Buon San Valentino, ma non a voi

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L’unica tradizione di questo blog, come ogni anno, il post di San Valentino.

Tanti auguri.

Agli unici innamorati al mondo che non possono permettersi di non sopportare questa festa. Che non hanno il diritto di sogghignare dei lucchetti a Ponte Milvio o farsi venire l’urticaria per le strade tappezzate di cuori di peluche rossi. Di ridere delle scritte per terra, o di considerare kitsch le scatole di cioccolatini a forma di cuore.

In Arabia Saudita, e in tanti altri posti del mondo, festeggiare San Valentino è vietato dalla legge. Ti viene a prendere la polizia per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Non è una parodia, si chiama veramente così. Perché amarsi è un’idea occidentale.

A tutti coloro per i quali volersi bene è – necessariamente – un atto rivoluzionario, a loro, buon San Valentino.

Weinstein e noi

Tutte le scelte che facciamo influenzano gli altri. Ogni nostra azione o pensiero espresso contribuisce a modificare l’ambiente nel quale viviamo, noi e gli altri. Per questo è sempre una sciocchezza dire (o indirizzare) un “non sono cazzi miei” (o “tuoi”).

Un produttore che estorce prestazioni sessuali in cambio di favori non è soltanto responsabile del suo singolo comportamento, ma contribuisce a creare un ambiente nel quale questo comportamento è accettato (o, come si sente dire in questi giorni, “capita a tutte”, “è sempre stato così”, etc). Immaginate quale diverso genere di reazione si avrebbe se l’accusa fosse di rapimento: nessuno suggerirebbe che “è un comportamento vecchio come il mondo” (quando, nei fatti, lo è: ne è piena la mitologia). E, proprio per questo, immaginate quanto più agevole (meno umiliante) sarebbe per la vittima denunciare tale comportamento.

Lo stesso vale per le vittime. Essere vittima di un’ingiustizia non rende i proprî comportamenti eticamente irrilevanti. L’essere una vittima non appiattisce ogni reazione. Ci sono vittime che si comportano in centinaia di modi diversi, e annullare questa differenza, suggerire che tutti (tutte) sono uguali, è un’ulteriore ingiustizia. Le accuse a Harvey Weinstein raccontano un’ampissima gamma di comportamenti deplorevoli, dallo stupro alle molestie, dall’estorsione a sfondo sessuale alla omertosa compravendita delle stesse, dalle minacce di rovinare una carriera al tentativo di estorcere omertà. Raccontano anche un’ampissima gamma di reazioni delle vittime: chi si arrende al ricatto, chi non lo fa, chi soggiace alle minacce, chi si chiude in bagno; a fatto avvenuto c’è chi va immediatamente dalla polizia, chi decide di denunciare dopo vent’anni, verosimilmente ci sono tante altre persone che non trovano il coraggio di denunciare.

SilenceQuesto, ovviamente, non rende la persona meno vittima: quale che sia la reazione di una vittima di un’ingiustizia, quella persona ha diritto – e noi abbiamo il dovere di darlo – al conforto che, giustamente, proviamo per le vittime. E, altrettanto ovviamente, non cancella le circostanze – come lo stupro – nelle quali la vittima non ha alcuno spazio d’azione. Alcune non hanno avuto la possibilità di chiudersi in bagno. Ma la totale privazione dello spazio d’azione non può essere determinata, ipso facto, dallo squilibrio di potere fra le due persone coinvolte.

L’idea che quando esiste una qualunque forma di squilibrio di potere non possa esserci consenso è un’idea assurda. È un’idea che riduce l’umanità a una colonia batterica: assume il peggio da ogni persona e la tratta con sufficienza: «chiunque farebbe lo stesso». Non è vero. Ci sono tante persone – io ne conosco diverse, e sono certo anche voi – che si sono trovate in una situazione simile e hanno sbattuto la porta in faccia al potente di turno e, allo stesso tempo, all’occasione che era stata loro ventilata.

Possiamo dire che una persona che rifiuta tale ricatto e lo denuncia contribuisce a creare un mondo libero da questo sistema di vessazioni più di una persona che vi acquiesce? Certo che lo possiamo dire. Possiamo dire che le persone che hanno deciso di denunciare Weinstein sono più coraggiose e generose di quelle che non l’hanno fatto? Sì. Non tutti i comportamenti sono uguali.

È chiaro: fronteggiare un sopruso, fronteggiare il male, non è una cosa facile. Ma dare per scontato che sia impossibile, che non esiste comportamento virtuoso, che di fronte alle ingiustizie siamo tutti uguali, è la cosa più conservatrice che c’è. E, se ci pensate, è lo stesso cinismo fatalista dell’antitetico e altrettanto in voga: «se vai nella stanza del produttore è colpa tua».

