interesse 4 su 5
Ci sono buoni e cattivi argomenti per essere a favore di questo intervento, e ci sono buoni e cattivi argomenti per essere contro a questo intervento. Io penso che i buoni argomenti a favore siano enormemente di più dei buoni argomenti contro, ma penso anche che discutere di queste cose sia un gran bene: proprio perché cerco di scegliere con cura le mie idee, sono contento che queste siano messe in discussione ed – eventualmente – migliorate.
Per fare questo, però, c’è bisogno di accordarsi su un comune denominatore di convivenza: ovvero escludere le stupidaggini. Intendo gli argomenti sciocchi, quelli che non hanno nulla a che vedere con la discussione. Il chiasso. E, qui, mi sembra che ci sia un enorme squilibrio fra il chiasso a favore e il chiasso contro. Chiunque dicesse “è giusto intervenire per prendere il petrolio ai libici” o “dobbiamo ammazzare più libici possibile” verrebbe immediatamente – e, dico io, giustamente – escluso dalla discussione fino a quando non porti argomenti migliori.
La stessa cosa non succede, invece, quando vengono tirati fuori argomenti equivalentemente stupidi o egoisti da chi è contrario a questo intervento. Si inseguono le traiettorie schizzate e i binarî morti di argomenti che nulla hanno a che vedere con la tutela della vita dei libici che – ricordiamolo sempre – è l’unico metro attraverso il quale bisogna valutare la bontà di quest’azione. Per dire: se, il Cielo non voglia, questo intervento dovesse comportare una strage di civili inermi enormemente maggiore di quella che aveva e avrebbe fatto Gheddafi, coloro che sostengono l’intervento avrebbero torto – io, ad esempio, dovrei ricredermi.
Mi sembra, invece, che quelli che portano avanti questi argomenti – slogan che replicano sé stessi – non potrebbero cambiare idea, qualunque cosa accada. E, quindi, se non si stabilisce questo principio minimo di condivisione delle idee, è inutile discutere. Io suggerisco di farla sempre quella domanda: c’è qualcosa che ti potrebbe far cambiare idea? No? Allora questa non è una discussione. Però penso anche che ci siano tante persone, probabilmente la maggioranza, che hanno sottoscritto idee buttate nella mischia da altri sulla scorta dell’emotività o della confusione; ma che, ragionandoci un attimo su, non stanno in piedi.
Perciò, gli unici dubbî sui quali ha senso riflettere sono quelli che pensano alle conseguenze lì in Libia, naturalmente anche sul lungo termine, alcuni sono qui. Questi, invece, sono gli argomenti che sento più spesso, e su cui NON vale la pena discutere:
1) Lo fanno per interesse/per il petrolio
Prima di tutto, bisogna mettersi d’accordo con sé stessi: fino a tre giorni fa i potenti del mondo dimostravano la loro malafede ignorando la Libia, ora dimostrano la stessa malafede decidendo di intervenire. Questa è, piuttosto, una profezia che si autoavvera. Come ha scritto Giovanna: “Perché l’Occidente non interviene in Libia? Perché ha troppi interessi economici, ovvio! Perché l’Occidente interviene in Libia? Perché ha troppi interessi economici, ovvio!”.
La cosa più ragionevole da pensare, invece, è che per Cameron, Sarkozy e Obama questa sia una bella gatta da pelare, e che fino a che hanno potuto hanno cercato – questo sì, cinicamente – di non imbarcarcisi. Poi, costretti dagli eventi hanno deciso di intervenire: vogliamo dire che non l’hanno fatto di propria coscienza, ma per assecondare l’elettorato che vedeva le immagini dei massacri? Diciamo che, in genere, mi fiderei più della coscienza di Obama che di quella di Putin (o Medvedev), ma fate voi, non mi importa: qui non si valuta il nostro giudizio su Obama o Putin, qui si valuta il nostro giudizio su questo intervento.
Difatti, molto più sinteticamente, la risposta a: «lo fanno per il petrolio» dovrebbe essere: “embè?”. Dovrebbe essere: “a me interessa sapere delle sorti della gente in Libia”. Chiunque abbia più in odio gli interessi di Obama o Sarkozy rispetto a quanto tenga alle sorti di centinaia di migliaia di persone in Libia, e da questo deduca che i supposti interessi dell’Occidente risolvano la questione, può portare il proprio cinismo livoroso da un’altra parte. Chi riuscirebbe a passare su migliaia di cadaveri per fare un danno ai proprî nemici non merita la nostra attenzione.
