Buoni e cattivi esistono, Kony o non Kony

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per Il Post

Il fatto che un video che parla di una questione umanitaria, un video di 30 minuti (mezz’ora!) sia stato visto da cento milioni di persone non ha soltanto – come notato da molti – messo in dubbio i canoni di chi lavora nella comunicazione sui nuovi media («oltre i 120 secondi lo spettatore perde attenzione»), ma ha costituito una sorta di Undici Settembre anche per chi lavora nell’ambito della cooperazione: un evento con cui – per il bene o per il male – necessariamente confrontarsi.

Da questa settimana, ciascuna ONG dovrà affrontare Kony 2012 e prendere una posizione, specie rispetto a come esso ha sconquassato le prudenze, spesso motivate, di moltissime organizzazioni che lavorano nella cooperazione internazionale. Non sono ancora riuscito a farmi un’idea definitiva sulla faccenda, se non la considerazione banale che siano fenomenali (direbbero negli Stati Uniti, a Roma direbbero “paraculi”: avendo probabilmente ragione entrambi) nella comunicazione. Cos’è Kony 2012? Se lo si considera uno spot è eccezionale, se lo si considera un documentario è pessimo. Siccome non è nessuno dei due, ma qualcosa del tutto nuovo, bisognerà forse aspettare qualche tempo per vedere quanto beneficio e quanto detrimento questo qualcosa di nuovo porterà.

In molti hanno sollevato delle critiche ragionevoli, su cui non ho molto da dire, anche perché ne condivido buona parte. Altre sono state meno ragionevoli, ma comunque meno diffuse. C’è stata però una critica che ho letto quasi ovunque, la quale invece necessita di replica: non soltanto per la solennità convinta con cui viene spesso formulata – questo capita a tutti i luoghi comuni –, ma perché essa mette in dubbio il concetto stesso che fonda l’umanitarismo. Sto parlando di “non esistono buoni e cattivi”, una formulazione che schiaccia verso l’irrilevanza etica ogni comportamento, minando di fatto le ragioni di qualunque intervento umanitario.

In realtà, l’obiezione più immediata sarebbe: va bene, non esistono persone buone al 100% e persone cattive al 100% (opinione non troppo originale, avete mai sentito qualcuno dire il contrario?), ma ci sono persone più buone e persone più cattive, come manifestiamo ogni volta che critichiamo – o celebriamo – il comportamento di qualcuno. Di quelle ci occupiamo, tanto dovrebbe bastare. Ma c’è di più: in alcune occasioni – e spesso sono proprio le circostanze di cui si occupano le persone che lavorano per i diritti umani – la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi, che non all’inesauriente e indistinto “non esistono buoni e cattivi”.

È il caso di Joseph Kony – rapitore e sfruttatore di 66 mila bambini soldato, per citare uno dei dodici capi d’imputazione per crimini contro l’umanità con il quale è ricercato dalla Corte Penale Internazionale – che alla definizione di “cattivo” si avvicina tanto quanto fermare quegli stessi crimini si avvicina alla definizione di “buona causa”. C’era uno sketch di Benigni sull’impossibilità di definire negativamente chicchessia, neppure Mussolini: «Ma che deve fare uno perché se ne possa parlare male? Anche il Mostro di Firenze l’avrà detto “buongiorno” a qualcuno qualche volta».

Non c’è modo, e forse neanche ragione, di valutare la coscienza delle persone. Esse si valutano dalle azioni che compiono. L’insieme delle azioni che uno compie, assieme al contesto in cui sono maturate, sono ciò che determina se una persona è buona o cattiva (egoista/sociopatica).

37 Replies to “Buoni e cattivi esistono, Kony o non Kony”

  1. Mah, quel che mi pare di capire è che si sospetta una operazione furbetta per creare consenso al mantenimento dell’esercito USA in Uganda, a sostegno di un governo poi che è tutt’altro che rose e fiori. Onestamente a vedere il video non sembra poi così spontaneo, è una bella confezione, che tocca tutte le cordicelle giuste e l’idea di essere manipolati non è entusiasmante. Ma forse mi sto rincretinendo e sto diventando komblottista, non so.

  2. Nemici di Kony, amici di Musevene e del Sudan Patriotic Leberation Front. Una bella doppia morale

    Non per questo è giusto, come dici tu, dire che non esistono buoni e cattivi

  3. Negli USA dopo afghanistan e irak la voglia di mandare eserciti in giro non è alle stelle. Il consenso degli elettori, di chi se no? C’è chi suppone che l’operazione sia propagandistica, e che interessi in Uganda ce ne siano a strafottere. Io non ne so una cippa lippa, ma così a occhio questa cosa patinata e di buoni sentimenti, venduta come “spontanea” lascia qualche perplessità.

  4. @ rosalux:
    gli elettori??…no, prima di tutto l’argomento e’ totalmente fuori dal radar della campagna elettorale (..teens don’t vote…), poi non credo 100 tra advisers e SF in piu in uno stato africano che nessuno sa indicare sulla mappa senza prima usare google faranno nessuna differenza quando gia’ abbiamo ~205 mila truppe in 150 nazioni (ufficialmente)…e non si parla di escalations con tutto quello che gia sucede in giro.

    il congresso (l’altro agente di consenso a cui tu potevi alludere)? irrilevante in questo caso, il presidente usa executive power per cose del genere. non ha chiesto il consenso al congresso neanche per l’operazione in libia. si’, esiste un forte dinbattito circa i limite del potere esecutivo e il continuo back and forth tra le tre branches of government, ma 100 adivsers don’t make the cut…ne abbiamo migliaia in altre nazioni africane e neanche sappiamo dove esattamente.
    in piu i repubblicani sono split on this issue anyway, anche se per riflesso i piu erano contro back in October when it happened..

    “oversea” tendete a intellettualizzare e razionalizzare troppo cose che o “just happen” o sono animate da meccanismi quasi automatici e burocratici (tipo l’invio di adviser militari da parte di un presidente con origini africane ad uno stato africano che lo richiede espressamente). e’ la stessa categoria di fallacy della CIA onniscente ed onnipotente dei film di hollywood…se mi spiego.

  5. Sì, sì, relata refero (ma mica erano italiani: erano tutti americani, quelli che commentavano così).

  6. @ rosalux:

    come non e’ oversea? e’ un british comedian!!!

    comunque sono piu confuso di prima. quando dici operazione furbetta implichi (ok, non tu, ma chi ipotizza secondi fini geopolitic) una regia.

    li mi perdi. perche’ non vedo il nesso tra chi ha fatto sto video e l’amministrazione Obama che ha deciso 5 mesi fa esecutivamente, e quasi per riflesso condizionato, di mandare 100 special forces in Uganda (una cosa che qui fa tutto tranne che scalpore, considerando i 205 mila in 150 paesi di cui sopra) senza tanti clamori. Di Kony se ne e’ parlato a corrente alterna da anni, le truppe sono state invitate li da mesi, boh. non c’e’ urgenza di creare nessun consenso al loro mantenimento. non lo percepisco nelle news, e ti assicuro che le seguo attentamente e che la mia fonte non e’ Fox News.

