Ho capito che disprezzo

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per il Post

Con quella sinuosa linea di masochismo che abbiamo spesso nel voler guardare negli occhi la miseria del mondo, mi sono messo a leggere il racconto di Lara Logan, la giornalista aggredita e ripetutamente violentata in piazza Tahrir, al Cairo, durante le rivolte del febbraio scorso.

A meno di metà ho dovuto smettere, con le lacrime negli occhi, per la rabbia, lo sconforto, l’impotenza, la vergogna di appartenere al genere umano. Sembra un’esagerazione, ma non c’è nient’altro di fronte a frasi come “bene, ora si tratta soltanto di sopravvivere. Devo solo arrendermi all’assalto sessuale. Cosa possono fare di più? Sono dentro di te ovunque”.

Ho capito che disprezzo chi, fino a ieri (e forse anche domani), ha messo in dubbio che lo stupro fosse davvero accaduto, o l’ha minimizzato, perché finora Logan aveva deciso – nella propria intimità – di non raccontare gli agghiaccianti particolari di quello che era successo.

Ho capito che disprezzo tutti coloro che riusciranno a pensare al cui prodest? di questo racconto terribile prima di diversi minuti di costernazione.

Ho capito che disprezzo coloro che useranno questo racconto per screditare le rivolte arabe di questo inverno. Perché sotto la dittatura di Mubarak le cose erano identiche. L’Egitto di Mubarak – e, purtroppo, quello di oggi – era il Paese dove il 97% delle donne straniere, e l’83% delle donne egiziane denunciavano di aver subito qualche tipo di molestia sessuale. Dove 9 donne su 10 hanno subito mutilazioni genitali femminili. Cairo è la prima città inserita nel progetto Secure Cities di Unifem. È la città che ha vagoni speciali riservati alle donne nella metropolitana. Lì, sulla questione delle molestie sessuali, sono stati scritti articoli, fatti filmdocumentarî.

Ho capito che disprezzo coloro che diranno «così Logan sta infangando gli egiziani» ché sono come Berlusconi quando disse a Saviano che infangava gli italiani nel raccontare che in Italia esiste la Mafia.

Ma la cosa che ho capito più forte è che quelli che più disprezzo sono quelli che, senza un minimo di pudore o una pausa per elaborare l’angoscia, diranno «eh, ma queste cose succedono anche da noi» – razzisti dello stupro, razzisti del noi loro – che, quando cose del genere succedono “da noi” non si sognerebbero mai di dire «eh, ma queste cose succedono anche in Egitto».


Burqa e veline non c’entrano nulla

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Giulia Innocenzi, alla quale mi legano diverse frequentazioni comuni che me ne hanno sempre parlato in termini molto positivi, e perciò – credo – anche una vicinanza su molte cose che pensiamo, ha scritto una sciocchezza: “partiamo dal velinismo prima che dal burqa“. Non solo fa un’equivalenza fasulla, ed efferata, fra due fenomeni la cui gravità è di una sproporzione spaventosa, ma articola l’idea per cui la priorità vada data al principio ragionevolmente meno impellente.

Naturalmente il velinismo, che è perfettamente riassunto nell’atteggiamento da millantatore in punta di cazzo del Presidente del Consiglio, è un fenomeno preoccupante, ma c’è un dato evidente: conosco tante persone che non si (s)vestono come veline. Possono farlo. Nessuno le ammazza, le picchia a sangue, le persegue per legge, le costringe in casa (anzi, semmai succede l’opposto) per essersi vestite troppo. Le donne costrette a portare il burqa – o anche l’hijab – invece non hanno scelta: se non lo fanno vengono uccise, massacrate e rinchiuse, nella migliore delle ipotesi (!) violentate – del resto è proprio questa la ragione per cui il Corano (33;59, 33;55) e numerosi Hadith sostengono che le donne debbono coprirsi: preceisamente per non aizzare il desiderio sessuale dell’uomo, e subire molestie (riecheggia qualcosa questa teoria della donna troppo svestita e quindi responsabile del proprio stupro, eh?).

Ciò, naturalmente, non vuol dire che non ci siano alcune donne che fin da bambine sono state così indottrinate  a considerare il proprio corpo come strumento del Diavolo, come succedeva fino a qualche tempo tempo fa in Italia, da voler mettere il Burqa di volontà propria, né che bisogni toglierglielo per legge. Anzi, io sono contrario al divieto del Burqa come in Francia, come ho detto in altre occasioni sono un “integralista del Primo Emendamento”, trovo la libertà d’espressione insindacabile (naturalmente, diverso è il discorso per una minorenne). Un’osservazione da fare, però, è che chiunque sia a favore dell’obiezione di coscienza come concetto – idea che io, invece, non sopporto – potrebbe trovare buone ragioni per essere a favore della legge: lo Stato francese fa obiezione di coscienza rispetto a una cosa che non ritiene giusta, ovvero il burqa.