2) Fino a ieri eravamo alleati di Gheddafi
Se l’ovvia risposta all’obiezione precedente è: «embè? (quello che mi importa è la vita dei libici)», la risposta a questa è: «appunto! (quello che mi importa è la vita dei libici)». Era profondamente sbagliato fare gli amiconi con Gheddafi, era sbagliato in via di principio – perché si legittimava un dittatore sanguinario – e in pratica – perché quegli accordi erano pagati sulla pelle dei libici annegati nel Mediterraneo.
Però fare due volte lo stesso errore è peggio che farlo una volta sola. Da quando in qua perseverare nel male è meglio che smettere? E poi non possiamo mica fare lo slalom opposto: se prima Berlusconi aveva torto, e ce l’aveva, perché difendeva un assassino tiranno, non si può mica fare tutto il giro e dire che no, in fondo, non era poi così male. Ricordiamocelo: qui non è in ballo la nostra opinione su Berlusconi che, immagino, non cambierà di molto, è in ballo la vita di quelle persone. Discutiamo solo di quello.
C’è un povero ragazzo (i libici) che viene picchiato a sangue da un teppista (Gheddafi, con la connivenza di Berlusconi), e noi cerchiamo di farlo smettere. Quando poi, finalmente, quel teppista (Berlusconi) smette di picchiarlo, noi che facciamo? Gli diciamo: «eh, no, prima lo stavi picchiando, mica puoi essere incoerente»?
3) L’attacco è stato avventato. Si poteva trovare una via di mezzo prima della guerra
Perché una no-fly zone implementata con mezzi militari? Non si potevano trovare delle vie di mezzo o ulteriori sanzioni? Di queste obiezioni sarebbe la più ragionevole, perché almeno punta a qualcosa di smentibile e che non si auto-avvera. Il problema è che è già smentita dai fatti, e continuare a ripeterla contro tutte le evidenze suggerisce – nella migliore delle ipotesi – un’ostinazione cinicamente pacifista, quella che considera la pace come un fine e non come un mezzo per garantire la vita delle altre persone e passerebbe sopra a un genocidio commesso dal proprio vicino di casa per non intaccare la propria immacolata coscienza.
Come ha scritto Francesco, “esistono moltissime vie di mezzo tra ignorare lo sterminio di un popolo e dichiarare guerra alla Libia, e la comunità internazionale le ha provate tutte: gli ha intimato di smettere con crescente decisione, ha espresso dichiarazioni di condanna con tutte le sue istituzioni internazionali, ha riconosciuto ufficialmente i ribelli, ha approvato un primo pacchetto di sanzioni economiche e politiche, ha congelato i suoi beni, gli ha nuovamente intimato un cessate il fuoco, ha dato il sostegno che ha potuto dare ai ribelli. Niente di tutto questo è servito”. Si è battuta la strada dell’esilio, della presidenza dorata, quella della concertazione, quella delle sanzioni: non ha funzionato.
La verità è che fino all’altro ieri eravamo tutti qui a chiederci cosa aspettassero. Un nuovo massacro? La ragione per la quale la comunità internazionale è intervenuta così tardi è stato proprio aver provato tutte queste vie di mezzo. Tentativi ragionevoli che, a questo punto, possiamo definire fallimentari. C’è il legittimo dubbio che bisognasse intervenire prima. La decisione del consiglio di sicurezza è arrivata poche ore dopo che Gheddafi – probabilmente giocando sul terremoto in Giappone che aveva catalizzato l’attenzione internazionale – era arrivato alle porte di Bengasi, la roccaforte dei ribelli, e aveva annunciato una vendetta consumata “fino all’ultima goccia di sangue” a chiunque non si arrendesse. Era criminale aspettare ancora.
4) Stiamo violando la sovranità di uno Stato
La sovranità di uno Stato è il principio inviolabile che la tradizione conservatrice – i cosiddetti “realisti”, quelli delle dittature in Sud America, che ora sono tutti contro a quest’intervento perché (ironia della sorte) “non ci conviene” – ha sancito e riproposto dalla pace di Westfalia. Qualunque persona progressista – dai marxisti, ai liberali a tutte le vie di mezzo –, nei secoli passati, l’ha sempre considerato un vecchio arnese per permettere ai potenti del mondo di violare i diritti degli altri in santa pace. Einaudi, settant’anni fa, scriveva “[Il] principio dello Stato “sovrano”. Questo è oggi nemico numero uno della civiltà, il fomentatore pericoloso dei nazionalismi e delle conquiste. Il concetto dello Stato sovrano, dello Stato che, entro i suoi limiti territoriali, può fare leggi, senza badare a quel che accade fuor di quei limiti, è oggi anacronistico ed è falso”. È un concetto odioso, che il mondo ha cercato di limitare sempre di più. Il più grande attacco all’inviolabilità di questo principio è arrivato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: basterebbe questo per risolvere l’argomento.
