The cure for poverty has a name, in fact. It’s called the empowerment of women

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Non c’è un cazzo di cancro che tenga, Christopher è sempre il migliore:

Sapevo che saremmo arrivati a parlare della carità e della beneficenza, e considero questo argomento molto seriamente. Perché noi , signori e signore, sappiamo – e siamo la prima generazione che lo sa davvero – qual è il vero rimedio alla povertà. È sfuggito alla gente per lungo, lungo tempo. Il rimedio per la povertà ha un nome, infatti. Si chiama dare potere alle donne.

Nel dibattito con Tony Blair

Secondo l’ONU i gay possono anche essere ammazzati

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Nessuno dei canali d’informazione che seguo ne ha parlato – oppure mi è sfuggito – ma la scorsa settimana è successa una cosa scandalosa: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato un emendamento che in molti hanno riassunto con “non c’è nulla di male nell’ammazzare gli omosessuali”.

In sostanza, doveva essere approvata una risoluzione in cui si richiamava al dovere di ciascuno Stato nel rispettare il diritto alla vita di tutti i proprî cittadini, combattendo e investigando sugli omicidî commessi con ragioni discriminatorie. È un documento che viene approvato ogni anno. Tuttavia, quest’anno è stato proposto un emendamento per escludere dalle discriminazioni omicide – quelle da combattere e investigare – quelle ai danni degli omosessuali: come dire, in tale caso la discriminazione va bene.

A votare contro questo disgustoso emendamento sono stati solamente in 70 (su 192 Paesi aventi diritto al voto). Una lista che varrebbe la pena di ricordare, specie per ricordarsi chi non è presente:

Andorra, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Belgium, Bhutan, Bosnia-Herzegovina, Brazil, Bulgaria, Canada, Chile, Costa Rica, Croatia, Cyprus, Czech Republic, Denmark, Dominican Republic, Ecuador, El Salvador, Estonia, Finland, France, Georgia, Germany, Greece, Guatemala, Hungary, Iceland, India, Ireland, Israel, Italy, Japan, Latvia, Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg, Malta, Mexico, Micronesia (FS), Monaco, Montenegro, Nepal, Netherlands, New Zealand, Norway, Panama, Paraguay, Peru, Poland, Portugal, Republic of Korea, Republic of Moldova, Romania, Samoa, San Marino, Serbia, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland, Former Yugoslav Republic of Macedonia, Timor-Leste, Ukraine, United Kingdom, United States, Uruguay, Venezuela

Qualche considerazione:

  • Nella lista, grazie al Cielo, c’è l’Italia.
  • Sono presenti tutti gli Stati europei (il Vaticano non è uno Stato riconosciuto all’ONU, anche se ho qualche dubbio su come avrebbe votato).
  • Non c’è neanche un singolo Stato africano (su 53).
  • L’unico Paese del Medio Oriente contrario all’emendamento è Israele.
  • Nessuno dei 47 Paesi a maggioranza mussulmana ha votato contro (anche se in Bosnia i mussulmani sono quasi il 45%, pochi meno dei cristiani)
  • Sia l’Afghanistan che l’Iraq hanno votato a favore, il regime change non ha portato anche un prejudice change.
  • L’India, che ha recentemente legalizzato l’omosessualità, ha votato contro. La Cina a favore.
  • Fra i contrari c’è il Venezuela di Chavez, nel recente passato politicamente vicino a smaccati omofobi come l’Iran di Ahmadinejad (naturalmente, ha votato a favore), la Cuba di Castro (a favore) e la Bolivia di Morales (assente).
  • Sembra esserci un chiaro collegamento fra democraticità dei governi e rifiuto di aberrazioni come questa. Pare un’ovvietà ma è sempre bene notarlo in questi tempi di lotta per la democrazia appaltata alla destra.

Che mondo.

EDIT – Dopo un mese di pressioni, in particolare degli Stati Uniti, la clausola è stata ripristinata.