    Poi. onestamente, ipotizzare che un christian evangelical con tratti narcisisti e con probabili problemi psichiatrici che fa un flashy video un po’ tra Steven Spielberg e Jesus Christ Super Star facendo advocacy per una causa umanitaria rappresenti la lunga mano di Obama per giustificare ed espandere il footprint militare in africa (cosa che gia’ facciamo da 10 anni senza troppo clamore ma abbastanza apertamente) mi pare piu un great joke per un talk show notturno che altro.

    l’interpretazione caritatevole e’ che trattasi di uno dei molteplici esempi di applicazione del primo emendamento, la porzione relativa al right to petition the government for the regress of grievances…(…sto studiando per il mio citizenship test…) non diverso da quello che fa Clooney con Sudan, per esempio. Trattasi cioe’ di Lobbying, che non e’ una parolaccia, ma una diritto costituzionale.

    un esempio sicuramente piu eye catching di altri.

    piuttosto, nella stampa nostra del video se ne parla in altri termini (non di complotto, ma di esempio di perdita di credibilita della stampa televisiva sempre piu interessata a quick gossip e “kickers”)

    vedi Jon Stewart qui di seguito (comedian pure lui, ma a NYC…)

    http://www.huffingtonpost.com/2012/03/13/jon-stewart-media-kony-2012_n_1342182.html

  7. Caro Giovanni,
    che peccato: la letteratura, l’arte, la filosofia, le scienze sociali e tanti altri ambiti della conoscenza hanno fatto e fanno tanto per mostrare la complessa inseparabilità fra bene e male e ora ci mettiamo a banalizzare di nuovo il tutto con interventi di questo tipo?
    Che questa complessità non debba immobilizzarci nel pensiero e nell’azione sono ben d’accordo, ma questo non ci dovrebbe autorizzare a fare ragionamenti che non riesco a vedere in altro modo che come lunghi passi indietro.
    Saluti,
    Lorenzo

    P.S. Per quanto riguarda poi “il concetto stesso che fonda l’umanitarismo”, consiglio molto la lettura di “Humanitarian reason. A moral history of the present”, di Didier Fassin (University of California Press, 2011).

  8. @ Lorenzo:
    Dovresti argomentare qualcosa. L’unica cosa che analizzi, il fatto che non bisogni essere immobili, la concedi. Eppure non spieghi in nessun modo come ignorare completamente che ci siano cose migliori di altre, scelte migliori di altre, possa non inficiare il nostro agire. Magari hai ragione, ma dovresti portare argomenti: perché così, con le critiche non argomentate – con quelle sì –, si fa un gran passo indietro.

    p.s. Il fatto che tu stesso dica che (tutta) “la letteratura”, (tutta) “l’arte”, (tutta) “la filosofia”, (tutte) “le scienze sociali” hanno “fatto tanto per mostrare l’inseparabilità del bene e del male” (!) dimostra che di tutte queste discipline tu hai – guarda il paradosso – una stringente concezione di buoni e cattivi, come spesso accade a chi cita Foucault. Io, al contrario, avrei detto che un’ottima parte di letteratura, arte, e ancora di più filosofia o scienze sociali, hanno fatto tanto per aiutarci a distinguere il bene dal male. Possibile che tu chiami arte/letteratura/filosofia/scienze sociali solo chi è d’accordo con te?

  9. scusate se mi intrometto.. @ Giovanni Fontana:
    Lorenzo scrive::

    mostrare la complessa inseparabilità fra bene e male

    essere inseparabile non significa essere indistinguibile.. il discorso che ha fatto Lorenzo per me è totalmente condivisibile.. persino in fisica le ultime scoperte devono ammettere nuove logiche partecipative, diverse dalle “tradizionali” logiche a 2 (tipo vero-falso o appunto, buono-cattivo).. Le scienze contemporanee stanno arrivando ad argomentare ciò che alcune filosofie avevano colto intuitivamente già molti secoli prima.. mi sembra inequivocabile..

  10. @ Giovanni Fontana:
    e per quanto riguarda le argomentazioni, credo sia sufficiente fare un paragone tra un qualsiasi trattato sulle logiche partecipative e un qualsiasi testo tradizionale buddhista (che non è una religione)..

  11. @ Giovanni Fontana:
    Caro Giovanni,
    scusami, che dovrei argomentare? La mia era una considerazione su qualcosa di ben poco argomentato: la tua riflessione sul fatto che la divisione manichea che buoni e giusti sia legittima. Perché, a te quella tua forte affermazione invece pare argomentata?
    E non è la prima volta che, leggendo i tuoi pur interessanti interventi e i dibattiti che ne seguono, riscontro il ricorrere alla tenuta logica delle argomentazioni altrui solo come rifugio dialettico pretestuoso. Si arriva spesso al paradosso secondo cui la presunta tenuta logica di un discorso conti più dei suoi stessi contenuti. Senza poi considerare che, se l’obiettivo è una onesta e migliore comprensione del mondo, non basta molto per accorgersi che, che ci piaccia o no, la realtà non si lascia mai inquadrare in rigidi schemi logici, neanche quelli argomentativi.
    Chi è che, come dici, non riconosce che ci siano cose e scelte migliori di altre?
    Il riferimento a Foucault (che eppure frequento molto) o a chi lo cita non l’ho potuto cogliere, ma non importa.
    Sulla tua ipotesi che io chiami letteratura, arte, scienze sociali solo quelle che sono d’accordo con me… francamente non capisco né l’affermazione né l’eventuale domanda, mi dispiace (stavolta meglio così, credo). Per quanto riguarda il fatto che secondo te quei campi ci aiutano a distinguere il bene dal male, be’ non sono d’accordo, tutto qua. A me pare che queste sono forme di conoscenza a cui si potrebbe addirittura attribuire il ruolo primordiale di ricordarci proprio il contrario, dimostrandocelo. Abbandonarci all’idea di divisibilità fra buoni e cattivi (quello al limite lo fa il Dottor Jekyll, o la peggiore Hollywood) significa rinunciare in partenza al fine (che anche tu ti dài con questo blog) di creare dei piccoli ma vitali strumenti di reale intelligibilità del mondo.
    Ho forse qualche problema con le regole del gioco, nei dibattiti di questo tuo importante blog. Forse dovrei semplicemente astenermi.
    Saluti,
    Lorenzo

  12. @ Lorenzo:

    Lorenzo, non la buttare – non la buttiamo – in caciara.
    Provo a ricapitolare per non perderci (solo) in discorsi laterali.
    Tu hai fatto due affermazioni:
    A) che “la letteratura, l’arte, la filosofia, le scienze sociali e tanti altri ambiti della conoscenza hanno fatto e fanno tanto per mostrare la complessa inseparabilità fra bene e male”

    Mia risposta: A.1)A questa affermazione io ho risposto che, al contrario, mi sembra che una buona parte di quelle discipline tenda proprio al contrario, ad aiutarci a distinguere il bene dal male (la filosofia, e in misura diversa le scienze sociali, trovano in questo una delle principali ragioni d’essere).
    mia risposta, postilla ad A.1Ti facevo inoltre notare che io non negavo a coloro con i quali non sono d’accordo la patente di disciplina: mentre, a quanto pare, tu sì – operando quella distinzione fra bene e male che, a quanto pare, pratichi ben più di chi, come me, la rivendica.

