interesse 1 su 5
Dicono che io non sono uno che fa post del genere. Boh, non è che sappia molto che dire della crisi: diciamo che il mio parere elaborato è che è tutta colpa mia.
Ecco, solo per smentire chi mi vuole bene.
poveri i bambini che finiscono nella squadra avversaria
Chi fuoriesce d’altra partizione…
interesse: 4 su 5
Un esempio di integrazione in salsa capitolina.
Questa cosa i romani la sanno, ma gli altri no: nelle borgate romane c’è questo modo di chiamarsi “zio”. Non è colpa mia, mi rendo conto che sia ridicolo, però succede davero. In particolare – e può essere un paradosso, vista la supposta vetusta età del canonico zio – fra ragazzi. Difficile incontrare un anziano che dica a un amico “oh, zio, andiamo a giocare a bocce”, ma fra i giovani è comunissimo, ed è considerato un modo amichevole – e per nulla raffinato – di darsi un appellativo. Tipico esempio di conversazione del boro (o zoro, grado ulteriore del coatto) «zio, ‘namo ar mare?», «guarda, zì, a me er mare numme piasce, però potemo ‘nnà a ballà, io ma’a comanno ar Sesto Senso» «vabbè, zio, bella petté».
Ecco, qui vicino c’è un siriano – genio – che ha aperto una pizzeria, si sa che i migliori pizzaioli sono tutti egiziani, e l’ha chiamata “da Zio”. Proprio così. Non solo: da tutti i clienti è chiamato “zio”, e – ancora più divertente – li chiama tutti “zio”. L’altro giorno – c’era la partita e quindi la fila – scandiva i turni indicando il cliente successivo e dicendo: «tu zio, cosa prendi?». Non perché li conoscesse, si rivolgeva a tutti così. Il bello è che tutti gli rispondevano con la stessa rima, anche i più anziani. Un vecchino, per dire, gli ha risposto «guarda zì, damme du’ crocchette che ce sta ‘a partita».
Siccome lo Zio un sito internet non ce l’ha, metto qua il suo numero di telefono e qualche altra informazione ricavata dal volantino di cui sopra, ché – l’ho messo nel titolo del post – magari qualcuno ci capita cercando su Google:
Pizzeria da Zio
Via Costantiniana 96 (zona Labaro)
Tel: 06-33624661 Cel: 347-2979524
In Francia un ragazzo, Frédéric Laurent, ha deciso di partecipare a un concorso fotografico per la categoria “provocazioni” con questa foto:
Se ne è levato un piccolo scandalo – di quello sciovinismo francese un po’ sciocco – con interrogazioni parlamentari, supposte multe di 7.500 euro, e reazioni indignate. Ovviamente, a me, quella foto non fa un’ottima impressione né mi sembra così provocatoria, ma l’idea che c’è dietro è carina perché traduce in immagine un modo di dire piuttosto comune. Poi, un giorno, bisognerà riparlare di questa ossessione per i simboli, di quanto il patriottismo sia l’ultimo rifugio delle canaglie (S. Johnson), e di come il concetto stesso di “offesa” alle entità anziché alle persone andrebbe molto ridimensionato.
Io la so già l’obiezione: però quando lo fa Bossi gli dài contro. Intanto c’è una differenza costitutiva nell’invitare qualcuno a ficcarsi un oggetto nel culo – proprio perché l’insulto è a una persona – e poi non è certo per le sue idee sull’uso della bandiera Italiana che Bossi è spregevole. I reati di vilipendio, come tutti i reati d’opinione, sono una sciocchezza. È un modo abborracciato di cercare di difendersi dalle idee più pericolose, e spesso controproducente: anche nei casi limite, come i nazisti o gli juventini.
grazie a Franco
p.s. la parola “culo” nel titolo è una scelta di trasparenza, e così in avanti: quella direi, quella scrivo.
Diego, Zoro, racconta che i titolisti del Riformista hanno fatto un errore piuttosto equivoco nel titolo della sua rubrica, Anecoico ne raccoglie le prove:
interesse 1 su 5
Ecco, questo è un argomento su cui non ho proprio un’opinione né dei motivi risolutivi per sostenerne una o l’altra:
La procura della Suprema corte, sollecitata dall’associazione Amici dei bambini, afferma che le coppie che chiedono l’adozione non possono dirsi indisponibili a ricevere piccoli di pelle nere o di etnia non europea.
Da una parte c’è l’ovvio senso di ingiustizia nel concepire di rifiutare un bimbo per ragioni etniche o – peggio – cutanee, dall’altra c’è l’infausto scenario del relegare un bambino nero a una coppia di razzisti. È chiaro che, per la società, la cosa più giusta è impedire questa possibilità di scelta, ma non lo si fa sulla pelle – letteralmente – del bambino?