4.500.000 a 0

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Forse non ve ne siete accorti, ma dopo la Terra rotonda, la schiavitù che è sbagliata, il mondo che non ha 6000 anni, il non uccidere gli infedeli, etc. etc. (continua per altre quattro e rotti milioni di cose) etc. etc., il Papa ha detto che anche sul profilattico e l’AIDS avevamo ragione noi e che lui, e i suoi, erano stati un po’ stronzi.

Pomodori

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Tariq Ramadan è uno di quei personaggi doppî su cui c’è una bibliografia bella lunga – e sono le persone migliori che abbiamo, Christopher Hitchens, Paul Berman, Ayaan Hirsi Ali: sembra la macchietta della propria macchietta, quella dell’arabo dalla lingua biforcuta che dice una cosa in arabo e una in inglese, o in francese, per taquiya. Uno di quelli che, fosse cristiano, verrebbe denigrato – e giustamente – come un conservatore a cui tirare i pomodori.

Tuttavia c’è chi – e non sono pochi – considera Ramadan un intellettuale (dell’Islam) moderato, un appiglio, di quelli un poco scivolosi, nel disperato tentativo di auto-omaggiarsi al solito anticlericalismo a singhiozzo: ché ai cattolici – ma anche ai georgebush – si tirano i pomodori, mentre ai mussulmani no.

Un’altra volta, però, lo scivolo è scivolato, e a Ferrara Ramadan ha espresso questo spregevole parere (corsivo mio):

L’omosessualità non è l’atteggiamento giusto, poiché è contraria al progetto divino, ma la rispetto ugualmente

Christian Rocca riprende questa frase. Ora, io lo so quale sarebbe la reazione – direi quasi il riflesso condizionato – degli anticlericali col singhiozzo, so di quali commenti si riempirebbe il blog di Rocca, se di commenti ne avesse, e suonerebbero più o meno così:

Ma anche Ruini dice le stesse cose!

Ciò è in buona parte vero, ma questo non esaurisce la questione. Il candidato dovrà porsi la domanda successiva:

Cosa facciamo a Ruini quando dice le stesse cose?

p.s. Si noti, fra l’altro, che il “ma anche Ruini” è una fallacia logica. Un non sequitur: il fatto che una colpa sia condivisa non la estingue.

P.p.s Il colmo sarebbe che ora, per questo, si cominciasse a smettere di tirare i pomodori a Ruini, perché si rispettano le sue idee medievali

Pippiripì s. E sì, tirare i pomodori non è per davvero, avete capito

Bestemmia di Berlusconi, reazione sana

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Chi. Se. Ne. Frega.

Se anche uno solo di voi, uno che fosse uno, prova ad azzardarsi a dire qualcosa, a ritenere inappropriato, a fare i mille distinguo sul perché per Berlusconi è diverso, a puntualizzare quella cosa lì – invece del contenuto sessista e dell’ironia da cavernicolo; se anche solo uno si mette a puntare il dito, a dire che dovrebbe avere rispetto, a sbandierare le millemila dichiarazioni di sdegno che seguiranno dal Vaticano quando per tutto l’anno – e giustamente – state a dire che ce ne dobbiamo fregare di cosa dice il Papa; se anche uno solo inizia a gettare nella spazzatura dell’indecoroso dibattito che seguirà la stracciatissima parola “indignazione” per la bestemmia detta da Berlusconi, io vi prometto che vi vengo a cercare, casa per casa, per appiccicarvi sopra la fronte un’etichetta con scritto “LA BINETTI VE LA MERITATE TUTTA”.

Il razzismo contro l’Islam non esiste

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Sul tumblr di Gabriele M trovo questa immagine che accosta l’Islam a omosessuali e neri, siamo alle solite: come dire, lo spettro d’estensione del razzismo.

Io non so quando abbiamo iniziato a essere così buonisti – e razzisti al contrario, of course, perché si appiccica a un popolo (generalmente gli arabi) un sistema di pensiero fasullo – con le religioni, però ogni tanto faremmo bene rifletterci: non si può essere razzisti con un mussulmano, per la semplice ragione che l’Islam non è una razza, non è un dato acquisito, ma è un insieme di idee, un sistema di pensieri con cui noi abbiamo il diritto di essere in disaccordo.