    B) Hai detto che i miei, non specificando bene quali, “ragionamenti che non riesco a vedere in altro modo che come lunghi passi indietro.”

    Mia risposta B.1 Ti ho chiesto di argomentare secondo quali criterî o quali ragionamenti tu dicessi questa cosa: in due parole di argomentare.

    Mi sembra che, a nessuna delle due cose, tu abbia dato alcuna risposta. L’unica cosa che hai detto è che, secondo te, anche alcune delle cose che ho detto io – senza specificare quali – non erano argomentate. Il fatto che io, eventualmente, faccia un errore non rende il tuo meno errato.

    In ogni caso, non ometto di rispondere alle altre cose che evochi, ti prego però di fare lo stesso con questo: altrimenti discutere non serve a nulla.

    Lorenzo scrive::

    Perché, a te quella tua forte affermazione invece pare argomentata?

    Sì. Qualora non lo fosse, indicami bene quale, e proverò a farlo. Se non sarò in grado, cambierò idea.
    Tu?

    Lorenzo scrive::

    , riscontro il ricorrere alla tenuta logica delle argomentazioni altrui solo come rifugio dialettico pretestuoso

    Vabbè, questa è un’affermazione miserabile che spero tu non creda davvero. Se pensi che io, deliberatamente e pretestuosamente, cerchi un “rifugio dialettico” anziché discutere serenamente, non capisco davvero perché mi stai parlando.

    Io non farei mai una simile accusa di malafede se non ho le prove di quel che dico.

    Lorenzo scrive::

    Si arriva spesso al paradosso secondo cui la presunta tenuta logica di un discorso conti più dei suoi stessi contenuti.

    Se tu riesci a distinguere la tenuta logica di un discorso dal contenuto dello stesso hai inventato una nuova disciplina, e un nuovo metodo conoscitivo. Proponilo al mondo e sarai celebrato come la prima persona ad aver buttato a mare il principio di non contraddizione in favore di una novità che non siano le sedute spiritiche o l’astrologia.

    Nel frattempo, però, se un argomento non ha consistenza logica, non funziona, è completamente privo di sostanza. Se un argomento ha consistenza logica, come ce l’ha il ciclo di produzione del termometro con cui ti misuri la febbre, o il progetto del computer con cui stai scrivendo, allora è un argomento che ha una sostanza, naturalmente fino a prova contraria.

    Lorenzo scrive::

    se l’obiettivo è una onesta e migliore comprensione del mondo, non basta molto per accorgersi che, che ci piaccia o no, la realtà non si lascia mai inquadrare in rigidi schemi logici, neanche quelli argomentativi.

    Sì, l’obiettivo è quello. E non considero la logica così rigida – ma immagino che ti sia fatto trascinare dal cliché linguistico rigidi-schemi-logici –, ma ben fluida.

    Tuttavia, non capisco ancora una volta quali strumenti conoscitivi stai proponendo. Se non conosci le cose attraverso il principio di non contraddizione, attraverso cosa lo conosci?

    Lorenzo scrive::

    Ho forse qualche problema con le regole del gioco, nei dibattiti di questo tuo importante blog. Forse dovrei semplicemente astenermi.

    Mi dispiace qualora tu volessi astenerti da questo, per nulla importante, blog. Ma le “regole del gioco” sono quelle di qualunque onesta conversazione. Essere disposti a cambiare idea (e perciò accettare gli stumenti che lo permettono), e voler insegnare qualcosa al prossimo.

    Detto questo, se ho capito il Lorenzo che sei (il presidentissimo?), mi farebbe piacere discutere di queste cose anche di persona, magari a cena anche con Saverio.

