4-3-3 ragioni per seguire il Pescara di Zeman

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«Non mi sono mai divertito così tanto in carriera»
Emmanuel Cascione, centrocampista del Pescara

Oggi il Pescara è primo in classifica, ed è arrivato il momento di scrivere questo post che aspetta da tempo.

L’anno scorso c’era il Foggia, in Serie C, e lo seguimmo. Quest’anno c’è il Pescara, in Serie B, e va seguito. Forse ancora di più. Io ho visto più partite del Pescara (ne ho saltata una sola) che della Fiorentina, e vorrei convincervi che ho fatto bene.

Se non sapete chi è Zeman, fate male. Questa è la mia descrizione minima:

Chi si interessa anche un poco di calcio sa chi è ZdenÄ›k Zeman, qualcuno lo ama, altri lo odiano. Io lo amo. Per gli altri, basti sapere che è il simbolo dell’onestà e del gioco pulito – fu lui il primo a denunciare seriamente il sistema-doping nel calcio, ricevendone un ostracismo che dura tuttora. È un personaggio irrinunciabile. E soprattutto è un offensivista.

Le squadre di Zeman giocano bene, incredibilmente bene, e attaccano sempre. Se stanno perdendo attaccano, se stanno pareggiando attaccano, se stanno vincendo – indovinate un po’ – attaccano. Perciò fanno una caterva di gol e ne subiscono un’altra caterva. Per questa ragione non gli va sempre bene: chi tifa una squadra di Zeman sa di mettere alla prova le proprie coronarie. Puoi perdere 3-0 e riuscire a rimontare o vincere 3-0 e farti recuperare. E così, fra i detrattori, si è guadagnato la nomea di perdente. Ma come dice lui: «Il risultato è occasionale, la prestazione no».

Quindi, ecco, seguite il Pescara. Provo a convincervi, in 10 motivi. Anzi, in 4-3-3.

Zeman è l’unica persona al mondo che – se la cerchi su Google – non ha la propria foto come primo risultato, ha un modulo. E quel modulo è Zeman. È lo Zeman allenatore e tattico, quanto è lo Zeman personaggio e maestro (come lo chiamano i suoi ammiratori). Questo perché lo Zeman personaggio è diverso, ma vale quanto, lo Zeman allenatore: ci si appassiona a un personaggio così; e ci si appassiona a uno che gioca così. Il fatto che siano la stessa persona, il personaggio e l’allenatore, è una cosa pazzesca.

Taciturno, sardonico, genuino. Celebre per i suoi silenzî, va da Fabio Fazio che cerca di farlo parlare «lo sa che in un’intervista uno domanda e l’altro dà la risposta?», e Zeman controbatte: «se lui la sa». Poco dopo dice una cosa completamente fuori da qualunque logica televisiva: che il documentario che era lì per promuovere, quello del bravo Giuseppe Sansonna, non l’aveva visto (io invece sì, e ve lo consiglio).

Ecco, dunque, il 4-3-3:

IL GIOCO
2) Zeman
La prima ragione non può essere che lui, il Maestro. Ogni partita è uno spettacolo, l’abbiamo detto, ma al tempo stesso è una macchina perfettamente congegnata. Perché il paradosso di Zeman è che tutto può succedere, si può perdere una partita vinta, si può vincere una partita persa, ma Zeman è uno di quegli allenatori metodici, quasi matematici (più di lui forse soltanto Van Gaal), che anziché preparare un dettaglio, lo decide. Anzi, è stata spesso questa sua rigidezza ad attirargli qualche critica. per l’incapacità di adattare forma mentis in corso: se una partita è pianificata così, deve andare così. La questione è che spesso ci va, in quel modo; e perciò, piano piano, si può cominciare ad imparare,  a riconoscere gli schemi di Zeman durante la partita e a prevederli. Palla ad Anania, il portiere (che lui ha ripescato dalla quarta divisione), e tu pensi: «vedrai che ora Insigne si allarga sulla sinistra, e lui gliela scaraventa lì al più presto». Zac, e gol. Vedi Cascione largo, puoi chiudere gli occhi, sai per certo che arriverà la sovrapposizione di Balzano: infatti arriva, puntuale. E tu ti senti parte di un segreto, a conoscenza di una formula quasi magica.

