mi fido molto più dei manifestanti, che di Moussavi. Quello che sulla carta è l leader della protesta è portatore di una linea non molto diversa da quella di Ahmadinejad, ed è responsabile di vari massacri nella storia iraniana, ma soprattutto – all’inizio – ha dato l’idea di non volersi mettere contro i poteri dello Stato né di voler cavalcare e appoggiare le proteste più di tanto, sono state le manifestazioni oceaniche a tirarcelo dentro: non è escluso, però, che – trascinato quasi di malavoglia – diventi, con il corso degli eventi, molto più coraggioso e deciso, oltre che portatore di un vero cambiamento di politiche. Succede anche questo, nelle rivoluzioni, e se Moussavi dovesse rendersi conto che la propria “base” ha certe spinte ideali, sarebbe quasi inevitabilmente spinto ad alliniarvisi. Ma potrebbe anche accettare una linea più morbida, con un riconteggio dei voti, e una condivisione del potere: sarebbe tradire lo spirito di questo movimento, e un’enorme occasione persa, ma non possiamo escluderlo.
C’è poi la figura della moglie, che leggo lodata da tutti: se prendesse le cose in mano lei, sarebbe eccezionale. Ma ci credo poco.

SOTTOBANCO
Sono certo che – in ogni caso – alla prima occasione utile Ahmadinejad dirà che i manifestanti sono orchestrati dagli USA, se non che sono vere e proprie spie, che Obama li appoggi apertamente oppure no, come sembra; ma è vero che gli starnazzi del dittatore avrebbero molta più forza se appoggiati da parole di sostegno chiaro da parte del Presidente.
Forse, quindi, fa bene Obama a comportarsi così, specie se il suo silenzio preoccupato (non è la formula che ha usato lui, ma ci siamo) diventasse un silenzio partecipe: se al di là del silenzio strategico si stesse muovendo – in segreto – per dare la maggior forza possibile al movimento che non può sostenere apertamente, cosa che non escludo – anzi – stia già facendo.

LA DOMANDA
C’è però una domanda alla quale non ho ancora sentito risposta, ed è una domanda da prendere in seria considerazione, sperando che Obama abbia le idee più chiare della confusione che ho in testa io – teppisti, militari e squadracce di Ahmadinejad stanno cercando di blandire le manifestazioni in maniera poco accondiscendente: bastonate e manganellate a chi protesta, le sedi degli studenti sono state devastate, e ci sono stati una trentina di morti – riposino in pace sperando che, almeno, la loro morte sia ricordata per essere servita a qualcosa – che, ragionando cinicamente, non sono una cifra spropositata. Significa che Ahmadinejad e i suoi sodali non hanno, al momento, deciso di sopprimere nel sangue la rivolta, con tutte le armi in loro possesso.
Ma dovesse succedere, cosa faremmo? Il governo sta tagliando tutte le modalità di comunicazione, sono bloccati gli sms e le linee telefoniche funzionano a singhiozzo, l’unico modo per reperire informazioni è internet, ai cui danni è in corso un’offensiva per cercare di bloccare i siti dove c’è un maggiore scambio di informazioni, come twitter e facebook. Le operazioni dei giornalisti stranieri sono state impedite.

È una domanda che esige di essere presa in considerazione: se nei prossimi giorni si profilasse un massacro, cosa dovrebbe fare Obama e con lui l’Occidente?