Invece essere neri o gay non è una scelta , e – comunque, e ancora più importante – non è un dato che porti con sé un bagaglio di idee: si può essere neri e avere qualunque genere di idee, si può essere liberali o conservatori; così con gli omosessuali: il fatto che qualcuno sia attratto da persone dello stesso sesso non ne determina le idee. Non si può essere in disaccordo con una persona perché quella è un negro o un frocio, altrimenti si è precisamente razzisti. Non così per l’Islam: per essere mussulmani – sennò basta che anche io dica “sono mussulmano” e lo sono – bisogna credere a un sistema di pensiero che per quanto ampio ha una sua definizione, come per il Cristianesimo del resto e che abbiamo il diritto di non condividere.

Mussulmano non è una definizione etnica, ma religiosa – che se ragioniamo laicamente è un’ideologia con al centro una rivelazione: sarebbe come pensare che c’è qualcuno che è razzista nei confronti di chi crede nella liberaldemocrazia, o nel fascismo. Ci sono mussulmani americani, francesi – anche non immigrati ma convertiti – ed è più che legittimo pensare che credano cose sciocche senza che ne abbiano le prove: proprio perché è il cardine di quel sistema di idee.

Dopodiché è chiaro che ci sono discriminazioni che sono sbagliate comunque: è sbagliato non far entrare in un negozio qualcuno per le idee che professa, quindi è sbagliato farlo con qualunque idee siano professate, Islam, Cristianesimo, Ebraismo, Liberalismo, Socialismo, religionedeimieiminipony inclusi. Ma non si tratta di razzismo, si tratta di intolleranza e di avere una concezione della libertà restrittiva e dannosa. Ma è più che legittimo criticare qualcuno perché è mussulmano. O, in misura minore rispetto al danno verso il prossimo, perché è buddista.

Un tempo rispettavamo gli altri, ora siamo diventati così egoisti, menefreghisti e boriosi da rispettare le idee altrui, e pretendere che gli altri rispettino le nostre – di idee, – non mettendo in dubbio i nostri dogmi: per fortuna che c’è chi non dà retta, altrimenti il mondo non andrebbe avanti.

Perché sono contrario alla legge francese che vieta il burqa

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Qualche tempo fa, al tempo della prima discussione su questa legge, avevo espresso tutti i miei dubbî sulla questione, senza però dare una risposta definitiva su come risolvessi la complessità dell’arcano – Francesco, al contrario e complementarmente, aveva portato a compimento quel ragionamento. Tuttavia, se mi avessero domandato di dover tracciare una linea, costretto dalla necessità di un voto, probabilmente mi sarei detto favorevole alla legge che vietasse il burqa. Ho cambiato idea.

Nel post precedente a questo spiegavo perché trovassi avventato, ed efferato, il paragone fra velinismo e burqa, ma avevo anche aggiunto – spiegando troppo sommariamente – che considero la legge francese sbagliata: alcuni, fra cui qui nei commenti, me ne hanno chiesto conto; mi è sembrato un partecipe tu quoque!. Io che scrivo in ogni tribuna che i diritti delle donne e degli omosessuali nel mondo, e soprattutto i diritti delle donne nell’Islam sono la vera emergenza mondiale, mi dico contrario a una legge che vieta il Burqa, uno dei maggiori simboli di oppressione di una donna. Provo a dare un respiro più ampio al mio pensiero.

Conservo alcune delle considerazioni, anche forti, che facevo sul significato del burqa:

Innanzitutto credo che bisogni partire da due presupposti: 1) le motivazioni di questo disegno di legge sono orribili 2) Il Burqa è male. (…) Sul secondo punto c’è poco da aggiungere: chiunque pensi che esistano, in qualche parte del mondo, delle persone che – geneticamente (e quindi non è un concetto inoculato loro) – nascono con la concezione che il corpo nel quale sono nate è uno strumento di peccato è precisamente un razzista. Chiunque consideri giusto che il controllo sessuale dell’uomo sia situato sul corpo della donna, come per la ragazza stuprata perché va in giro in minigonna, è un fascista.