6) Pescara
C’era un allenatore, alla fine degli anni 80 e all’inizio degli anni 90, che aveva portato il bel calcio nella terra dei catenacciari, l’Italia, si chiamava Giovanni Galeone ed allenava il Pescara Calcio. Quella squadra scese in B nel ’93, assieme alla Fiorentina, e non salì più. Però Pescara è rimasta sempre la piazza del bel calcio, ed è rimasta tale anche per i pescaresi, tanto che quando Zeman arrivò in estate – preceduto dalla propria fama di grande offensivista, e grande incognita – loro badarono alla prima delle due cose e gli riservarono questa accoglienza. Ah, a proposito di Pescara, sabato prossimo o quello dopo vado all’Adriatico a vedere la partita, siamo già un gruppetto (partenza da Roma), se qualcuno si vuole aggregare è benvenuto.

5) La velocità
Avrete già capito che se “palla-ad-Anania-Insigne-si-allarga-sulla-sinistra-e-lui-gliela-scaraventa-lì-al-più-presto”, se capita che l’assistman sia il portiere, la velocità è necessariamente il cardine del gioco di Zeman. Pressing alto, difesa altissima, ma soprattutto gioco super veloce. E per questa ragione non c’è mai un attimo di respiro: nella partita di oggi, l’inviato di bordo campo ha provato a intervenire per 5 minuti buoni per commentare qualcosa. Ma continuava a non riuscirci, perché ogni volta era costretto a restituire la linea al commentatore perché il Pescara faceva azioni pericolose su azioni pericolose. Quando ha trovato lo spazio, un sacco di tempo dopo, quello che doveva dire era già scaduto, e lui l’ha ammesso candidamente. È per questo che ci si diverte tantissimo, ed è per questo che non c’è mai un attimo di stanca. Anche se il pallone ce l’hanno gli avversarî, qualunque palla può trasformarsi in un istante in un contropiede strepitoso. Volete la prova? Ecco, facciamo così: se dovete redigere un manuale illustrato sul calcio, alla voce “contropiede micidiale”, metteteci questo.

3) I gol
È ovvio, perciò, che il Pescara faccia tanti gol. Anzi, è l’unica squadra del campionato che ha sempre fatto gol, in ogni partita. Ne ha fatti 53, nessun’altra squadra è riuscita ad arrivare a 40. I bookmaker dànno lo 0-0 di una partita del Pescara a 15 o a 20: come a dire che se giochi 5 euro sullo 0-0, e quello è il risultato della partita, ne vinci 100 (ma tanto non li vinci!). Quand’è così come ci si può non divertire? E forse l’immagine che meglio descrive questo atteggiamento è il calcio d’inizio. Ecco, seguite questo consiglio: cominciate anche solo a guardare distrattamente una partita del Pescara, vedrete otto giocatori sulla linea di centrocampo pronti a buttarsi nella metà campo opposta, e – a quel punto – chi ve lo farà fare di smettere di vederla?

I RISULTATI
7) Primi!
Il Pescara è la squadra che fa più gol, ed è quella che pareggia meno (altro motivo di divertimento). Questo vuol dire che è quella che vince di più, e stanotte è prima in classifica da sola. L’ultima volta che il Pescara era stato primo in classifica in B era il ’97, e l’allenava un altro tecnico noto per il calcio offensivo, Delio Rossi (che ora, guarda caso, allena la Fiorentina). Domani potrebbe essere scavalcata da Torino o Sassuolo, ma importa poco. Siamo lì. Anche perché siamo ancora in inverno, ci avete fatto caso?

4) L’Inverno Zemaniano
Oh, sembra non esistere più. Un tempo c’era questo periodo terribile, a dicembre e soprattutto a gennaio, in cui le squadre di Zeman perdevano colpi, i campi pesanti facevano una parte e i carichi di lavoro accumulati un’altra; e così allo sbocciare della primavera sbocciavano anche le squadre di Zeman che cominciavano la loro rincorsa. Ed era una cosa talmente ricorrente che aveva acquisito una vera definizione: l’inverno zemaniano. Quest’anno a gennaio si sono giocate 4 partite, e il Pescara le ha vinte tutte. Ora aspettiamo le rondini.