  13. @ Giovanni Fontana:
    Ciao Giovanni,
    cominci la tua risposta chiedendo di non buttarla in caciara, poi però definisci una mia affermazione “miserabile”. Oltre a che non buttarla in caciara, farei attenzione anche a ricambiare un tono rispettoso che non mi sembra sia mai venuto meno.
    Detto questo, provo a riprendere velocemente ciò che mi scrivi, fra un A, A.1, postille ecc.
    Sulla questione di letteratura/arte/scienze sociali e la loro capacità di mostrare l’errore di pensare in maniera così netta la differenza fra buoni e cattivi mi pare ci sia semplicemente una divergenza radicale ma legittima d’opinione. Tutto qua. Francamente, rimango sulla mia posizione, e non faccio che trovarle conferme (l’ultima in ordine di tempo, nell’importante e molto dibattuto libro di Martha Nussbaum, “Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”, per esempio). Poi, ovvio, sono pronto a ricredermi in ogni momento (così rispondo anche alla domanda che mi facevi: sì, io la so cambiare idea. Anzi, adoro cambiarla, quand’è il caso. E su questo punto per ora non lo è, per niente).
    La faccenda che io negherei la “patente di disciplina” a coloro con cui non sono d’accordo non capisco da dove la tiri fuori. Anzi, non la capisco in generale e la lascerei da parte.
    Il lungo passo indietro a cui mi riferivo esplicitamente è quello di affermare la possibilità di distinguere in maniera così manichea i buoni dai cattivi. Il passo indietro è, come ti scrivevo, rispetto alla consapevolezza che i vari campi del sapere hanno saputo “conquistare” sul tema della complessa compenetrazione dei valori moralmente ed eticamente connotati e talvolta considerati come propri dei “buoni” o dei “cattivi”.
    Mi chiedi d’indicarti a quale affermazione mi riferissi nel chiederti se veramente la consideravi così ben argomentata. Semplice: quella su cui si basa tutto il tuo testo di partenza (quello che prende avvio da “Kony 2012”). Ovvero che “la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi”. Ecco, io credo che un’affermazione di questo spessore – se vogliamo, come mi sembra tu proponga, cercare di mantenere un equilibrio fra il peso delle affermazioni e la mole del loro retroterra argomentativo – necessiti allora di ben altra consapevolezza e dimostrazione a reggerla. Personalmente, è uno sforzo che neanche proverei a fare, ma questo perché su quello non la penso come te.
    A proposito del “rifugio dialettico pretestuoso”. Chiarisco innanzitutto che non ho mai pensato a della malafede, perché – ti assicuro – la minima impressione di malafede ha su di me un effetto immediatamente repellente. Non ci avrei passato neanche un minuto a leggere, figuriamoci a discutere. Quindi: nessun sospetto di malafede. Detto questo, mi trovo a dover confermare l’opinione secondo cui un ricorso così meccanicistico alla tenuta logica delle argomentazioni sia uno strumento ingannevole e solo apparente di confronto. Posso spiegarmi meglio approfittando delle tue considerazioni a proposito del rapporto fra tenuta logica e contenuti. Ecco, io credo che, a seguire quello che dici qui (facendo finta che tu non abbia cercato la provocazione con la cosa del buttare a mare il principio di contraddizione, le sedute spiritiche, l’astrologia ecc.) cade in un malinteso di fondo: si pretende di leggere in chiave di meccanica logica a un livello del discorso che è costitutivamente esposto a elementi che non possiamo collocare e comprendere su quello stesso livello logico, se non a livello di linguaggio.
    Se parli di principio di contraddizione o di causalità, per esempio, potrai farlo in un livello analitico in cui siano proprio quelli i parametri primordiali da considerare. Se invece li applichi a un livello in cui ciò che è dibattuto è valutato, prodotto e riprodotto secondo parametri non quantificabili o schematizzabili, ecco che allora l’impressione di sbilanciamento fra tenuta logica dei discorsi e loro contenuti si fa a mio avviso assolutamente pertinente.
    A me pare che, quando dici che un argomento deve avere consistenza logica per avere sostanza (certo), tu stia confondendo troppo fra loro i livelli analitici e i registri di valutazione. Se prendo alla lettera quello che dici, si pone un semplice problema di linguaggio: in quel caso, la tenuta logica di un enunciato starebbe alla sua correttezza enunciativa, giusto? Ma se quei parametri li si applica a un registro del discorso che in fondo è quello delle opinioni, allora tutte quelle esatte corrispondenze che invochi non potranno che tenere fuori tutti quegli elementi con i quali la realtà e la sua complessità si divertono costantemente a non far tornare i conti. E tutto questo ben al di là del “cliché linguistico rigidi-schemi-logici”.
    Sai cosa mi torna in mente? Quella famosa scena de “L’attimo fuggente” in cui Williams chiede ai suoi studenti di strappare dal loro manuale la pagina in cui si spiega come misurare in un grafico l’efficacia di una poesia. So bene che non è per niente la stessa cosa, ma per una qualche ragione quella scena è evocativa, per ciò che sto cercando di esprimere.
    Ah, per quanto riguarda l’essere celebrato dal mondo, la prendo come un sinistro augurio, mettiamola così.
    Per concludere, riprendo la tua domanda: “Tuttavia, non capisco ancora una volta quali strumenti conoscitivi stai proponendo. Se non conosci le cose attraverso il principio di non contraddizione, attraverso cosa lo conosci?”. Scoprendo l’acqua calda, quello che vorrei cercare di mettere in avanti è il fatto che un’attenzione troppo sbilanciata verso le connessioni fra le diverse parti dei discorsi (quali gli interventi o i commenti in questo blog) ci fa troppo spesso dimenticare qual è la necessità fondamentale in questo tipo di temi e confronti: mantenere una costante forma mentis capace di prendere in considerazione quegli innumerevoli elementi (a volte costanti impazzite) della realtà che rimarrebbero inevitabilmente tagliati fuori da una valutazione meccanicistica del quadro entro cui questi si manifestano (premesso che non è vero che le eccezioni confermano le regole, ma le mettono in discussione). E, per ogni elemento che rimane tagliato fuori, quello che perderemo è un pezzetto della nostra capacità di comprendere il mondo di cui stiamo parlando.
    Quanto l’ho fatta lunga. Mi scuso.
    “Presidentissimo” non lo era neanche Berlusconi, figuriamoci io (anche se ovviamente è vero che Il Fondino è più importante di Mediaset, Mondadori, Milan e Fininvest messi insieme). Però sì, sono contento se potremo presto vederci, così possiamo passare direttamente alle mani. (scherzo!).

    A presto,
    Lorenzo

  14. Lorenzo scrive::

    cominci la tua risposta chiedendo di non buttarla in caciara, poi però definisci una mia affermazione “miserabile”. Oltre a che non buttarla in caciara, farei attenzione anche a ricambiare un tono rispettoso che non mi sembra sia mai venuto meno.

    Accidenti, Lorenzo, questo è davvero un esemplare Giaku Gire.
    Tu mi fai l’accusa più spregevole che si possa fare a una persona con la quale stai discutendo – ovvero che io sia in malafede; di più: che pur sapendo di avere torto mi “rifugio nella dialettica” – e arrivi addirittura a lamentarti che io la definisca “miserabile”?

    Dici che non mi accusi di malafede, ma hai parlato di “ricorrere alla tenuta logica delle argomentazioni altrui solo come rifugio dialettico pretestuoso”. Non solo “rifugio dialettico”, quindi fasullo, ma addirittura pretestuoso. In che modo si può accusare una persona di utilizzare uno strumento “solo come rifugio dialettico”, perdipiù un “rifugio dialettico pretestuoso”, senza accusarlo di malafede?

    Io non ti avrei mai, mai, rivolto un’accusa simile, se non di fronte a tonnellate di prove. Come altro la chiami tu, se non miserabile, un’accusa simile? Fra l’altro, francamente, è davvero assurdo che tu possa contestare un presunto tono irrispettoso dopo aver mosso tale argomento.

    Ti dico di più: a chiunque produca quel genere di retropensiero io rispondo generalmente con «non misurarmi col tuo metro: se tu sei abituato a interloquire con questo metodo sporco e in malafede, non estendere questa tua sporcizia a me». Siccome ti conosco, e mi sembra che tu non pratichi la malfidenza, ho semplicemente pensato a una svista, ma non pensavo minimamente che la rivendicassi, che la considerassi qualunque cosa meglio di miserabile.

    Fra l’altro è una cosa che hai rifatto, anche in questo messaggio, entrando nella mia testa e decidendo per me che usavo “astrologia e sedute spiritiche” come provocazione (fra l’altro stavo proprio dicendo il contrario di quello che hai pensato ti accusassi: “in favore di una novità che non siano le sedute spiritiche o l’astrologia”, ovvero che tu saresti il primo a proporre un’alternativa che NON sia sedute spiritiche o astrologia, appunto perché non ti considero uno scemo).

