La lobby di quelli che tengono famiglia

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Ci ho messo tanto per capire che non fosse giusto copiare, a scuola, durante un compito in classe.

Qualche tempo fa il mio amico Franco, che conosce il mio lambiccarmi sulle questioni etiche, mi sottopose questo racconto che aveva trovato nella rubrica di Gramellini:

Una lettrice racconta di aver ricevuto dal padre, in punto di morte, una confessione che l’ha stupita e confusa. L’anziano signore era stato un professore di latino e greco stimato e temuto da tutti per la sua intransigenza. Il classico duro capace di annullare il compito in classe allo studente sorpreso a consultare un foglietto. Ma il giorno degli esami di maturità il «prof» implacabile si trasformava nel più imprevedibile degli alleati. A turno i maturandi uscivano dall’aula per recarsi in bagno. E in un angolo buio del corridoio trovavano lui, che consegnava a ciascuno la versione già tradotta. Ma non la stessa per tutti. Una versione personalizzata e con l’handicap. I meritevoli ricevevano un testo impeccabile. I meno bravi uno sporcato da un paio di errori, che per gli scarsi salivano a quattro e per i pelandroni a cinque: al di sotto della sufficienza. Il professore comunicava a ogni ragazzo il numero di errori presenti, così anche il peggiore avrebbe potuto salvarsi, se fosse stato abbastanza bravo da trovarli.

Alla figlia, prima di morire, il vecchio ha spiegato che negli esami l’emotività gioca brutti scherzi, mentre con il suo metodo venivano riconosciuti i meriti e i demeriti accumulati durante l’anno. In sostanza quell’insegnante integerrimo metteva in piedi ogni estate una truffa con l’intima convinzione di rispettare una regola superiore di moralità. Non riesco a trovare una rappresentazione più efficace dell’essenza italiana. Una parte di me condanna quel professore. Ma dev’essere una parte norvegese o austro-ungarica, non fateci caso.

Mi chiese, Franco, cosa ne pensassi. Gli risposi questo:

Io non sono “un americano”, non valuto il rispetto della legge come un valore inviolabile. Trovo che ci siano leggi giuste e leggi sbagliate, trovo che sia accettabile non sottostare al contratto sociale e decidere di violare una regola, ovviamente assumendosene la responsabilità (è lo stato di diritto). E fin qui è facile. Ma trovo anche legittimo che, ciascuno di noi, possa concedersi rispetto alla propria stessa persona delle piccole libertà che rendano la vita più facile: l’esempio classico è il semaforo rosso. Se sono le quattro di notte, su di una strada che conosco, e vedo che a distanza di km non c’è nessuna macchina che si avvicina, beh io passo anche col rosso. Naturalmente auspico che il vigile che mi becchi mi faccia la multa, perché vorrei che si facesse così di fronte a chiunque altro, e quindi a me. Altrimenti sarebbe troppo pericoloso lasciare a ognuno – magari ubriaco e spericolato – la coscienza di decidere se si può passare con il rosso o no. Diciamo che ci sono casi in cui trovo giusto astrarsi dalla legge della maggioranza, che è l’espressione della legge: un esempio, io non sono un astensionista referendario. Se non mi piace il referendum voto “no”. Tuttavia ci sono limitati casi in cui mi comporterei diversamente: ipotizziamo che sia in gioco il referendum se istitutire la pena di morte in Italia, ecco, io considererei quel tema così importante che non andrei a votare per approfittare del possibile fallimento del quorum, in questo modo violando – con un trucco – la legge della maggioranza. Non so se tu ritieni ragionevole ciò che sto dicendo, di sicuro è molto pericoloso, e me ne rendo conto: per questo non soltanto dico che accetto, ma che auspico la multa del vigile (ovviamente io, dentro la mia macchina cercherò di non farmi beccare).