I veri scafisti siamo noi

Partiamo da un concetto semplice: se una persona è disposta a rischiare seriamente la vita facendo una traversata in mare vuol dire che l’alternativa che ha, quella di rimanere dov’è, è peggio che rischiare la vita. Se è disposta a pagare per farlo, vuol dire che l’alternativa è molto peggio. Detto in altre parole, non attraversare il Mediterraneo significa per queste persone una delle due seguenti cose:
– rimanendo nel proprio Paese quelle persone correrebbero un rischio maggiore di essere uccise
– rimanendo nel proprio Paese quelle persone vivrebbero una vita che loro considerano chiaramente peggiore che rischiare la morte

NaufragioNei fatti, ciò che questa preferenza dice è che – contrariamente a quanto suggerirebbe l’intuito – pagare uno scafista per fare la traversata del Mediterraneo permette a chi lo fa di diminuire il rischio di morire o di vivere una vita peggiore della morte. Lo scafista non lucra sulla vita delle persone, lucra sulla possibilità di offrire un futuro migliore a quelle persone. Naturalmente non mi spingo a dire che siano personaggi positivi, perché per la maggior parte sono delinquenti con pochi scrupoli affiliati a piccole o grandi mafie locali.

Ma non è il loro operare a portare più morti, come dimostra il ragionamento. A portare più morti sono le leggi assurde dei Paesi europei che costringono questi esseri umani disperati a rischiare la vita per muoversi da un luogo all’altro del mondo. A portare più morti sono le frontiere chiuse dai nostri Paesi, che sono anche l’unica ragione per la quale gli scafisti esistono: via frontiere chiuse, via scafisti. A portare più morti siamo noi.

E c’è di peggio. La ragione più diffusa per rifiutare di accogliere queste persone è che il migrante venga a sottrarci la nostra ricchezza, sia essa posti di lavoro, sussidî o welfare. Non li accogliamo per la banale ragione che vogliamo tenere per noi quei soldi, e questo vuol dire – matematicamente – uccidere più persone. Più chiaro di così. Quelli che lucrano sulla morte delle persone non sono gli scafisti. Quelli che lucrano sulla morte delle persone siamo noi.

Second Tree

Second Tree

È da tanto tempo che manco di aggiornare su cosa mi sta succedendo qui, su quali siano i miei progetti, su cosa mi tiene occupate le giornate. Beh, la risposta a tutte queste domande è una, Second Tree.

Ora, i più affezionati lettori avranno già identificato l’origine del nome, sì, quel proverbio che mi piace tanto:

Il miglior momento per piantare un albero era vent’anni fa; il secondo miglior momento è ora.

Second Tree LogoLa storia è questa: lo scorso novembre, con tutto quello che era successo a Katsika, assieme ad altri volontarî indipendenti che avevano lavorato nel campo, abbiamo deciso che il miglior modo per continuare il nostro lavoro era creare una ONG greca. Così abbiamo creato Second Tree.

Al momento siamo attivi nell’area urbana di Ioannina, dove continuiamo il lavoro iniziato a Katsika e aiutiamo i profughi che sono in campi, appartamenti o alberghi con programmi di assistenza, educativi e di integrazione. Una cosa della quale siamo particolarmente orgogliosi è che alcuni profughi che erano a Katsika, ora ci aiutano come volontarî: è un messaggio molto positivo che le persone che sono state aiutate in passato, ora hanno voglia di aiutare le nuove generazioni di profughi che si trovano nelle condizioni nelle quali loro erano.

Il campo di Katsika è ancora chiuso, e mentre aspettiamo che riapra, stiamo lavorando in diverse aree. In collaborazione con altre ONG, distribuiamo pannolini, salviette per bambini e kit igienici per garantire standard igienico-sanitari accettabili per adulti e bambini.

Grazie alle donazioni lasciateci da volontarî che erano stati a Katsika, abbiamo fornito l’accesso a cure oculistiche e dentistiche a 200 persone che dal campo erano state spostate in alberghi prima di essere nuovamente spostate. Abbiamo organizzato appuntamenti dal dentista e dall’ottico coprendo interamente i costi delle visite, delle operazioni, degli occhiali e del trasporto. In questo momento stiamo raccogliendo fondi per estendere il programma del dentista ad altre comunità di profughi che vivono a Ioannina (sia di Katsika che di altri campi) dato che al momento nessun’altra organizzazione fornisce questi servizî.