    Per farti un esempio del mio atteggiamento, tu hai citato questa (“Ovvero che “la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi””) parte del mio discorso, omettendo una parte di frase, il caveat e l’inciso, e così facendo stravolgendo completamente il significato di quello che dico. Dovessi adottare lo stesso metro che hai utilizzato tu, penserei che l’hai fatto soltanto per avere facile ragione dipingendo il mio argomento come molto più stupido di quello che è. Però io non ragiono così, e ti avrei semplicemente spiegato che – da quella frase – avevi inavvertitamente tolto ciò che, a mio modo di vedere, le dava significato.

    ––

    Per quanto riguarda il resto, mi è sembrato che tu non abbia risposto ai punti che sollevavo. Oppure non ho capito io (è probabile, perché in alcuni passaggi proprio non capivo dove volessi andare a parare). Quindi provo a riproporre il concetto, chiedendoti – se possibile – una risposta un poco più semplice.

    –––

    Ti ripeto ancora una volta i miei due punti:

    –––
    Tu hai detto che Filosofia (e altre discipline) hanno fatto molto per mostrare l’inseparabilità fra bene e male. Io, che non ho la pretesa che tutta la filosofia sia d’accordo con me, ti ho spiegato che – invece – molta parte della filosofia serve per aiutarci a distinguere bene e male. Tu questo lo contesti.

    Quindi c’è una differenza di posizioni, una dissimetria: tu consideri filosofia solo quella alla quale ti riferisci tu. Io considero filosofia anche quella su cui non sono d’accordo. Se io ti faccio l’esempio di un volume accademico che ci aiuta a distinguere cose giuste da cose sbagliate, cose e persone buone da cose e persone cattive, tu lo riterrai escluso a priori dal dominio della filosofia oppure no? Da quello che dici tu, pare tu lo escluda a priori. Io non farei lo stesso con un volume che sostenga, invece, l’intrinsecabilità di bene e male.

    Come vedi, io non pretendo che un’idea sia affine alla mia per considerarla “filosofica” (o artistica, o affini). Siccome non credo che tu la pensi così, ciò che ti stavo suggerendo fra le righe – ma ora te lo suggerisco apertamente – era di riformulare il concetto così: «ALCUNE BRANCHE, quelle con cui mi trovo d’accordo, della letteratura, l’arte, la filosofia, le scienze sociali e tanti altri ambiti della conoscenza hanno fatto e fanno tanto per mostrare la complessa inseparabilità fra bene e male; altre, invece – e sono quelle con cui sei più d’accordo tu, Giovanni – ci aiutano a darci strumenti per distinguere il bene dal male».
    Come vedi questa formulazione è meno massimalista e, secondo me, rispecchia più il vero.

    ––

    Il secondo punto è quello del passaggio che tu ritenevi “fare molti passi indietro”, davvero non ho capito cosa volessi dire. Potresti rispiegerlo in modo più semplice?

    Cos’è che non ti torna della frase (se ho capito quale frase)

    Non esistono persone buone al 100% e persone cattive al 100%, ma ci sono persone più buone e persone più cattive, come manifestiamo ogni volta che critichiamo – o celebriamo – il comportamento di qualcuno. Di quelle ci occupiamo, tanto dovrebbe bastare. Ma c’è di più: in alcune occasioni – e spesso sono proprio le circostanze di cui si occupano le persone che lavorano per i diritti umani – la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi, che non all’inesauriente e indistinto “non esistono buoni e cattivi”.”

    ?
    – Non pensi ci siano persone più buone o più cattive di altre?
    – Non pensi che, alcune volte, ci siano persone molto più buone o molto più cattive di altre?
    – Non pensi che le persone molto più buone o molto più cattive si trovano spesso dove c’è da lavorare per i diritti umani (in altre parole non credi che le persone che dedicano la propria vita al volontariato siano, in genere, persone molto più buone dittatori sanguinarî o signori della guerra)?
    – Non pensi che bisognerebbe occuparci delle persone che hanno bisogno?

    La frase che contesti conteneva queste quattro affermazioni che, ti dirò, mi sembrano abbastanza lapalissiane.
    Quale di queste contesti? Oppure ci leggi altre proposizioni che non ci vedo?