Quindi come orizzonte etico si potrebbe dire che io potrei essere propenso ad accettare la soluzione del professore. Eppure no. Capisco profondamente la sua buona fede, ma trovo che ciò che noi chiamiamo “merito” è semplicemente un dispositivo che ha trovato la società per crescere. Noi vogliamo che i più bravi ottengano dei posti non perché ci sia un ordine astrale in cui essi debbano essere premiati – in fondo uno meno capace a fare le tabelline è nato meno capace – ma perché dare a chi li fa meglio gli incarichi serve a creare una società migliore, più felice, più funzionante, anche per gli altri. Pensa ai medici, agli ingegneri, ma anche ai cantanti, ai poeti o ai cuochi: è giusto che sia cuoco chi cucina meglio perché farà felice chi sazierà. Che c’entra tutta questa premessa? Ha a che fare con quel lato emotivo – in realtà parla di debolezza emotiva, di lati emotivi ce ne sono diversi, anche quelli che ti fanno andare meglio sotto pressione – di cui parlava il professore: i ragazzi che non sanno esprimere sé stessi sotto pressione, dovranno impararlo, dovranno sforzarsi. Quella non è certamente l’ultima volta che saranno sotto pressione, anzi: molto probabilmente, qualunque ruolo nella società andranno a occupare, si troveranno di fronte a numerosissime altre prove simili. Perciò, e così, questo tipo di debolezza – o l’opposta presenza di spirito – non può non andare a incidere quanto il volume di studio, l’impegno, e il merito (personale) accumulato agli occhi del Prof. Come si dice: gli esami sono esami, ma sono anche esami di vita.

Francesco ha raccontato questa cosa qui, su come funziona il giornalismo in Italia: leggetela.

Naturalmente lo spirito giusto con cui leggerla è senza giustizialismi (e senza cornette sradicate), tenendo conto che il fair-play viene prima di tutto e che dare una mano a qualcuno che ne ha bisogno è cosa altruista – e penso che sarebbe d’accordo anche Francesco, al quale questo post non creerà tanti amici –, il problema è l’istituzione.

15 Replies to “La lobby di quelli che tengono famiglia”

  1. il prof di Latino e Greco era di certo una persona buona ed altruista; facilitare la vita agli altri (alunni, figli, e così via) però non sempre significa far del bene, anzi direi proprio il contrario.
    ci sono cose che vanno affrontate con le proprie forze, mettendo alla prova sé stessi e le proprie capacità.
    meglio affrontare gli esami da soli, perché, come si sa, gli esami non finiscono mai, ed è meglio imparare presto a tenere le redini delle nostre emozioni, invece di permettere che ci blocchino per tutta la vita nei momenti importanti.
    non si può imparare a correre standosene seduti…
    si cerca di vincere la paura di cadere e si corre!
    quella faccenda dei giornalisti mi pare davvero assurda, non sapevo facessero così.
    livellamento, omogeneità, ma che fine fa la passione per una professione così interessante?
    questo però spiega come mai gli articoli dei quotidiani si assomiglino tutti.
    magari ha anche a che fare col fatto che stiamo parlando di giovani giornalisti che devono ancora “farsi le ossa” e non vogliono apparire agli occhi dei loro superiori come dei buoni a nulla?
    con tutta la concorrenza che c’è, si può anche capire.
    ma non giustificare.
    non sono mica impiegati del catasto….

  2. Giovanni Fontana scrive:

    «su come funziona il giornalismo in Italia»

    Su come funziona un certo tipo di giornalismo, quello d’agenzia in questo caso (anche se ci sono casi di trattativa anche a livelli più alti talvolta, come sappiamo bene), e solo in certi casi (una conferenza stampa, mica la rivelazione scottante, da scoop e/o premio Pulitzer) e solo per certi livelli di giornalisti (anche nella foto sul blog di Francesco si vedono dei giornalisti piuttosto giovani, e forse inesperti, come nota giustamente pure angia).