EDIT: Max, Scialocco e Pietrino mi hanno convinto con buoni argomenti che la decisione della Cassazione è una cazzata, Alessandro Gilioli raccontando la sua storia.
interesse 3 su 5
Dieci anni fa – precisamente il giorno del mio compleanno di dieci anni fa –uscì sull’Economist quest’articolo che spiegava cosa fossero gli SMS. Oggi pressoché chiunque sa cosa sono gli sms, ma una decade fa erano il nuovo dispositivo della tecnica che si affacciava prepotentemente nel mercato della comunicazione. C’erano gli allarmismi sulla distruzione della lingua che avrebbero portato quelle abbreviazioni – fra dieci anni leggeremo “xke” sui quotidiani, vi ricordate? – e c’era chi cercava di spiegare che, come per moltissime novità, il terrore del nuovo faceva sopravvalutare i rischi.
Il paragone con la forzosa brevità dei telegrammi e delle piccole modifiche che aveva portato la necessità di risparmiare – Meriterebbe un posto negli aneddoti del lunedì, non fosse di dubbia veridicità, la storia del generale di Sua Maestà che per comunicare di avere conquistato la città indiana di Sindh scrive soltanto una parola, in latino, “peccavi”: ho peccato, in inglese I have sinned, che suona come I have Sindh; O ancor più difficile, per agglutinazione, con Oudh: Vovi, Giuro, I vow.
Dice che gli SMS erano una timida speranza perché i giovani riprendessero a scrivere. Avevano ragione, e leggerlo ora fa anche un po’ tenerezza.
(online non c’è il pezzo per intero, lo copio qui)
Linguistics: Short Message, New Language
2moro & 2moro & 2moro
ONE of the sad consequences of the death of the telegram was the disappearance of brevity as a communications skill. Because part of the cost of sending a telegram was a charge per word, senders grew ingenious at finding ways to write economically.
Journalists, for example, prefixed words with “un” to mean “not”. Thus went a celebrated exchange between a foreign editor and a lazy correspondent: “Why unnews?” “Unnews good news.” “Unnews unjob.”
The Victorian generals who captured Indian towns famously telegraphed the news in Latin puns:
‘Peccavi―I’ve Sindh’
Wrote Lord Ellen, so proud;
More briefly, Dalhousie
Wrote ‘Vovi―I’ve Oudh.’
Now, brevity is reviving, in an unexpected quarter: the mobile telephone. Most operators offer a short messaging system (sms), which allows people to send messages tapped out on the telephone keypad. Because 160 characters take up as much room as a one-second voice call, such messages are cheap. They also protect the garrulous, but impecunious, from accidentally running up huge bills. And they can―like e-mail―wait until it is convenient for the recipient to read them.
For all these reasons, sms has turned out to be wildly popular, especially with the young. Europeans send each other one-billion messages a month. In Finland, where almost every 12‑to‑18‑year‑old has a mobile phone, Petri Vesikivi, head of business development for messaging at Nokia Networks, part of the famous Finnish mobile-telephone maker, says that teenagers are far and away the largest group of users. The pattern is being repeated around the world: as soon as more than one in five youngsters has a mobile telephone, sms use starts to bound up by 10% a month.
But typing messages on a miniature telephone keypad is hard, even for nimble little fingers and even with “predictive input” (a sort of software that allows the telephone to guess what you are writing and try to finish the word for you). In every country, use of sms requires ingenious linguistic compression.
Not many countries need ingenuity as much as Japan: kanji characters each need twice as much capacity as the roman alphabet. Luckily, the argot of Japanese schoolgirls already compresses words: the bizarre vocabulary of kogaru words (“ko” means “little one”, “garu” is the Japanisation of “girl”) involves dropping most of the middle characters in compounds and then dovetailing the first and last sounds together to form a whole new word. So in the case of “Totemo kawaii desune” (“A very pretty [little girl], isn’t she?”), contraction and use of the blunter Chinese pronunciation, instead of the softer Japanese, leads to “Cho kawa” (“extreme pre”). Such elisions have the added advantage, where telephone messages are concerned, of being incomprehensible to anybody over about 25.
For English-speaking users, the neatest contractions combine letters and numerals―in fact, a major British mobile provider is called One2One―and Vodafone, the world’s biggest mobile-telephone company, even offers a guide on its Internet site to such brevities as SPK 2 U L8R (“Speak to you later”) and BCNU B4 2MORO (“Be seeing you before tomorrow”). The whole panoply of punctuation doodles from 🙂 to 🙁 that decorated e-mail in its early days is also being revived on keypads.