8) La promozione
Eh sì, la dico questa parola. Il Pescara è partito come una squadra da classifica bassa o medio-bassa. L’anno scorso era arrivata tredicesima, quello ced era stato considerato un ottimo risultato tanto che il vecchio allenatore, Di Francesco, era stato chiamato in Serie A dal Lecce. Così, quando Zeman all’inizio di quest’anno aveva concordato con il presidente dei premî solo in caso di promozione diretta (come a dire: arrivare ai playoff, dal 3° al 6° posto, sarebbe regolare amministrazione) tutti gli avevano dato del matto. Quest’anno, in metà campionato, il Pescara ha già vinto più partite e segnato più gol che nell’intera scorsa stagione. In questo momento il sesto posto è lontano 14 punti. Quanto sarebbe bello rivedere Zeman in Serie A.

LA SQUADRA
10) Gli altri
Di giocatori rivelatisi molto bravi ce ne sono tanti. E sono quasi tutti molto giovani, che infatti nel corso di quest’inverno hanno ricevuto diverse convocazioni nelle varie nazionali under 20 e under 21. Quello di cui parlano tutti è Verratti: fa il regista, ha piedi molto buoni ma manca di continuità. È pescarese, come Capuano, difensore centrale che è titolare fisso nell’under 21. Poi c’è Kone, che era a Foggia con Zeman l’anno scorso (come Romagnoli, l’altro centrale, e come Insigne). Entro martedì, poi, dovrebbe arrivare un altro ragazzino molto forte dalla Roma, Gianluca Caprari. Il “mio” nome, però, non è quello di un giovane: ma quello di Emmanuel Cascione. Il Gerrard de noantri. Esagero? È chiaro, ma guardatelo giocare. È ovunque. È il centrocampista con più gol, con più assist, e aiuta la difesa. Io sono d’accordo col gruppo Zeman. Ed è lui che ha detto la cosa scritta quassù.

9) Il tridente
Se c’è Zeman, c’è tridente. E questo qui è spettacolare. Immobile, Sansovini, Insigne. In tre hanno segnato 37 gol, 9 in più dell’intera squadra che era stata in testa al campionato fino a qui, il Torino. Se ci si aggiungono anche quelli degli attaccanti di riserva, Maniero e Soddimo, si arriva a 41. E vi dirò: di gol ne sbagliano anche tanti, rispetto alle occasioni che creano. Immobile è un goleador, capocannoniere del campionato, purtroppo è gobbo (è in prestito dalla Juve). Sansovini, 32 anni e capitano, sembrava un giocatore finito, anzi, forse mai davvero cominciato. L’anno scorso giocava da centravanti, unica punta, e aveva fatto 11 gol. Quest’anno gioca più largo, e si spartisce i gol con altri due attaccanti. Ma ne ha già fatti 12, in metà stagione, tutti a Pescara.

11) Insigne
E poi c’è Lorenzo Insigne, che è il fenomeno di questa squadra. L’anno scorso aveva fatto una grande stagione in C, al Foggia con Zeman; così si era meritato la promozione in Serie B, e il Napoli l’aveva prestato al Crotone. Lui aveva già preparato i bagagli per Crotone quando gli arriva la telefonata, è Zeman, che gli dice di aver firmato col Pescara. La telefonata successiva la fa Insigne, e due giorni dopo arriva a Pescara anche lui. Se guardate qualche partita dell’anno scorso vi renderete conto di come Insigne faceva, completamente, quello che gli pareva. Quest’anno gli avversarî sono un po’ più duri, ma lui continua a fare quello che gli pare. Questo è il gol che ha fatto oggi, e fare gol non è neanche la cosa che gli riesce meglio. Ecco, ve la dico: Insigne sarà il nuovo Cassano. E ve lo dice uno che pensa che Cassano sia il giocatore che ha meno espresso il proprio talento degli ultimi 15 anni. Vi ricordate il famoso gol di Cassano contro l’Inter, quello dello strepitoso controllo d’esterno? Ditemi se questa cosa non ve la ricorda. Ah, e sì: avrete notato. Palla ad Anania, Insigne si allarga sulla sinistra, e lui gli scaraventa il pallone al più presto. La formula magica.

Core de ‘sta città: Fiorentina-Roma 3-0

3 (che altro?) su 5

Chi non capisce il tifo contro, non capisce il tifo. E chi non capisce il tifo, non capisce il calcio.