    Scommetto quello che vuoi che – dimmi due nomi a caso di giornalisti-squalo di opposte fazioni – se Nicola Porro e Concita De Gregorio (tento due nomi) assistessero all’assassinio in pubblico di un’eminenza italica, non starebbero certo lì a passarsi gli appunti, non pensi, Giovanni?

  3. Ila scrive:

    – dimmi due nomi a caso di giornalisti-squalo di opposte fazioni – se Nicola Porro e Concita De Gregorio…

    Concita De Gregorio non è proprio un esempio di squalo. Al momento non mi viene in mente uno squalo, ecco.

  4. Good grief…a meno che non abbiate avuto una rivoluzione culturale negli ultimi 15 anni ed io me la sono persa, come lettore assiduo posso dire che il giornalismo Italiano e quello anglosassone -in crisi, ma ancora un paradigma- appartenevano a due universi paralleli e non comunicanti. il solo concetto di giornalismo investigativo (fact-based, non-partisan, aggressivo, fearless, competitivo etc.) era un concetto alieno….non c’e’ ne’ scuola ne’ tradizione. i nostri/vostri giornalisti non sono mastini da guardia, quanto piuttosto poodles da compagnia, al massimo cagnini da caccia….quelli che vanno e riportano la preda del padrone su diretto comando…

    considerando come si diventava (diventa?) giornalisti in Italia non e’ che sta cosa sia cosi sorprendente…

    e non si dia la colpa all’inesperienza: Bernstein e Woodward avevano 27-28 anni quando lavoravano sul Watergate….

    nel rileggere recentemente “Democracy, Italian Style” pubblicato nell’87 l’impressione che di dava allora al mondo anche in quell’area non e’ che fosse poi cosi edificante…mi sa che piu o meno…

    1. Max scrive::

      Good grief…a meno che non abbiate avuto una rivoluzione culturale negli ultimi 15 anni ed io me la sono persa, come lettore assiduo posso dire che il giornalismo Italiano e quello anglosassone -in crisi, ma ancora un paradigma- appartenevano a due universi paralleli e non comunicanti. il solo concetto di giornalismo investigativo (fact-based, non-partisan, aggressivo, fearless, competitivo etc.) era un concetto alieno….non c’e’ ne’ scuola ne’ tradizione. i nostri/vostri giornalisti non sono mastini da guardia, quanto piuttosto poodles da compagnia, al massimo cagnini da caccia….quelli che vanno e riportano la preda del padrone su diretto comando…

      Ok, visto che vivi fuori dall’Italia, ti cito un paio di esempi recenti di giornalismo investigativo italiano, i primi che mi vengono in mente: Milena Gabanelli e Fabrizio Gatti.
      Magari non saranno a livello dei vostri mastini da guardia, ma neppure dei chihuahua: hanno assestato qualche morso ai poteri forti, in particolare la prima, e infatti hanno tentato più volte di metterle la museruola. E soprattutto hanno fatto un vero e proprio servizio d’informazione utile, come dovrebbe sempre essere. Caso raro in Italia, ma per questo ancora più prezioso e forse pericoloso.
      E comunque la libertà (la vocazione?) di un certo tipo di giornalismo è sempre correlata alla situazione politico-istituzionale di un Paese: non si può parlare di giornalismo tout court.
      E torno anche a ripetere: questo post è partito da una conferenza stampa dei rottamatori, non da piste sospette di malaffare. Se vogliamo fare un discorso sulla situazione del giornalismo italiano in generale, ok. Ma quello che confutavo poc’anzi a Giovanni era proprio l’affermazione: ecco, così funziona il giornalismo in Italia. No, quello non è il giornalismo in Italia. È un aspetto tra i tanti del giornalismo in Italia, e non so quanto influente sull’intero sistema.
      E neppure dei peggiori, ti dirò.