  15. @ Giovanni Fontana:
    @ Giovanni Fontana:
    Giovanni,
    passi la metà del tuo intervento sulla faccenda della malafede. Mi pare tempo investito male. Ho parlato di “rifugio dialettico pretestuoso” per descrivere certe strategie retoriche, e mi dispiace che tu voglia vederci un giudizio di malafede. Se “rifugio dialettico pretestuoso” ti è sembrata un’espressione troppo forte e un’accusa personale,  chiedo scusa e la prossima volta cercherò altre parole più edulcorate.  Occhio però che la tua opinione di Giaku Gire (che ho dovuto cercare in Google) non ti si rivolti contro. 
    Poi. Ripeti questa idea per cui mi riferirei solo alla filosofia/arte/letteratura/ecc. che pare a me. Aridaje. Sintetizzo di nuovo la mia opinione: io credo che ogni minimo sforzo  intellettuale di comprensione della realtà conduca quasi strutturalmente a una costante presa di coscienza della complessità etica e morale di quella stessa realtà. Questo significa anche prendere atto della ingannevole rigidità della distinzione semplicizzante fra buoni e cattivi, bene e male e così via. Tu, mi pare, sostieni il contrario. D’accordo, prendo atto della nostra differenza d’opinione e mi fermo qui. Del resto, persuadere e lasciarsi persuadere non deve sfociare in un imperativo che porti a una semplificazione accomodante delle nostre posizioni, credo.
    Per quanto riguarda il citare una frase omettendo parti del discorso, come dici: be’, non credo di dire niente di offensivo se constato che quello di riprendere frasi in quella maniera (fisking o non fisking) sia uno degli strumenti più utilizzati da te in questo tuo blog. Spero tu non abbia l’impressione che quel metodo per una volta ti sia ritorto contro, ma la possibilità esiste. Detto questo, non mi pare di aver distorto il tuo pensiero (basterebbe riprendere il titolo del tuo intervento), né ho voluto dipingerlo “molto più stupido” di quello che è. Quella sì che sarebbe malafede. Detto questo, credo si debba fare uno sforzo in più per non cadere nelle trappole dell’eccessiva sintesi semplificante (che passa anche attraverso la ripresa meccanica di frasi dell’altro).
    Poi. Ripeti questa idea per cui mi riferirei solo alla filosofia/arte/letteratura/ecc. che pare a me. Aridaje. Scusami ma ti devo chiedere di non continuare ad attribuirmi questa tua interpretazione. Sintetizzo di nuovo la mia opinione: io credo che ogni minimo sforzo  intellettuale di comprensione della realtà conduca quasi strutturalmente a una costante presa di coscienza della complessità etica e morale di quella stessa realtà. Questo significa anche prendere atto della ingannevole rigidità della distinzione semplicizzante fra buoni e cattivi, bene e male e così via. Tu, mi pare, sostieni il contrario: d’accordo, prendo atto della nostra differenza d’opinione e mi fermo qui. Del resto, persuadere e lasciarsi persuadere non deve sfociare in una semplificazione accomodante delle nostre posizioni, credo.
    Sul “fare molti passi indietro” ripeto che mi riferivo semplicemente al fatto che riprodurre questa idea dei buoni e dei cattivi significa, secondo me, cadere in un’involuzione del pensiero rispetto alla titanica “conquista delle complessità” da parte delle scienze e delle arti che abbiamo già citato. 
    Infine, mi poni delle domande, e me le poni su frasi che a te sembra lapalissiane e che io non ritengo tali (altrimenti non avrei contestato la divisione che tu affermi). Gestirei con più cura l’aggettivo “lapalissiano”. Le domande:
    – “Non pensi ci siano persone più buone o più cattive di altre? “Penso che pensare di poter stilare una graduatoria di bontà e cattiveria sia una visione semplicistica che ci irrigidisce nella comprensione del perché alcuni fanno certe scelte e altri altre, e ci aiuta molto poco a capire come agire di conseguenza. E questo non inficia per niente la legittimità dei nostri giudizi di valore su quelle stesse scelte. Del resto, ad estremizzare per assurdo questa graduatoria poi per distinguere i buoni dai cattivi cosa dobbiamo fare? Stabilire una metà classifica e dire chi è sopra è buono e chi è sotto è cattivo?
    – “Non pensi che, alcune volte, ci siano persone molto più buone o molto più cattive di altre?” Penso che ci siano persone che a volte si comportano bene e altre volte male, tanto per banalizzare ulteriormente. Penso insomma che si dovrebbe spostare il focus dell’attenzione dalle persone (evitando quindi di volerle etichettare a tutti i costi) alla contingenza etica e morale di quei loro comportamenti, e giudicare e agire di conseguenza.
    – “Non pensi che le persone molto più buone o molto più cattive si trovano spesso dove c’è da lavorare per i diritti umani (in altre parole non credi che le persone che dedicano la propria vita al volontariato siano, in genere, persone molto più buone dittatori sanguinarî o signori della guerra)? Non pensi che bisognerebbe occuparci delle persone che hanno bisogno?” Francamente credo che queste ultime domande vogliano spostare il discorso in un registro del patetico (non in senso offensivo, per carità, ma di affidamento dell’argomentazione a sentimenti di tipo compassionevole) che – io credo – mal si sposa con la sacrosanta volontà di mantenere il confronto su un piano più virtuosamente pragmatico (altrimenti, per esempio, si cade nell’errore di certo volontariato di stampo religioso). Se mi chiedi se secondo me bisognerebbe o meno occuparci di chi ha bisogno, cosa ti aspetti o vuoi che io risponda? 
    Ah, dimenticavo: grazie per il tuo aperto suggerimento della frase come avrei dovuto formularla, che mi fornisci addirittura bella e pronta. La prossima volta, grazie alla funzione copia e incolla, partecipare al dibattito sarà molto più facile e veloce.

    Buona giornata,
    Lorenzo

  16. Boh, A me pare che se ci si discosta anche minimamente dalle autoimposte nebbie morali che il postmodernismo tende a creare attorno a quelle che in fondo sono intuizioni etiche primarie, la distinzione tra bene e male in atti tangibili, quotidiani, che interessano persone di carne ed ossa e’ praticamente universale. sostenere il contrario corrisponde a negare l’esistenza di un’umanita condivisa.

    i.e. uno stupro, un atto di pedofilia, una tortura, una violenza emotiva compiuta su un figlio, una moglie, una sorella oggi o 5000 anni fa, compiuta a NYC o a Khartoum creano sempre lo stesso grado di sofferenza in chi la subisce. quella sofferenza definisce il male in termini universali, almeno per la nostra specie. lo sai perche puoi usare la tua innata empatia (se non e’ stata completamente sociopaticizzata, and even then…) e simulare in una sorta di Gedankenexperiment how YOU would feel if you were at the receiving end of that violence and whether that feels like good or bad.

    alla fine di tale esercizio, devi sottoporti ad una elaborata ginnastica mentale per continuare ad argomentare il contrario e rimanere onesto con quelle intuizioni morali di cui sopra. un po’ come negare che la gravita esista perche non esiste una teoria unica e completa della stessa….

  17. @ Max:
    Credo che quelle che chiami “nebbie morali” siano in realtà cambiamenti di paradigma.. Mi immagino un’ipotetica predica fatta a Kant quando costruì l’etica sull’unica ragione umana: “Ohi Immanué! Ma smettila con ‘ste nebbie morali della ragion pratica, tanto Dio ci ha già spiegato tutto!” E in un certo senso è anche successo, visto che venne censurato..

    Quando si parla di morale non bisogna confonderla con la sensibilità: non mi sembra pertinente basarla sui sentimenti di piacere e dolore.. L’agire etico è tutto interno alla razionalità.. Ed anzi, secondo me, è molto pericoloso considerare il Bene come “ciò che fa bene” ed il Male come “ciò che fa male”….
    Il discorso precedente, da quello che ho capito, tratta dei principi intellettuali di Bene e Male.. Esiste una posizione che crede nell’inseparabilità dei due, e tale inseparabilità fonda il reale. Un’altra posizione, invece, crede che il Male sia oggettivabile ed eliminabile.. A mio parere, la prima, oggi, può essere ciò a cui tendere, mentre la seconda è quella che va per la maggiore..
    Ti dirò di più: addirittura ciò che noi chiamiamo pedofilia, anche meno di 5000 anni fa, “non era male”.. Relativismo? Sì certo, ed è grazie a ciò che oggi possiamo giudicarla “male”..

  18. Nicolò scrive::

    addirittura ciò che noi chiamiamo pedofilia, anche meno di 5000 anni fa, “non era male”.. Relativismo? Sì certo, ed è grazie a ciò che oggi possiamo giudicarla “male”..

    of course, because nobody ever asked the kid….

  19. comunque l’etica della “golden rule” (http://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Rule) rimane una etica del sentire e della sofferenza, che sono certamente razionali se uno pensa che l’opposto non e’ conduttivo ad una societa ordinata, o una societa qualsiasi, punto. e se c’e’ una costante che taglia trasversalmente la storia umana dalle tavolette babilonesi alla religione indu, dalla morale cristiana a quella buddista e’ quel concetto cardine di cui sopra.

  20. Nicolò scrive::

    L’agire etico è tutto interno alla razionalità..

    Bene. Il postmodernismo, come hanno sempre fatto tutti i paradigmi (per usare una parola che amate) conservatori, è fortemente critico nei confronti della razionalità.

    Le conclusioni deducile tu, se non è troppo “logica stringente”.