La spiegazione breve è che, per ciascuno di noi, le squadre avversarie non sono i calciatori o la città; no, sono gli amici che tifano quella squadra lì. Se non c’è nessuna persona a cui vuoi bene da prendere in giro, o da cui essere preso in giro, è come giocare a Risiko da soli: ma che gusto c’è? La spiegazione lunga è qui, e ve l’andate a leggere, se ne avete voglia.

FIORENTINA Capirete bene, quindi, che per un tifoso della Fiorentina che ha passato infanzia e adolescenza a Roma, Fiorentina-Roma è la partita dell’anno (infatti mi ero presentato in tenuta da combattimento). Più che Fiorentina-Lazio per due ragioni, così da far arrabbiare entrambi: perché i tifosi romanisti sono i più lamentosi d’Italia, qualunque partita, anche persa cinque a zero, è sempre colpa dell’arbitro, del palazzo, della sfortuna. E quindi è molto più bello batterli. La seconda è che la squadra al governo a Roma è la Roma: la Lazio è tutt’al più opposizione. E difatti, nonostante sia cresciuto a Roma Nord, conosco molti più romanisti.

Oggi la Fiorentina ha battuto tre a zero la Roma, e lo ha fatto nel migliore dei modi. Dimostrando la netta inferiorità della Roma. È importante: la partita non ha dimostrato la superiorità di una squadra vigliacca e senza gioco come la Fiorentina – di quello chissene frega –, no ha dimostrato la netta inferiorità di una Roma che ha giocato in maniera nulla, noiosa e irritante, nervosa e svogliata, irascibile e lagnosa, insomma ha giocato e perso da romanista, e questo sì che è ragione di gioia.

Ciò vale per la squadra, che ha finito la partita in otto uomini (e doveva finire in sette) e ha regalato due rigori alla Fiorentina (e dovevano essere tre). Ma c’è qualcosa di ancora più bello, e cioè che una sconfitta simile ha talmente traumatizzato i tifosi romanisti da averli completamente snaturati: li ho sentiti – naturalmente ho finito il credito a forza di telefonate e messaggi agli amici di una vita – mesti, rassegnati, arrendevoli. Quel rosicamento sommesso che regala una soddifazione speciale all’amico-avversario: non una lamentela, una critica all’arbitro, nessun piove-governo-ladro (eppure pioveva a dirotto e il governo passava la manovra!).

Per me la stagione è finita. Il campionato non può dare molto altro: se anche vincesse la Roma al ritorno, noi avremmo vinto all’andata, e per tre a zero. Basta così. E l’indirizzo della partita è stato talmente chiaro che, per tutti, la soddisfazione non è celebrativa di sé, è nello sfottò agli altri. Mentre si viaggia, sui treni in Toscana, si canta – la base è Cristina D’Avena –un-due-tre un-due-tre un-due-tre-tre questo è il valzer del romanista (notizie di prima mano).

E, come detto, vale all’inverso: a Roma della partita non ne parlano, cosa inaudita, neanche per lamentarsi. Sanno che se la possono prendere solo con loro stessi. Sanno che non hanno niente su cui possano recriminare, al di fuori della propria squadra. Sanno che se fosse stato un match di Pro Evolution Soccer si sarebbe detto che il giocatore che teneva la Roma aveva il tasto “quadrato” rotto. Sanno di aver deliberatamente buttato una partita contro una squadra cadavere. Sanno che l’hanno persa loro, e hanno fatto di tutto, per perderla. Sanno che se fosse scesa in campo solo la Fiorentina sarebbe finita 0-0. Non c’è soddisfazione più bella. Grazie, Roma.

Era il 4 Luglio 2006. La Germania, lì a Dortmund, non aveva mai perso.

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Questo qui è il post dell’anno, leggetelo tutto. Assolutamente. Obbligo. Dovere:

Se avvicinate qualche tifoso prima di un match contro un’arcirivale e gli chiedete che cosa sogna, le risposte che otterrete saranno generalmente due: c’è chi vorrà una sofferta battaglia risolta in extremis, che porti a un’esplosione di gioia e getti il nemico nello sconforto; e ci sarà invece chi spera in una dimostrazione di forza e superiorità, in una vittoria netta e insindacabile.

Incredibilmente, Germania-Italia è stata entrambe le cose.

La lüserta equilibrista

Appena

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Sono finiti tutti i campionati di calcio in Italia. In Serie A tifavo per la Fiorentina, che è arrivata appena fuori dalla zona europea; in Serie B tifavo per il Toro, che è arrivato appena fuori dalla zona playoff. In Serie C tifavo per il Foggia, che è arrivato appena fuori dalla zona playoff.