  5. Max scrive::

    e non si dia la colpa all’inesperienza: Bernstein e Woodward avevano 27-28 anni quando lavoravano sul Watergate…

    Beh, Max, Bernstein e Woodward lavoravano per il ‘Washington Post’, mica il ‘Pizza e Fichi Post’: non erano certo degli stagisti alle primi armi, no?
    E infatti il loro è un esempio felicissimo del classico giornalismo d’inchiesta.
    Trovami uno di questi giornalisti-capanellisti che faccia lo stesso lavoro dei due premi Pulitzer che tu citi, e con le loro stesse possibilità.

  6. Ila scrive::

    E infatti il loro è un esempio felicissimo del classico giornalismo d’inchiesta.

    Errata: giornalismo investigativo, sorry.
    Visto che ci tengo a distinguere i vari tipi di giornalismo, ho peccato di imprecisione.

  7. Ila scrive::

    , i primi che mi vengono in mente: Milena Gabanelli e Fabrizio Gatti.

    I’ll check them out…pero’ posso gia azzardare che probabilmente non fanno media? il problema sta proprio li….media bassa, e deviazione standard stretta…

  8. @ Ila:
    eh eh eh, Woodward lavorata al WP da un anno, Bernstein da 5. dimmi che fa un reporter italiano di 25-26 anni dopo un anno al corriere della sera venendo dal nulla?…le indagini sul Berlusconi o piuttosto compila le biografie dei morti del giorno?

    la differenza sta che in certi paesi si cresce in fretta e si prendono rischi, in altri non si diventa mai adulti, si cerca di non pestare i piedi ai potenti e si tira a campare….poi in ogni paese esiste una certa variabilita’ e certe condizioni di contorno. ma cio al massimo spiega il perche delle differenze, non credo le giustifichi.

    negli US c’e’ una crisi in atto nella stampa tradizionale che rischia di compromettere il suo ruolo tradizionale da cane da guardia, ma la differenza ancora esiste e la si vede nel prodotto medio….anyway…

  9. Max scrive::

    eh eh eh, Woodward lavorata al WP da un anno, Bernstein da 5. dimmi che fa un reporter italiano di 25-26 anni dopo un anno al corriere della sera venendo dal nulla?…le indagini sul Berlusconi o piuttosto compila le biografie dei morti del giorno?

    Nel 1994 Goffredo Buccini e Gianluca De Feo, giornalisti de Il corriere delle sera, fecero questo scoop qua (e ti riporto un certo sito, dove Francesco è di casa e che Giovanni ha scelto come sua residenza estiva):
    http://www.ilpost.it/2010/10/20/di-pietro-sallusti-berlusconi-1994/
    Buccini aveva 33 anni, ok, ma De Feo mi pare ne avesse qualcuno in meno, forse addirittura 29. E non penso che nessuno dei due si occupasse di obituaries fino al giorno prima.
    [N.B. Già allora c’era Berlusconi, ahinoi.]
    Cito: «Il giorno dopo il Corriere lancia la notizia in prima pagina, ed è una notizia dalle conseguenze politiche devastanti. I giornali di mezzo mondo, a Napoli per i lavori della conferenza internazionale, daranno la notizia immediatamente e dandole grande enfasi.»
    E ancora:
    «Il giorno dopo, infatti, le abitazioni dei due giornalisti del Corriere della Sera furono perquisite, e entrambi furono messi sotto indagine per il reato di pubblicazione arbitraria di atti di procedimento penale. Non si riuscì comunque a risalire alla fonte della fotocopia, per quanto è evidente che questa provenisse dagli uffici della procura di Milano: ai giornalisti fu inflitta una sanzione pecuniaria, i magistrati della procura di milano furono prosciolti. Successivamente Buccini e De Feo saranno premiati per il loro scoop.»

    Fanno media? O sono solo delle devianze? 😉

  10. Ila scrive::

    Fanno media? O sono solo delle devianze? 😉

    …solo likely outliers…ahivoi. eh eh eh spero non ti sembrero’ troppo ingeneroso (is that a word?)

