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All’inizio di questo blog parlavo spesso di me, delle cose che mi succedevano, delle cose che pensavo; poi ho cominciato a scrivere soltanto di posizioni politiche, etiche, polemiche; potrei tornare a fare come facevo prima.
Perché mi sono reso conto di questa cosa: tanto tempo fa, non mi capacitavo del fatto che le persone non cambiassero idea. Delle volte dicevo o scrivevo delle cose che mi sembravano molto convincenti, e trovavo inconcepibile che le persone mantenessero la propria opinione senza fornirmi (e soprattutto fornirsi) un’obiezione. Molte di quelle idee erano sicuramente sciocche, e se le rileggessi ora mi metterei a cantare (capita anche a voi di mettervi a cantare se pensate alle cose imbarazzanti che avete pensato o fatto in passato?). Ma la questione era di metodo: come è possibile non darsi gli strumenti per ammettere la possibilità di un ravvedimento? Due persone di intelligenza paragonabile, che partono da premesse simili, non possono non giungere a una conclusione condivisa.
Poi ci ho fatto il callo, su come è il mondo là fuori. Mi sono abituato: molte persone sono affezionate alla propria idea, sono più interessate al difenderla che all’avvicinarsi alla verità. Determinano perché pensare una cosa dopo aver deciso cosa pensare. Quando si discute di una cosa capita più spesso che si finisca a discutere di un’altra («e allora tu?», «lo dici perché…», per fare due esempî prezzemolo) che non a risolvere la cosa stessa. Quindi bisogna abituarsi all’idea di arrendersi: se ci sono segnali che una persona non sia disposta a cambiare idea, beh, è inutile continuare a discuterci. Si può parlare d’altro, ma vale la pena lasciare stare quell’argomento.
Ultimamente, mi sono reso conto, c’è stato una terza evoluzione che è al tempo stesso un ritorno alle origini e il compimento di questo percorso evolutivo. Ma è anche dimostrazione di disincanto e, quindi, in ultima analisi di cinismo. Sono stufo. Ho perso di testardaggine, ma anche di generosità. Non ho più quello che Alessio ebbe a definire il mio “fervore speranzoso”. Se concepisci la discussione come un terreno in cui difendere la propria opinione (se pensi che esista una cosa come un’opinione propria), se non hai interesse a convincermi delle tue ragioni e a essere convinto dalle mie – se non t’interessa migliorarti, se non t’interessa migliorarmi – a me non interessa avere un rapporto con te. Così, fra le persone che frequento, ho progressivamente guadagnato la fama di quello che è più disposto a cambiare idea, e quello che è meno disposto a tollerare chi non cambia idea.
Sono incattivito? Probabilmente è così. Anzi: è così. Vivo meglio, ma sono più egoista. Eleggo alcune persone, quelle con le quali – sono stato molto fortunato a incontrarle – si discute anche 2 ore della stessa cosa, non capacitandosi che l’altro non si convinca della mia, o non mi convinca della sua, idea. Poi, sempre, arriva l’epifania: e in un secondo, dopo ore di discussione, si cambia discorso e non se ne parla più, perché il fatto che uno abbia cambiato idea non è un fatto degno di nota, tanto meno un’umiliazione. Sono certamente una persona migliore, ma sono migliorato per me, e non per gli altri: ho lavorato molto su me stesso, ho maturato degli strumenti per elaborare in fretta un necessario cambio d’opinione, ma lo stesso pretendo dagli altri. Il paradosso è che, forse, se incontrassi quel me di qualche anno fa mi starei sul cazzo.