Un pomeriggio con Zeman

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Marcare a uomo? Non dirò mai a un mio calciatore di giocare solo per controllare un avversario.

Oggi pomeriggio ho visto il calcio. C’era una sola squadra che volevo andare a vedere allo stadio quest’anno, molto più della mia Fiorentina: il Foggia di Zeman. Chi si interessa anche un poco di calcio sa chi è Zdenek Zeman, qualcuno lo ama, altri lo odiano. Io lo amo. Per gli altri (QUI una puntata di Report che riassume in 15 minuti la sua storia), basti sapere che è il simbolo dell’onestà e del gioco pulito – fu lui il primo a denunciare seriamente il sistema-doping nel calcio, ricevendone un ostracismo che dura tutt’ora. È un personaggio irrinunciabile. E soprattutto è un offensivista.

Le squadre di Zeman giocano bene, incredibilmente bene, e attaccano sempre. Se stanno perdendo attaccano, se stanno pareggiando attaccano, se stanno vincendo – indovinate un po’ – attaccano. Perciò fanno una caterva di gol e ne subiscono un’altra caterva. Per questa ragione non gli va sempre bene: chi tifa una squadra di Zeman sa di mettere alla prova le proprie coronarie. Puoi perdere 3-0 e riuscire a rimontare o vincere 3-0 e farti recuperare. E così, fra i detrattori, si è guadagnato la nomea di perdente. Ma come dice lui: «Il risultato è occasionale, la prestazione no».


Perciò questa data me l’ero segnata sul calendario: per di più nel primo stadio italiano calcato da Gabriel Omar Batistuta. Non è una partita di Serie A, neanche di Serie B: ma chissene. Volevo vedere il calcio. E l’ho visto.


È finita 0-4 per il Foggia, con altri quattro gol annullati (giustamente), e una dozzina d’azioni che potevano finire in gol. È finita quattro a zero, ma poteva finire dieci a due. La cosa più incredibile è il calcio d’inizio. Appena l’arbitro fischia, si vedono otto maglie rossonere che si sparano in avanti. Descriverlo non si può, bisogna vederlo. Io non mi sono mai divertito così allo stadio, neanche quando la Fiorentina giocava in Champions League. E so che questa è la cosa che farebbe più piacere a Zdenek.

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EDIT: ecco le immagini della partita, purtroppo ci sono soltanto un quarto delle azioni da gol. Al minuto 3.17, per qualche fotogramma, ci sono anche io (in basso a sinistra) che esulto dopo il quarto gol.

Le regole del gioco

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Tutte le persone per bene avrebbero preferito battere la Francia con Zidane in campo. Ed è vero, senza di lui in quegli ultimi dieci minuti, e per i rigori, è stata tutta un’altra partita. Per diverse ragioni: Zidane se l’era conquistata quella finale. Di più: era stato votato ed eletto il miglior giocatore dei mondiali. Era il leader della squadra, e senza Zidane quella compagine valeva molto meno. Tantopiù che, per un giocatore così anziano, voleva dire finire la sua carriera così.

È chiaro, tanti di noi – e, anche io, lo ammetto – hanno  avuto un moto di gioia quando l’arbitro ha tirato fuori il cartellino rosso. Però, almeno un po’, ce ne siamo pentiti. Sappiamo tutti che sarebbe stato più bello, più pieno, vincere regolarmente contro Zidane. Ma non è che abbiamo fatto nulla di irregolare. Noi. D’altronde, l’arbitro mica ha espulso tutta la squadra avversaria, soltanto un giocatore che aveva tirato una testata.

Mica è colpa nostra: lo sai come funziona questo gioco, se decidi di giocare. E una testata a Materazzi – che, te lo dico, non è che stesse così simpatico a tutti – non la puoi dare. Ci sono delle regole, e vanno rispettate. Puoi essere il miglior giocatore del mondo, anche Maradona quando diede una pedata ai mondiali dell’82 fu espulso (e, comunque, Zinedine: checché tu ne dica, non sei mai stato Maradona). Niente di più: sono le regole del gioco.

Perciò sì: il 6 aprile c’è la prova TV, per appurare se la testata l’hai data. Vai, e fatti processare.