    [tra l’altro questa mica era una investigazione….quanto una notizia passata dalla procura e ci fu pure un processo, Di Pietro come A.D.A. (come si dice in italiano?), con quel buffone del loro direttore, ora al Giornale, che pare menti’ sono giuramento dato che ha ammesso un mse fa in v di aver avuto le fotocopie lui stesso dalla procura……una pena, altro che giornalismo investigativo]

    io parlo di giornalisti che investigano uno-due anni e tirano giu un presidente o un generale o un CEO, non due poveretti che fanno da pedine rincorrendo uno scoop (che poi sarebbe diventata notizia comune dopo due giorni lo stesso no?) per essere primi…di quelle robe li i giornali italiani sono pieni.

    come pure abbonda il giornalismo militante, altro cancro.

    i giornalisti di cui parlo fanno sto roba qui…e lo fanno per 20-30 anni….:

    http://www.thisamericanlife.org/ ( my saturday favorite…)

    http://www.newyorker.com/magazine/bios/seymour_m_hersh/search?contributorName=seymour%20m%20hersh

    http://bobwoodward.com/

    http://rebelreports.com/

    http://www.gregpalast.com/

    (e mi fermo li, anche se basta andare nei siti dei news outlets di sotto per trovarne 10-20 in ognuno. gente con un nome riconoscibile e temuta dai politici, capaci di mettere sotto griglia un presidente in carica senza che nessuno venga poi licenziato o bulgarizzato…)

    con una tradizione precisa che copre decine di progammi e giornali e giornalisti:

    60 Minutes, 20/20, ABC World News Tonight, CBS Evening News, NBC Nightly News, PBS Frontline and Frontline/World, CNN, NPR, The New York Times, Los Angeles Times, Washington Post, USA Today, and U.S. News & World Report.

    con radici lontane e scuole:
    http://www.pbs.org/wnet/expose/index.html
    http://en.wikipedia.org/wiki/Investigative_Reporters_and_Editors
    http://en.wikipedia.org/wiki/Goldsmith_Prize_for_Investigative_Reporting
    http://www.centerforinvestigativereporting.org/
    http://www.investigativereportingworkshop.org/
    http://www.fair.org/index.php
    http://www.theinternational.org/

    insomma, un altro pianeta…..sorry, but nice try.

    (ps: se poi si vuole discutere sui nuovi trend americani degli ultimi 8 anni, quella e’ tutta un’altra storia…)

  11. ah fuck, ti avevo scritto una risposta lunga lunga…sparita! boh….

    sintesi:
    si, sono al massimo outliers, e neanche dei piu’ interessanti (un documento “rubato” da una procura e dato a sallusti di nascosto circa una avviso di garanzia che poi sarebbe stato pubblico lo stesso dopo due giorni e’ un investigazione???)

    giornalismo investigativo e’ altra roba, ed e’ pervasivo negli US, anche se un po’ in crisi (lunga storia), con decine di news outlets con centinaia di giornalisti riconoscibilissimi, con una sua storia vecchia di 150 anni, scuole, centri, workshops etc.

    insomma, nice try, but sorry…no.

  12. @ Max:
    Grazie, Max, di tutti i link! A dimostrazione che non sei affatto ingeneroso.
    Appena posso li guardo e poi ti rispondo.

    Intanto solo una precisazione riguardo all’esempio dei due giornalisti del Corriere: il mio non voleva essere un esempio di giornalismo investigativo magistrale, ma solo la replica alla tua supposizione:

    eh eh eh, Woodward lavorata al WP da un anno, Bernstein da 5. dimmi che fa un reporter italiano di 25-26 anni dopo un anno al corriere della sera venendo dal nulla?…le indagini sul Berlusconi o piuttosto compila le biografie dei morti del giorno?

    E io ti ho riportato l’esempio di due giornalisti de Il corriere della sera, quasi loro coetanei, che non si occupavano di obituaries, bensì proprio di Berlusconi. Mi pare di aver riportato tutti tutti i dati del tuo problema, no?