Condivido, naturalmente – e come tutti –, l’introduzione  e l’asprezza delle pene per chi costringa una donna a indossare il burqa, e tutti gli aspetti positivi che riconoscevo a questo tipo di normativa:

Sicuramente la cosa più importante non è il fatto in sé, non è quella manciata di donne che – non potendo mettere il Burqa o il Niqab – usciranno un poco più scoperte, bensì il messaggio che si manda. I messaggi sono importantissimi e significativi, e sono sempre troppo sottovalutati. In questo momento, in ogni parte del mondo, ci sono delle persone che stanno combattendo la loro battaglia contro il burqa, una battaglia con sé stesse e con i loro maschi-padroni. Sapere che c’è qualcuno che sta dalla parte giusta è fontamentale, e infonde forza. Tutte coloro che ne sono uscite non smettono mai di raccontare quanto sono importanti questi segnali, così come non smettono mai di rimproverare gli atteggiamenti troppo accomodanti su cui ogni tanto ci impigriamo.

Naturalmente, qui, non entro nel merito delle questioni di sicurezza: se ci sono motivi per una legge che impone il viso scoperto è giusto che questa vada rispettata, e non ho un’opinione precisa in merito, ma è chiaro che una legge di quel tipo sarebbe surrettizia rispetto al fine di eliminare il burqa.

Francesco era giunto a queste conclusioni scrivendo:

(i rischi della legge) hanno molto a che fare con la natura prescrittiva e forzata del provvedimento, e sarebbero molto ridimensionati se la politica e i governi condannassero pubblicamente l’utilizzo del burqa, senza ipocrisie terzomondiste o razziste, ma fermandosi un passo prima dal renderlo illegale, e si impegnassero invece a testa bassa nella lotta al tradizionalismo, ai pregiudizi, alla violenza, alla sottomissione e alla segregazione delle donne.

Mi è tornato in mente oggi, quando provavo a spiegare le mie motivazioni a fblo che articolava la sua approvazione di questa legge in opposizione all’idea che “ognuno rispetti le proprie tradizioni”. Ci ho riflettuto, e penso che anche in questo caso non si possa venir meno all’osservanza del vero spartiacque fra ciò che lo Stato può impedire, il male agli altri (e perciò è giusto vietare il burqa fino a 18 anni), e ciò che non può impedire, il male a sé stessi.

Naturalmente è diverso lottare, come chiunque mi legga farebbe, per combattere quell’usanza e invece legiferare che sia vietato metterla in pratica. Uno Stato liberale ha il diritto, e – rispetto a casi orrendi come il burqa e le mutilazioni genitali femminili – anche il dovere, di disincentivare nei modi più forti queste pratiche, ma non valicando i limiti dell’autodeterminazione della persona. Come dicevamo, uno Stato liberale è liberale anche se permette le cose più stupide (come bruciare il Corano) o dannose per sé stessi (come indossare il burqa).

Dopodiché, armiamoci e bagagli per cercare tutti insieme di convincere più donne possibile – e, è particolarmente importante, tutelarle e metterle nella condizione di poterlo fare – a dismettere quello stumento di oppressione.

E buon Undici Settembre a tutti

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In genere non mi piacciono le commemorazioni dell’Undici Settembre, anche perché spesso hanno una sproporzione e un afflato retorico eccessivamente americano, che non apprezzo completamente.

Perciò, una cosa che posso consigliare di fare, è leggere questo articolo scritto tre anni fa Hassan Butt, un ex-terrorista islamico nel Regno Unito. È una storia buona da leggere un Undici Settembre, specie questo Undici Settembre, e inizia così:

Quando ero ancora un membro della Rete Jihadista Britannica, una serie di gruppi terroristici semi-autonomi collegati da una sola ideologia, mi ricordo come celebravamo con delle grasse risate tutte le volte che in televisione le persone proclamavano che la sola causa degli atti di terrorismo islamici come l’Undici Settembre o le bombe a Madrid e Londra fossero causa della politica estera dell’Occidente.

Biasimando il governo per le nostre azioni, coloro che parlavano delle “bombe di Blair” facevano propaganda per noi. E, ancora più importante, ci aiutavano a portare via l’attenzione da un esame critico di quello che era il vero motore della nostra violenza: la teologia islamica.