Ramadan, episodi fine – Diario dalla Palestina 77
È finito il Ramadan e dovrò ricominciare a mangiare da solo, per conto mio. Nel mese sacro, a Gerusalemme, c’è un cannone che al tramonto spara a salve. Come al Gianicolo, ma qui i bimbi e i turisti sono gli unici che non ci fanno caso: è in sincrono con la preghiera del muezzin ed è il segnale che la gente può ricominciare a mangiare e bere.
Di là dal muro tutti smettono di lavorare mezz’ora prima del tramonto e vanno a casa per mangiare con le famiglie; ma qui i turisti sono un’occasione troppo ghiotta per chiudere alle 17, così ognuno prova ad arrabattarsi come può, e gli arrabattamenti di ciascuno – riuniti – fanno comunità.
Io non ci credevo, finché non l’ho visto coi miei occhi: allo sparo del cannone i mussulmani della Città Vecchia si mettono a saltare e ballare di gioia, poi si riuniscono intorno a improvvisati ma lunghissimi tavolini e sfogano tutti insieme la fame accumulata nelle lunghe ore di digiuno.
Quello è l’unico momento in cui passando per la Città Vecchia non sarete tirati di qua di là da ciascun negoziante insistentemente desideroso di mostrarvi il proprio negozio, e di spillarvi i vostri euro.
Perché in effetti gli occidentali sono considerati un po’ come robot con un portafoglio: di più, nessuno si aspetta una gentilezza da parte dei “turisti”, così basta un candido «buon appetito!» – che in arabo si dice come buona-salute – passando, per essere focosamente invitati a mangiare assieme a tutti.
Ecco, se vi trovate a Gerusalemme, affamati, la parola magica è «Sahktìn!».