  21. @ Max:
    scusa ma mi sembra superficiale come commento, non in senso dispregiativo, ma nel senso che ti fermi alla superficie di ciò che era solo un esempio forte, per sottolineare il fatto che non credo nel Male e nel Bene, in maniera disgiuntiva..

  22. Nicolò scrive::

    Ti dirò di più: addirittura ciò che noi chiamiamo pedofilia, anche meno di 5000 anni fa, “non era male”..

    Attenzione, così come lo schiavismo fino a meno di un paio di secoli fa negli stati uniti, al pedofilia non era (e in alcune parti del mondo non è tuttora) CONSIDERATA, male. Che è molto diverso. Non era considerata tale dalla società, che era di per se basata sui matrimoni con bambine. Ma il fatto che fosse praticata e ritenuta anzi addirittura positiva e meritoria non significa che non fosse male già allora.
    Il punto di vista deve essere necessariamente quello della vittima, non certo quello del carnefice.
    Io credo che sia senz’altro una dicotomia che tende all’estrema semplificazione quella bene/male, ma penso che nessuno qua in mezzo ritenga ci sia una distinzione assoluta tra l’uno e l’altro. Si tratta semplicemente di uno strumento che ci permette di esprimere determinati concetti senza dilungarci eccessivamente in elucubrazioni (per altro abbastanza scontate) sul fatto che sì Mr. Kony è un cattivone, ma forse non fino in fondo, perchè non esiste il male o il bene come entità assoluta. In ogni caso viste le discussioni interminabili che vengono fuori ogni volta che questo binomio viene proposto da Giovanni, forse come mera questione tempistica gli converrebbe lasciar perdere la prossima volta e attenersi al più consueto “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace” xD
    Insomma per concludere, penso che possiamo convenire sul fatto che ci sono azioni migliori e azioni peggiori, e che la somma di queste azioni possono contribuire a definire/giudicare un individuo. Se poi vogliamo giudicare cattiva una persona che compie monte azioni “peggiori”, certo, è una semplificazione, ma qua si potrebbe entrare in un eterna discussione di linguaggio, fintanto che ogni parola è un etichetta che racchiude in sé infinite espressioni diverse, però ci aiuta a definire un concetto più ampio.
    Ciò su cui invece non sono tendenzialmente troppo d’accordo con @ Giovanni Fontana:
    è il discorso su i dittatori cattivi e gli operatori sociali buoni, e a dire il vero soprattutto la seconda (il bene secondo me è molto più difficilmente identificabile del male). Mi spiego. Riguardo ai dittatori l’unico argomento che contrappongo è che nella storia ci sono stati anche alcuni rari casi di despoti illuminati, che hanno fatto sicuramente di più di quanto possa fare la democrazia (che ha quell’unico limite di doversi adattare alla legge della maggioranza anche quando questa è sbagliata). E su questo punto in realtà mi sono anche dilungato inutilmente visto che mi accorgo ora che scrivevi “dittatori sanguinari e signori della guerra” sui quali non ho ovviamente niente da obiettare. 😉
    Invece per quanto riguarda gli operatori sociali, non penso che basti questo a definirli delle persone migliori. Penso che molti (alcuni?) lo facciano per egoismo, per facciata, per convenienza. Io stesso, che faccio un po’ di volontariato, non penso di farlo per “bontà” (intendiamo, non penso di essere “cattivo” xD), lo faccio più perché la ritengo un’esperienza formativa, interessante, avvincente, e ovviamente anche utile (a chi ne fruisce direttamente, ma anche alla comunità). Ma prima per i motivi “egoistici”.
    Non ritengo la carità un diritto, ma al contrario ritengo l’operazione sociale un aiuto a rimettere in moto un ingranaggio che non funziona più. Se devo decidere se saziare per un mese un villaggio del Burkina Faso o costruirci una scuola, sceglierò senza esitazione la seconda.
    Scusami, anche qua mi sono dilungato eccessivamente, per farla breve ti porto l’esempio che sicuramente conoscerai perfettamente esposto nel Pamphlet di Hitchens “la posizione della missionaria”.

  23. @ Max:
    Non ho detto il contrario.. Semplicemente considero tale riflessione sulla sofferenza e sul sentire GIA’ un passaggio razionale (infatti è una Regola), in quanto, appunto, riflessione.. La base, certo, è la sensibilità. Anche perché credo sia impossibile l’esistenza di una senza l’altra. Rimango del parere che l’etica (ovviamente in senso moderno) sia razionale e non esclude ciò che hai detto tu..
    @ Giovanni Fontana:
    scusa ma veramente non capisco cosa centri il postmodernismo con quella frase che mi hai citato..

  24. Mario scrive::

    Insomma per concludere, penso che possiamo convenire sul fatto che ci sono azioni migliori e azioni peggiori, e che la somma di queste azioni possono contribuire a definire/giudicare un individuo

    Sono talmente d’accordo che l’ho scritto nel post:

    “Non c’è modo, e forse neanche ragione, di valutare la coscienza delle persone. Esse si valutano dalle azioni che compiono. L’insieme delle azioni che uno compie, assieme al contesto in cui sono maturate, sono ciò che determina se una persona è buona o cattiva (egoista/sociopatica).”

    Mario scrive::

    Se poi vogliamo giudicare cattiva una persona che compie monte azioni “peggiori”, certo, è una semplificazione, ma qua si potrebbe entrare in un eterna discussione di linguaggio, fintanto che ogni parola è un etichetta che racchiude in sé infinite espressioni diverse, però ci aiuta a definire un concetto più ampio.

    Il punto è che non c’è ragione di bandire una parola solo perché è stata usata impropriamente dall’Inquisizione. Ogni scala è relativa, l’unico senso che può avere essere “cattivi” è quello di compiere azioni cattive, non c’è nessun annesso trascendente (tanto più che le nostre azioni sono dovute a biologia e società, non c’è ragione di postulare un’anima).

    Perché buttare a mare una parola che ha invece un significato chiaro e utile?

    Mario scrive::

    Invece per quanto riguarda gli operatori sociali, non penso che basti questo a definirli delle persone migliori.

    Beh, che vuol dire “basti questo”? Non è che una perosna si esaurisce in una cosa. Se fai volontariato in un canile, ma poi la sera rapini le vecchiette, è chiaro che questo non esaurisce la questione: ma non capisco perché questo dovrebbe essere un’obiezione. Ci sono diversi gradi: meglio (meno peggio) un rapinatore di vecchiette che fa volontariato in un canile, che uno che non lo fa. Meglio ancora uno che non rapina neanche le vecchiette.

    Poi, come ho scritto, “in genere”.

    La frase in questione è questa:

    Non esistono persone buone al 100% e persone cattive al 100%, ma ci sono persone più buone e persone più cattive, come manifestiamo ogni volta che critichiamo – o celebriamo – il comportamento di qualcuno. Di quelle ci occupiamo, tanto dovrebbe bastare. Ma c’è di più: in alcune occasioni – e spesso sono proprio le circostanze di cui si occupano le persone che lavorano per i diritti umani – la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi, che non all’inesauriente e indistinto “non esistono buoni e cattivi”.”