Abbiamo offerto lezioni di inglese per adulti, per uomini donne e bambini, nell’hotel Exohi da gennaio a giugno, quando questo ha chiuso abbiamo cominciato a dare le stesse lezioni nel Community Centre a Ioannina, e successivamente abbiamo cominciato a dare lezioni d’inglese nel nuovo campo di Agia Eleni. Abbiamo inoltre collaborato con altre ONG e offerto il trasporto per attività ricreative, come il cinema e il parco giochi per i bambini, e accompagniamo gli scout nelle loro escursioni. Proprio lo scorso fine settimana c’è stato un passaggio di testimone, abbiamo assistito gli scout di Katsika nel cominciare un nuovo gruppo di scout ad Agia Eleni che continueremo a supportare nelle settimane a venire.

Infine, stiamo portando avanti il Refugee Twinning Project (progetto di gemellaggio per profughi), un programma di integrazione che abbina famiglie di profughi con persone greche per incoraggiare legami di amicizia e solidarietà. Il progetto è indirizzato ai profughi che hanno fatto richiesta di asilo in Grecia, e dà loro l’opportunità di incontrare persone nuove e di adeguarsi più facilmente alla loro nuova vita qui. Abbiamo già gemellato sette famiglie afgane alle loro controparti greche e ora siamo nel pieno del secondo giro, al quale partecipano siriani e greci. È un programma di cui sono molto orgoglioso perché mira davvero all’integrazione delle persone.

Insomma, siamo piccoli ma facciamo già tante cose belle.

Ah, Second Tree ha anche un sito e una pagina Facebook.

Per chi suona la campana

WhatsApp Image 2017-05-25 at 00.45.04Ieri ho postato su Facebook questa foto, ho scritto: “L’unica persona che conosco che riesce a portare sulle spalle il mio peso e quello del mondo (non so quale dei due sia più pesante!) mantenendo il sorriso. Buona fortuna Maestro Firas, per la tua nuova vita”. Firas è partito per Atene, dove starà un mese prima di prendere un volo per la Svezia, il suo Paese di destinazione.

È quello che sta succedendo in questi giorni a molti siriani che sono arrivati qui in Grecia prima del 20 marzo del 2016, quando l’accordo fra la Turchia e l’Europa è entrato in vigore. Gli afgani e le persone arrivate dopo quella data non hanno questo diritto e devono chiedere asilo in Grecia. Ma, almeno per i siriani che erano a Katsika, qualcosa si muove. Molti di loro hanno ricevuto la loro chiamata e altri la riceveranno nelle prossime settimane, dopo 15 mesi in uno stato di perenne attesa. Chi invece ha un parente di primo grado in Europa (figlio minorenne, marito o moglie), per la gran parte in Germania, e ha fatto domanda per il ricongiungimento familiare dovrà aspettare ancora moltissimo. È di pochi giorni fa la notizia che la Germania accetterà soltanto 70 persone al mese per i prossimi anni per il ricongiungimento familiare, a questo ritmo dovranno aspettare anche tre anni prima di tornare a vivere con le persone cui vogliono bene. Provate a immaginare cosa vuol dire essere separati dalle persone che si amano per più di quattro anni.

Almeno per le persone come Firas, però, questa lunga attesa – che è come una drammatica e del tutto casuale chiamata alle armi, per chi suona la campana – sta arrivando al termine, e questa è una bella notizia. Firas era il direttore della scuola del campo di Katsika, un’esperienza molto importante che ha dato a tutti i bambini che erano nel campo la possibilità di continuare con la loro educazione quando, per tanti mesi, non c’era alcun supporto dalle grandi organizzazioni o dallo Stato greco. Firas era quello che si svegliava la mattina e andava a suonare la campana della scuola per il campo. Firas era la persona che organizzava gli incontri con gli insegnanti, molti volontarî ma soprattutto molti abitanti del campo, che provavano a dare un po’ di normalità a quei bambini. Firas era l’anima di quella scuola. Più di tutto il resto, Firas è ormai un amico.

Non ho mai visto Firas triste. L’ho visto sorridere, come scrivevo. L’ho visto arrabbiato, qualche volta; l’ho visto scherzare, giocare, prendersi in giro. Ma no, non l’ho visto mai triste, nonostante tutto, nonostante mesi e mesi di vita in una tenda. E ovviamente non l’ho mai visto piangere, neppure di gioia, quando è nata sua figlia Mary, la sua primogenita, una delle bambine nate nel campo profughi di Katsika. L’ho visto piangere ora, per la prima volta, quando sono andato a salutarlo prima che prendesse il bus per Atene. Gli ho portato la campana della scuola – la si vede in quel sacchetto nella foto – che avevo conservato per lui. Quando ha aperto il sacchetto e l’ha vista è scoppiato in lacrime, immagino quanti ricordi gli siano passati davanti. Gli ho promesso che lo andrò a trovare in Svezia e, insieme a Mary, suoneremo quella campana.

p.s. In molti mi hanno chiesto cosa sto facendo io ora che il campo ha chiuso, in questi mesi abbiamo cominciato un piccolo progetto assieme a un gruppo di volontarî che era a Katsika, presto ne scriverò!