Lo stesso articolo 11, tante volte tirato in ballo da chi è contrario a questo intervento, dice una cosa importante: che l’Italia ripudia la guerra come strumento d’offesa alle libertà altrui o metodo per risolvere controversie internazionali (e, semmai, in questo caso l’offesa la stava facendo Gheddafi), ma aggiunge una cosa importante che nessuno cita e Sciltian ricorda: “consente (…) le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (corsivo mio, naturalmente riferito all’Italia: ma implica lo stesso per tutti). La comunità internazionale stessa, attraverso le Nazioni Unite, riconosce la sovranità come un principio limitato dalla “responsabilità di proteggere” i proprî civili, e il fatto stesso che sia stato l’ONU ad approvare l’azione spazza via qualunque obiezione. A onore del vero, coloro che erano contro la guerra in Iraq “perché non c’era l’ONU” devono dimostrare la propria onestà intellettuale dicendosi favorevole a questo intervento.
Infine, la gente di Bengasi ha già manifestato (e oggi ha ribadito) come il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli sia dalla parte delle persone – che esultavano in piazza per il passaggio della risoluzione – e contro il despota. Come spesso succede, rispettare la sovranità (cioè la sua inviolabilità) di un luogo significa rispettare chi comanda, spesso attraverso sangue e terrore, in quel luogo.
5) Anche altrove ci sono violazioni dei diritti umani
Questo è l’argomento che l’Independent ha definito Perché-Dovrei-Mettere-In-Ordine-La-Mia-Cameretta-Quando-Il-Mondo-È-Così-Incasinato. È giusto o non è giusto mettere in ordine la cameretta? Si fa bene o si fa male? Certo, in Arabia Saudita, in Bahrein, in Qatar, in tante parti del mondo ci sono violazioni dei diritti umani: sostenere che, siccome si sbaglia in un posto, bisogna sbagliare in tutti i posti è ridicolo. Anzi, sostenere questo porta come logica conseguenza il sostegno a molti più interventi come questi qui, almeno dove ciò è fattibile. Insomma, chi è a favore di questo intervento ha ragioni di obiettare “perché non anche lì?”, ma chi è contro dovrebbe – semmai – celebrare il fatto che non ce ne siano di altri interventi simili.
Spesso questo argomento viene sostenuto su due tipi di speculazioni. Entrambe piuttosto cerebrali e indimostrabili: una è quella del complotto dei media che raccontano violazioni che non ci sono. La seconda è che gli Stati intervengano in Libia per il petrolio (vedi punto 1) e non negli altri posti perché non ce n’è. La prima rimodula in diverse maniere questo concetto: Gheddafi non sta uccidendo la popolazione (nonostante sia lui stesso ad averlo promesso), i mezzi di comunicazione sono conniventi con le superpotenze e plasmano l’opinione pubblica attraverso un determinato linguaggio (in realtà, non so se ci avete fatto caso: in Tunisia e in Egitto chi protestava era definito da tutti “il popolo egiziano/tunisino”, in Libia tutti parlano di “ribelli”, accettando sostanzialmente la retorica di Gheddafi). Anche questa obiezione è semplice da risolvere: se c’è un complotto non sei certo tu l’unico talmente intelligente da andare oltre alla cortina di fumo che hanno diffuso per tapparci gli occhi. Quindi parliamo di quello che sappiamo.
La seconda è che la bontà delle opinioni di chi è genuinamente favorevole all’intervento sia inficiata dalla malafede di chi le attua. Io non so a quali segretissime fonti abbiano accesso queste persone per leggere le menti di quei capi di Stato, tuttavia c’è un dato abbastanza ovvio: se Cameron, Obama e Sarkozy non agiscono su considerazioni umanitarie, non lo fanno certamente coloro che sono sempre stati riluttanti all’intervento: Hu Jintao, Putin/Medvedev, ma anche i Partiti dell’Egoismo come la Lega Nord o i Tea Party. Se la mia opinione a favore dell’intervento è “sporcata” dal fatto di condividerla con Obama, quella di chi è contrario ha una compagnia ben più odiosa: quella di Borghezio, di Putin, di Hu Jintao, e di tutti i dittatori del mondo a cui piace la camera disordinata così com’è. Sarà meglio rassettarla?