    Poi, non si trattava solo di una fotocopia finita tra le mani di due poveri sprovveduti, pescati a casaccio in un acquario di pischelli. Come accenna anche Francesco nell’articolo del Post che ho linkato ieri sera:

    «Sono le settimane della cosiddetta “inchiesta Telepiù”, condotta dalla procura di Milano e avente come oggetto la proprietà della pay tv e la compatibilità del ruolo di Fininvest con quanto stabilito dalla legge Mammì. Il 5 ottobre 1994 il magistrato Francesco Saverio Borrelli, allora capo della procura di Milano, dichiarò in un’intervista al Corriere della Sera – condotta da Goffredo Buccini, tenete a mente il nome – che l’inchiesta, che aveva già coinvolto Paolo Berlusconi, era arrivata a “livelli altissimi”. E quindi i giornalisti si aspettavano da un momento all’altro una notizia bomba, e i “livelli altissimi” alludevano evidentemente a un possibile coinvolgimento del fratello di Paolo Berlusconi, nonché primo ministro: Silvio Berlusconi.»

    Buccini e De Feo stavano già seguendo la faccenda berlusconiana (sempre lui!) e uno di loro aveva appena intervistato il procuratore capo Borrelli, il capo del pool della magistratura, di cui faceva parte anche Di Pietro, il pubblico ministero (ossia l’A.D.A. italiano. E così ho risposto pure alla tua richiesta).
    In quel caso c’era un’indagine della magistratura in corso che aveva tra i suoi destinatari anche Berlusconi; ok, non erano i due giovani giornalisti a investigare direttamente, ma comunque erano due giovani giornalisti che stavano pestando i calli a Berlusconi. E infatti subirono una perquisizione, un’indagine, e alla fine solo una sanzione pecuniaria.

    Poi come ho già detto (e su questo mi pare che anche tu sia d’accordo):

    la libertà (la vocazione?) di un certo tipo di giornalismo è sempre correlata alla situazione politico-istituzionale di un Paese: non si può parlare di giornalismo tout court.

    E a questo proposito vorrei capire meglio quegli 8 anni cui accenni tu, quando scrivi:

    (ps: se poi si vuole discutere sui nuovi trend americani degli ultimi 8 anni, quella e’ tutta un’altra storia…)

    A che cosa ti riferisci? Perché proprio gli ultimi 8 anni, ossia dal 2002 in poi?
    Lì per lì avevo pensato all’11 settembre, ma era il 2001.

    E comunque non è che qui io voglia difendere il giornalismo italico vs. quello statunitense. Per carità!
    Non ho le competenze necessarie, non appartengo alla corporazione, preferirei difendere altre categorie più meritevoli di battaglie.
    Ribadisco che avevo semplicemente circostanziato il concetto di giornalismo che Giovanni aveva invece generalizzato.

    p.s.
    Ti faccio un altro esempio di giornalismo investigativo italiano, il terzo esempio dopo Gabanelli e Gatti, purtroppo però finito nel peggiore dei modi (e questo lo conoscerai sicuramente):
    http://it.wikipedia.org/wiki/Ilaria_Alpi

    Anche perché non ne siamo ancora venuti a capo.
    E qui sì che ci vorrebbero dei bravissimi e impavidi investigatori.

  13. Ila scrive::

    http://it.wikipedia.org/wiki/Ilaria_Alpi

    già, Ilaria Alpi.
    oppure, se andiamo in Russia, Anna Politovskaja (non so se è scritto giusto..).
    ovvero giornalisti che hanno scoperchiato “pentole” troppo piene di schifezze.
    ce ne sono tanti altri, e sono i migliori.
    non perché sono morti, ma perché con le loro capacità avevano scoperto cose così indecenti e nascoste che i potenti non hanno avuto altro modo per zittirli.
    e negli States, è mai successo che un giornalista fosse ammazzato per le sue inchieste? (lo chiedo a Max).
    che io ricordi no.

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