Attorno al caminetto – Diario dalla Palestina 149
Ieri sera sulla via del ritorno, intorno alle 22.30, sono passato davanti alla Mukata’a: il quartier generale della polizia/esercito palestinese, quello bombardato da Israele durante l’intifada del 2002. E, come faccio sempre, ho salutato il soldato di guardia, che mi ha ricambiato il saluto. Poi in due parole mi ha chiesto se volevo un tè, e io ho detto «beh…sì». E mi sono ritrovato intorno a un fuoco allestito in un bidone bello fondo, dentro al quale erano stati infilati vari tronchi: il fuoco non solo teneva caldo, ma serviva anche a preparare il tè.
Poi, lui tapino, uno dei tre soldati è corso sù a prendere la salvia. Maramìa, qui. Perché qui quando ti offrono il tè chiedi sempre «ma’a nana ou maramia?», con la menta o con la salvia? Anche se è scontato che d’inverno è la salvia e d’estate la menta. Però è un gioco delle parti di cui conosci già tutte le risposte, e in questo modo fa sentire un po’ a casa, ospitato e ospitante.
Hanno infilato una specie di teiera dentro al fuoco vivo. Quella si è arroventata, e il tè era pronto in un attimo. Abbiamo fatto a turni, perché di bicchieri ne avevano solo due, e abbiamo chiacchierato per una mezzoretta; e siccome non sapevano una parola d’inglese (anzi una: per dire “a Roma sono più sorridenti“, dicevano “cheese”, dopo un minuto ci arrivate anche voi) credo di aver utilizzato l’intero esiguo bacino di parole arabe che so. Ci siam capiti comunque, perché c’era la collaborazione di tutti, e se le coniugazioni verbali in arabo sono terribili, io la dicevo al presente e agitavo le mani indietro, e quelli capivano che era passato remoto.
Purtroppo non avevo la macchina fotografica, ma mi hanno invitato a passarli a trovare a lavoro una di queste altre sere, che vuoldire passare di lì e sedersi su una delle poche sedie bianche che non sono occupate dal fucile d’ordinanza, lì attorno al fuoco.