    Sei d’accordo col primo punto, che dice che ci sono persone più buone di altre.
    Quindi la questione è se è vero che in alcune occasioni ci siano persone molto più buone di altre. Immagino sarai d’accordo anche con questo.
    Quindi rimane la quesitone del: “e spesso sono proprio le circostanze di cui si occupano le persone che lavorano per i diritti umani” nelle quali “la realtà è molto più vicina a una divisione, per quanto manichea, fra buoni e cattivi, che non all’inesauriente e indistinto “non esistono buoni e cattivi”.”

    E cioè, che se – per capirsi – prendi un asse dalla persona più buona (altruista/generosa) del mondo [100], alla persona più cattiva (egoista/sociopatica) [0], quelle situazioni lì – quelle dove ci sono pesanti violazioni dei diritti umani – sono, spesso, quelle nelle quali la realtà è più vicina agli estremi che non al fatto che tutti siano completamente identici: il volontario che si dà da fare per gli altri, e il torturatore delle squadre della morte.

  25. Secondo me tutti i disaccordi sono nati dal fatto che si sono sviluppati 2 livelli del discorso: uno proprio pratico e l’altro di principio. Anche se ho detto che Male e Bene sono inseparabili (come principio), ovviamente nella vita di tutti i giorni anch’io giudico le persone più o meno bene dalle azioni più o meno buone che compiono..

  26. Nicolò scrive::

    Anche se ho detto che Male e Bene sono inseparabili (come principio), ovviamente nella vita di tutti i giorni anch’io giudico le persone più o meno bene dalle azioni più o meno buone che compiono..

    Esatto. Si chiama dissonanza cognitiva. O Pomo complexity.

  27. @ Giovanni Fontana:
    Bè sì, è inevitabile: se vuoi farti un programma per domattina devi prescindere dal principio che nulla ti garantisce ci sia “un domattina”.. Ciò nonostante, ha comunque senso parlare di tale principio..

  28. Nicolò scrive::

    Bè sì, è inevitabile: se vuoi farti un programma per domattina devi prescindere dal principio che nulla ti garantisce ci sia “un domattina”.. Ciò nonostante, ha comunque senso parlare di tale principio..

    Al contrario: io ho molte evidenze empiriche che ci sia un domattina – naturalmente non la certezza, non sono il tacchino induttivista – e per questo ne sono persuaso.
    Qualora non sapessi se ci sarà un domattina mi comporterei in maniera completamente diversa. Invece sia tu che io ci comportiamo – già il fatto che stiamo commentando su un blog anziché salutare le persone a cui vogliamo bene – vuol dire che abbiamo la ragionevole certezza che ci sarà un domattina.

  29. @ Giovanni Fontana:
    Appunto, come ho detto, ha senso parlare di tale principio, anche se ne proponi uno di alternativo basato sull’evidenza empirica.. Entrambi arriviamo a

    la ragionevole certezza che ci sarà un domattina.

  30. che dire, a leggere David Rieff c’e’ quasi da rimpiangere i vecchi comunisti rivoluzionari, che almeno una qualche sintesi la raggiungevano dopo tanta trita dialettica. i postmoderni attuali, invece rimangono cosi invischiati nella teologia della complessita da limitare la loro massima chiarezza morale e supporto per l’azione alla scelta mattutina tra mocha frappuccino e flavored latte al locale starbucks, tra una copia di “Dissent” e l’ultima app per l’iphone…

  31. Giovanni Fontana scrive::

    Sono talmente d’accordo che l’ho scritto nel post

    Infatti tutta la parte del post stavo dando ragione a te! 😉

    Giovanni Fontana scrive::

    non c’è ragione di bandire una parola solo perché è stata usata impropriamente dall’Inquisizione

    Rileggendomi mi sono accorto di non essermi espresso troppo bene. Tutto il discorso sul linguaggio era riferito al fatto che come la parola ‘mela’ sottintende tutte le mele esistenti, esistite o immaginarie, quindi infinite variabili di colore, sapore, consistenza, gusto, eccetera, così le parole bene e male hanno infinite sfumature impossibili da definire oggettivamente. Dunque questi due termini ci aiutano nella comunicazione e non c’è motivo di eliminarle, posto che nessuno di noi intende con questi “ridurre la complessità sociale”.

    Giovanni Fontana scrive::

    che vuol dire “basti questo”?

    Ti faccio un esempio molto banale. Mentre penso che una persona che scippa vecchiette sia (ragioniamo per via ipotetica, quindi a parità di altre variabili) necessariamente peggiore di una persona che non lo fa, non penso che una persona che fa volontariato sia necessariamente migliore della stessa persona che non fa volontariato.
    Non so bene come spiegare questa mia sensazione, ma proseguendo sull’esempio provo a pensare alle attività che quella persona potrebbe fare nel tempo in cui non fa volontariato, e potrebbero esse le più svariate. Da uscire con gli amici, a stare con la famiglia, o anche solo leggersi un libro o giocare alla play station, e nessuna di queste secondo me rende questa persona peggiore di quella che fa volontariato, e quindi per logica neanche viceversa (migliore quella che fa volontariato).
    Mi rendo conto di essermi infilato in un discorso quasi prettamente linguistico dopo averlo criticato, ma mi sembra che questo esempio possa essere utile a razionalizzare il mio pensiero per chi cerca di capirlo.

    Per finire, secondo me l’unico vero criterio etico – o se non altro il più importante – è quello di non danneggiare deliberatamente il prossimo, e credo che questo abbia anche una certa oggettività. Tutte le attività che non danneggiano il prossimo, credo invece che siano più difficili da valutare, e che subentri molto più facilmente un criterio soggettivo. Per farti un esempio è “meglio” (inteso come più buono) il modesto padre di famiglia, che tutti i giorni si rompe il culo a lavoro dando il suo contributo alla società, poi la sera torna a casa e si occupa di moglie e figli, o il volontario tutto d’un pezzo, che magari ha dedicato anima e corpo al suo ideale e al bene del prossimo, però poi sta sempre in viaggio, non si prende cura dei figli, e casomai ha anche un discreto stipendio e un certo prestigio e notorietà. (secondo me in un certo senso questo prototipo di persona è molto assimilabile all’ambizioso, in qualunque campo sia: nella politica, nella scienza, nell’arte, nello spettacolo, e perché no anche nel volontariato). Per intenderci, con questo non voglio dare nessuna accezione negativa all’ambizione!
    N.B.: tra l’altro anche i famigliari, gli amici, i colleghi e i concittadini di una persona sono il suo prossimo, e allora quale prossimo vale di più? Quello povero? E perché?

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