New uses for sms are blossoming: in Finland, telephone companies make a tidy business from using the service to send customers tunes to use as ringing tones. The age of the clientele can be gauged from the fact that the current top pop hit sold by Sonera, the country’s main telephone company, is South Park’s “Uncle Fucker”.
Short messages may not exactly be a new literary art form. One day soon, it may be swept away as the Internet goes mobile. But, for those who once assumed the young would never learn to write, it is a modest reason for hope. And, for those who miss telegramese, it is XLNT.
Interesse: 2 su 5
Che poi io sono anche uno di quelli che abboccano a tutto, a cui piace il lieto fine, e che si fa commuovere da tutte le Susan Boyle del mondo. Cerco la bella storia, la lacrimuccia, i film ruffiani mi conquistano, eccetera. Quindi c’ero propio andato con tutta la buona volontà, anche perché la vedevo molto ben propagandata in giro, da più parti.
Niente, stavolta non ce l’ho fatta: a me la lettera del “Benefattore di Adro”, quello che ha donato diecimila euro per risanare il debito della mensa della scuola, è sembrata un’enorme accozzaglia di banalità. Non c’è una riga che non mi sembri rigonfia di una retorica vuota e inculcata, di un dito puntato verso il mucchio, e di un autocompiacimento da «ah, questa volta sì che gliel’ho cantate»: che poi uno si domanda “a chi?”, e non sa darsi una risposta. Ciascuno di noi, in quelle parole, vede qualcun altro; ciascuno di noi può dire «io non sono così, non riguarda me».
Intendiamoci: ovviamente non solo rispetto, anche grande ammirazione per il gesto. Però mi sono visto: ero proprio partito con lo spirito della bella storia, speranzoso di aggiungerci una meravigliosa cornice, e sono rimasto deluso. Certo, ripensandoci, si può dire che alla fine pure questo è un aspetto positivo: se anche una persona che ha delle idee così stereotipate, e un modo di esprimerle tanto dozzinale, è capace di un gesto tale, allora il mondo ha un futuro chiaro.
p.s. fra l’altro, mi domando: se pensi tutte quelle cose sensate su immigrati e integrazione – lasciando da parte il passaggio sull’attenzione ai nostri costumi – per quale cavolo di ragione voti Formigoni, anzi, come dice lui, FORMIGONI?
Ho deciso di fare una sorta di esperimento, qui sul blog. Da ora in poi tutti i post che pubblicherò avranno in cima una scritta in corsivo “interesse: x su 5 ” dove al posto della ‘x’ metterò la mia personale valutazione dell’interesse che, ai miei occhi, dovrebbe avere quel post. Può essere utile per chi non ha voglia di leggere tutto, e può decidere di saltare un post perché magari legge che ha un interesse basso.
Ovviamente il tutto è a discrezione mia, quindi può essere che a voi interessi quello che io valuto 1 su 5 e non vi interessi per nulla ciò che valuto 5 su 5, ma comunque è un’indicazione. È solo una prova, in ogni caso, vediamo come va.
Probabilmente non ve ne siete accorti, ma c’è stato un altro terremoto. Sì, un altro terremoto. E sono morte 400 persone. Sì, 400. Però se non ne avete notizia non vi biasimo, perché non sembra fregare a nessuno. In Italia.
L’Italia è davvero il Paese più provinciale di tutto l’Occidente. E non solo.
Per il Corriere della Sera la notizia è così in fondo che neanche si legge aprendo l’homepage:
Repubblica va un po’ meglio, è la quarta notizia. Certo la consulta è importante, Bertone che dice frescacce sui gay è importante. Ma cazzo, 400 morti.
Questo, semplicemente, non succede all’estero. In tutte le parti del mondo quando muoiono 400 persone è la prima notizia, al massimo è la seconda. Le homepage nel momento in cui pubblico questo post:
New York Times, prima notizia:
El Pais, prima notizia:
Le Monde, seconda:
Guardian, è seconda:
Cnn:
Al Jazeera. Ripeto, Al Jazeera:
E vi garantisco che non ho fatto nessuna cernita, ho preso i primi siti di news che ho fra i bookmark (escludendo soltanto Ha’aretz che è un giornale particolare).
Una buona notizia per il mondo è arrivata lo scorso 25 febbraio quando la General Motors ha deciso di chiudere il marchio Hummer per il crollo del volume d’affari. Se c’è una cosa che ti configura come “coatto”, anzi come sedicentemente e deliberatamente coatto – cioè un coatto consapevole e nonostante tutto coatto – è possedere un Hummer.
Il più grande concessionario al mondo di questi macchinoni orribili ha deciso di lanciare una promozione, per vendere gli ultimi modelli e le giacenze: se ti compri un Hummer, ti regalano un fucile.
No, che magari rischiavi ancora di fare bella figura.
Grazie a Franco