 

Buon San Valentino, ma non a voi

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L’unica tradizione di questo blog, come ogni anno, il post di San Valentino.

Tanti auguri.

Agli unici innamorati al mondo che non possono permettersi di non sopportare questa festa. Che non hanno il diritto di sogghignare dei lucchetti a Ponte Milvio o farsi venire l’urticaria per le strade tappezzate di cuori di peluche rossi. Di ridere delle scritte per terra, o di considerare kitsch le scatole di cioccolatini a forma di cuore.

In Arabia Saudita, e in tanti altri posti del mondo, festeggiare San Valentino è vietato dalla legge. Ti viene a prendere la polizia per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Non è una parodia, si chiama veramente così. Perché amarsi è un’idea occidentale.

A tutti coloro per i quali volersi bene è – necessariamente – un atto rivoluzionario, a loro, buon San Valentino.

Oggi ho pianto tanto

Oggi c’è stato l’annuncio tanto atteso: tutti i 170 profughi ancora a Katsika saranno spostati in un albergo a un’ora e mezza da qui. Domani sarà il momento di pensare a tutte le cose da fare, a come aiutare queste persone e a quando, probabilmente presto, ne porteranno tante altre dalle isole; ma oggi è quello delle lacrime, della commozione, per questo momento atteso nove mesi.

Passano i mesi

A Katsika le cose cambiano, lentamente, ma cambiano. Chiunque sia stato qui in estate e torna in inverno trova una situazione molto diversa, per tre ragioni: una è che ci sono molte meno persone. L’ultimo censimento dice che ce ne sono 172, sono le più sfortunate, perché tutti gli altri sono stati portati in alberghi prima di essere trasferiti in altri Paesi; la seconda è che fa freddo, molto freddo. La notte si arriva a diversi gradi sotto lo zero, temperatura spesso accompagnata dal vento: vige la regola non scritta, che al bagno si va solo di giorno, perché anche solo affacciarsi fuori porta le maledizioni dei compagni di container o di tenda. I bambini, anche grandi, che non possono resistere, indossano pannolini; la terza ragione è che sono arrivati i container. Siamo al terzo stadio, c’erano le vecchie tende, poi ci sono state le nuove tende, ora ci sono i container, che sono obiettivamente un netto miglioramento delle condizioni in cui vivono le persone. Il colpo d’occhio del campo, oggi, è qualcosa di simile:
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Tutti vivono nella più grande incertezza: c’è chi dice che il campo chiuderà a breve, c’è chi dice che porteranno altre cinquecento persone da altri campi. Si vive alla giornata, e nessuno sa molto del proprio futuro.

Nel frattempo una delle organizzazioni che lavorava nel campo, Olvidados, è stata cacciata dall’esercito. Nessuno ha chiaro cosa abbiano fatto di preciso, ma sembra abbiano fatto arrabbiare un generale in un altro campo. Olvidados pagava molti dei servizî che offrivamo nel campo, quindi queste settimane le ho passate a provare a riorganizzare le cose. Non è facile, ma le cose si stanno mettendo per il meglio, e anzi, complice la diminuita popolazione, siamo riusciti ad avviare un nuovo servizio: dare verdura fresca una volta alla settimana.

In tutto questo, una nota di colore. Questo qui è Ferchu, un volontario che lavora con l’associazione Pangea:

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Notate qualcosa? Forse no. Beh, ha un’orecchino, un piercing. Se l’è fatto qui. Un gruppo di altri volontarî gli aveva detto: se fai fare un piercing ti diamo 300 euro. Lui non se l’è fatto dire due volte. Detto fatto, eccolo lì che festeggia in posa il suo successo. Ovviamente i 300 euro li ha investiti per la gente del campo.

Soldi

Ad aprile scorso, prima di venire qui a Katsika, ho lanciato una raccolta fondi che mi avrebbe permesso di fare il volontario per qualche mese. In pochi giorni ho raccolto quasi sei mila euro (5753 per la precisione). Non sapendo quanto sarei rimasto, raggiunta questa cifra ho preferito chiudere la raccolta. Alle varie persone che mi hanno chiesto successivamente di contribuire, ho sempre detto che per il momento non c’era bisogno di inviare altro denaro, e che quando ne avessi avuto la necessità avrei fatto una nuova raccolta.