Bisogna smettere di gonfiare questo benaltrismo sciocco per cui “noi-non-siamo-meglio-degli-altri”, e quindi ce ne laviamo le mani: intanto noi chi? Altri chi? Io considero giusta e importante dare l’adozione agli omosessuali, non mi sembra che la società in cui vivo – quel noi – sia molto favorevole alla prospettiva. Ma poi: da quando in qua le idee son giuste o sbagliate a seconda di chi le dice? Da quando in qua un’idea giusta, detta da uno che ha altri tipi di magagne, diventa un’idea sbagliata? Allora, se domani il Papa si alza e dice che bisogna eliminare la fame nel mondo, eliminare la fame nel mondo diventa sbagliato?

Noi – io, voi, tutti, ciascuno per sé – dobbiamo cercare di fare sì che gli altri, che sono quelli che ci stanno accanto ma anche quelli che ci saranno, siano meglio di quello che siamo noi. Non cerchiamo di farli assomigliare alla nostra società attuale, se non per le cose che ci piacciono, ma a una società migliore di questa.

E buon Undici Settembre a tutti

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In genere non mi piacciono le commemorazioni dell’Undici Settembre, anche perché spesso hanno una sproporzione e un afflato retorico eccessivamente americano, che non apprezzo completamente.

Perciò, una cosa che posso consigliare di fare, è leggere questo articolo scritto tre anni fa Hassan Butt, un ex-terrorista islamico nel Regno Unito. È una storia buona da leggere un Undici Settembre, specie questo Undici Settembre, e inizia così:

Quando ero ancora un membro della Rete Jihadista Britannica, una serie di gruppi terroristici semi-autonomi collegati da una sola ideologia, mi ricordo come celebravamo con delle grasse risate tutte le volte che in televisione le persone proclamavano che la sola causa degli atti di terrorismo islamici come l’Undici Settembre o le bombe a Madrid e Londra fossero causa della politica estera dell’Occidente.

Biasimando il governo per le nostre azioni, coloro che parlavano delle “bombe di Blair” facevano propaganda per noi. E, ancora più importante, ci aiutavano a portare via l’attenzione da un esame critico di quello che era il vero motore della nostra violenza: la teologia islamica.

Il post sul ministro sparito dal sito del Foglio

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Giulio Meotti è un giornalista del Foglio che mi è capitato spesso di leggere, parla delle cose che interessano a me – Israele e Palestina, Occidente, Islam, etc – e mi è sempre sembrato arguto e ironico, oltre che non disonesto – anche se chiaramente troppo appiattito sulle posizioni della destra israeliana.

Il 23 agosto ha scritto un post sul proprio blog ospitato dal Foglio in cui faceva, sostanzialmente, l’apologia dell’ex-ministro tedesco Thilo Sarrazin autore di un libro in cui parlava dell’enorme rischio costituito dall’immigrazione mussulmana, e dell’islamizzazione della società europea. Sarrazin aveva scritto cose anche sensate, ma poco politically correct come: “Non desidero che il paese dei miei nipoti e pronipoti diventi in gran parte musulmano (…) dove le donne portano il velo e il ritmo della giornata è scandito dai muezzin”. Meotti ironizzava sulla certa crocifissione mediatica e giudiziaria che sarebbe seguita alla faccenda, e concludeva il pezzo con: «Evviva, ci arrendiamo!», citando Broder.

Il 27 agosto Meotti aveva scritto anche un articolo sul cartaceo del Foglio in cui raccontava la questione della pubblicazione del libro, in cui raccontava le opinioni dell’ex-ministro e parlava della polemica che era nata all’interno del suo partito, e in genere in Germania.

Successivamente, però, Sarrazin ha saltato lo squalo: se n’è uscito con delle dichiarazioni ignoranti sulla presenza di un gene diverso in alcuni popoli fra cui gli ebrei; di qui l’accusa di antisemitismo, e la richiesta di dimissioni dal direttorio di Bundesbank da parte di Angela Merkel. La cosa deve avere creato molto imbarazzo in Meotti che è amico d’Israele e molto interessato alle questioni ebraiche, che si è reso conto – immagino – di avere fatto un accostamento inopportuno. Però, invece di scrivere per spiegare il proprio errore, ha deciso di far sparire il post (che però si può trovare nella cache di google) facendo finta che nulla sia successo.

Ora, intendiamoci, è pienamente legittimo distinguere fra antisemitismo – nella più comune accezione del termine, quella dell’intolleranza nei confronti di un’etnia – e anti-islamismo, quando qui s’intenda la critica a un sistema di pensiero – come, ragionando laicamente, sono tutte le religioni – che non si condivide. Il razzismo è contestare le caratteristiche innate di una persona, mentre mettere in dubbio le sue idee – come si fa per il socialismo o il liberalismo – è un atto necessario e altruista. E non c’è niente di male neppure nell’aver scritto qualcosa di cui poi ci si pente, è successo tante volte anche a me. Sarebbe stato più onesto, però, scrivere «ho toppato», e non cercare di cancellare traccia del proprio autoammesso errore: questa è una di quelle cose che, la prossima volta che leggerò un articolo di Meotti, mi faranno domandare «ma è tutto vero?».

grazie a Luca F