Questo post è per dire che non ce ne sarà bisogno. Un insieme di onlus piemontesi, il Consorzio Coesa, che è venuto a Katsika e ha visto il mio lavoro, si è offerto di coprire le mie spese fino a fine anno. Dopodiché vedremo la situazione del campo, e decideremo se continuare.

Alcuni dei soldi delle donazioni li ho spesi per il campo, la maggior parte per il mio sostentamento. Mi sono avanzati 620 euro, che investirò come donazioni per migliorare le condizioni del campo.

Le attività

Da giugno ho lasciato la gestione del negozio e faccio il coordinatore delle attività nel campo. Queste attività sono state create e vengono svolte ogni giorno da volontarî indipendenti (come me) e quelli di tre ONG spagnole che operano qui: Olvidados, Aire e Pangea.

Chi è stato a Katsika conosce bene queste attività, e le riconosce come uno dei tratti distintivi del campo. Ma chi non è mai venuto (e se non siete venuti, pensateci: perché non venite?) non le conosce e potrebbe non immaginare quante cose si possono organizzare in un campo profughi.

wp_20160902_10_44_14_proLa lavagna sulla quale ogni mattina assegniamo le attività per la giornata

C’è la scuola, che abbiamo costruito assieme e ora è gestita dalla comunità, alla quale noi forniamo insegnanti per le lingue straniere, principalmente inglese e tedesco (tutti vogliono andare in Germania, e se sanno un po’ di tedesco hanno più possibilità di essere mandati lì). C’è un asilo, per i bambini che non vanno ancora a scuola. C’è il cinema, che facciamo due volte a settimana, e mostriamo film – quasi sempre cartoni animati, ma va fortissimo anche Mister Bean – con un proiettore e delle casse.

C’è il baby food, che è l’attività con la quale diamo ogni giorno frutta fresca ai bambini dagli 0 ai 3 anni. C’è il Milky Way, che è la tenda nella quale diamo alle donne incinte o quelle che allattano, latte in polvere, pannolini, salviette, verdure e nutrienti. C’è una palestra, che abbiamo costruito con l’aiuto della comunità, e che ora è gestita da loro stessi, nella quale vengono svolte attività sportive ma anche di riabilitazione (ci sono persone nel campo che hanno subito le conseguenze della guerra). C’è la distribuzione dei sacchetti della spazzatura: vogliamo che le persone raccolgano la spazzatura loro stessi, ma noi forniamo i sacchetti, tenda per tenda. In questo modo abbiamo anche la possibilità di vedere se ci sono dei problemi nelle tende, se qualche bambino è malato, o cose di questo genere.

C’è un attivissimo gruppo di scout, diviso in diverse fasce d’età, che fa escursioni in tutto l’Epiro. C’è un gruppo di infermieri che porta le persone in ospedale (o le famiglie, per delle visite), segue i loro casi e le riporta a casa. Noi, non essendo ong mediche (qui nel campo c’è Medici del Mondo) non possiamo operare come dottori, ma svolgiamo queste attività di supporto coordinandoci con i medici.

C’è il negozio, che è dove diamo i vestiti: naturalmente non si paga, ma non abbiamo trovato un nome migliore di “shop”. Qui, ogni mese, tutti gli utenti del campo – seguendo un ordine sorteggiato – possono venire e prendere dei vestiti. All’inizio c’era una vera e propria emergenza, perché nessuno aveva altro che i vestiti che aveva indosso, ora che abbiamo fatto cinque volte il giro del campo cerchiamo di offrire un’esperienza più piacevole, senza corse, come fosse un vero negozio in una vita normale.

Poi c’è la porta, che è la difficilissima attività di tenere i bambini fuori dal magazzino. Gestiamo infatti due magazzini: quello più vecchio è un ex hangar all’interno del campo dove teniamo ciò di cui abbiamo bisogno per le attività giornaliere e per i bisogni della settimana corrente. C’è poi un nuovo magazzino, molto più grande e poco fuori dal campo, dove teniamo tutto il resto. Il materiale che teniamo nel nuovo magazzino non serve soltanto il campo di Katsika e l’edificio di Faneromeni (dove sono gli yazidi), ma i 5 campi profughi della regione dell’Epiro.

Durante l’estate abbiamo avuto la fortuna di avere tanti volontarî e questo ci ha permesso di mettere in piedi e mantenere attive tutte queste attività, ora che ce ne sono meno stiamo cercando di darci da fare per fare il possibile.