Guevara chi?

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Ieri Benigni ha citato Pazienza che citava Che Guevara. Che la citazione fosse di Che Guevara, Benigni non lo sapeva, o forse se l’era scordato. E forse anche noi ci siamo un po’ scordati di Che Guevara, nelle camerette di tanti di noi fino a qualche anno fa. Tanto che ci si chiede, per scherzo, «Che Guevara chi?». C’è un posto, però, dove Che Guevara è sempre di moda. Ancora più di quanto non lo sia stato qui, tanto da intitolargli vie, figli e negozî. Questo posto è la Palestina, dove lo chiamano Givara (lo pronunciano così), e dove scattai questa foto, all’alimentari Guevara. C’è una cosa che non bisogna dire, però, in Palestina: che Givara era ateo, quella cosa lì non la possono credere.

È forse un peccato che gli adolescenti di sinistrasinistra abbiano perso questo tipo di icone in favore di altre più postmoderne, conservatrici e anti-illuministe. Che Guevara era un vero marxista: progressista, internazionalista e guerrafondaio.

89 Replies to “Guevara chi?”

  1. Giovanni, sarei portato a contestare il fatto che Guevara fosse progressista. Marxista, si, ma molto più leninista, direi. Internazionalista, si, ma non in senso Trotzkysta, e certamente un guerrafondaio, non un pacifista, sebbene la stragrande maggioranza di coloro che indossano la celeberrima maglietta la portino, indifferenti al ridicolo, anche durante le manifestazioni per la pace.
    Credo che il breve filmato che linki sia molto incisivo nel fare il ritratto di un totalitarista coerente, convinto e feroce.
    Non capisco perché tu consideri auspicabile che ci possano essere giovani che consapevolmente si ispirino a uno spettro del passato come Guevara.
    Seriamente, vorrei capire in che senso lo intendi.

  2. @ Luigi
    Luigi, evidentemente sbaglio io, perché una persona su Twitter mi ha sollevato obiezioni molto simili alle tue, che sostanzialmente condivido. È chiaro, quindi, che è un problema mio di mancata capacità d’espressione (lo penso davvero, non è retorica).

    Tuttavia, devo dirti che non posso togliermi la sensazione che siamo così abituati a leggere fra le righe di quello che qualcuno scrive, che ci leggiamo anche cose che non ci sono scritte. Non credo di avere alcuna responsabilità, o credibilità, che voglio tutelare da chicchessia, quindi quando scrivo qualcosa scrivo fino in fondo quello che penso: se una cosa non c’è scritta, non ci si può leggere.

    Nella fattispecie “tu consideri auspicabile che ci possano essere giovani che consapevolmente si ispirino a uno spettro del passato come Guevara.” non l’ho mai scritto.
    Ho scritto che “È forse un peccato che gli adolescenti di sinistrasinistra” – già qui c’è un giudizio di valore – “abbiano perso questo tipo di icone in favore di altre più postmoderne, conservatrici e anti-illuministe”.
    L’unica conclusione che si può trarre da questo passaggio è che, fra una persona di ultrasinistra marxista che si ispara a Che Guevara e una di ultra sinistra postmarxista che si ispira a un misto fra Foucault, il buon selvaggio e Hizballah, preferisco di gran lunga il primo.

    (il passaggio precedente sembra severo nei confronti della tua interpretazione, non vuole esserlo: vuole essere solo un chiarimento, confido che ci capiamo)

    Questo per spiegarti il passaggio, ora ti chiarisco meglio rispondendo al tuo dubbio. Io intendo il termine progressista in senso strettamente filosofico, ovvero un’ideologia che ha al centro un’idea di progresso: negli ultimi due secoli le due ideologie progressiste per eccellenza sono state liberalismo e marxismo.

    Vale lo stesso per l’Illuminismo: non sto dicendo che Lenin sia la naturale prosecuzione dell’Illuminismo (anzi, l’unica naturale prosecuzione, come credava lui). No, sto dicendo che il marxismo si richiama all’Illuminismo – e questo è molto significativo –, proprio nel suo progressimo, nel suo internazionalismo e quindi in quell’ideale cosmopolita che è al centro dell’età dei lumi.

    Ora, ho l’impressione che tu non abbia molto presente – o non lo “senta” come lo sento io – il dibattito che si è sviluppato a partire dagli anni settanta, con la svolta identitaria e postmoderna di ottima parte della sinistra. Dopo Said, a sinistra è diventato ammissibile dire cose leghiste fin tanto che sono riservate alle “altre culture”. In questo senso, contro questo tipo di deriva, un marxista old style è il miglior antidoto: uno che si sente depauperato dell’idea di progresso da questa svolta pensierodebolista e “postcoloniale”.

    Se vuoi leggere una cosa interessante, è un po’ lunghetta, ma molto interessante, questa è la recensione di un marxista – ma marxista di quelli di una volta – al libro della più importante pensatrice del “femminismo postcoloniale”, se ci può essere qualcosa chiamato così.
    Scommetto che, per tutta la recensione, non ti accorgerai una volta del marxismo di chi scrive, proprio perché le contestazioni che tu faresti a quel libro sono esattamente le stesse che fa Eagleton (anzi, quelle di Eagleton sono le tue, a cui ne aggiunge altre, che possiamo catalogare sotto “giustizia sociale”)
    http://www.lrb.co.uk/v21/n10/terry-eagleton/in-the-gaudy-supermarket

    Quanto, specificamente, a Che Guevara: io considero la nonviolenza come un atteggiamento patentemente immorale, quindi vedo questo punto come estremamente favorevole. Vedo con estremo favore l’internazionalismo, come surrogato del cosmopolitismo, e in questo senso stiamo parlando di un argentino che cambia tre continenti per andare a fare le rivoluzioni. Se c’è un interventista umanitario, è lui. Certo, umanitario nello (sbagliato) senso che aveva Guevara, e che è comune a quello di molti comunisti del tempo (e, purtroppo anche di oggi), ovvero di sottomettere la libertà alla sicurezza economica, delle volte di sottomettere la libertà e basta. È il caso del soffocamento del dissenso come mezzo per fare la rivoluzione.

    Secondo me sei talmente abituato, o sei stato abituato, a discutere con qualcuno che ti proponeva Che Guevara come modello tout court che sei portato a ignorare la misura con la quale la linea marxista (non facciamo i casi singoli, altrimenti il liberalismo ha il colonialismo: stiamo parlando di traiettorie filosofiche) condivide molti degli stessi tuoi obiettivi: una società globale, l’emancipazione delle donne, il progresso (qui inteso in senso specifico, anti-berlingueriano, lì era già cominciata la metamorfosi), l’autodeterminazione della persona, l’idea stessa che ci sia una giustizia.

    E sei troppo abituato a leggerlo con occhiali del ventunesimo secolo: un’altra figura che mi viene in mente al quale, invece, non si applicano gli standard che applichiamo oggi è Ataturk: la soppresione del dissenso, la ragione di Stato sopra a qualunque individualità, il rifiuto del liberalismo economico, sono tutti passaggi che Ataturk aveva, e che non gli impediscono di essere visto come un modernizzatore della Turchia. Rispetto a Massimo Fini, Ataturk è un razionalista, progressista, illuminista. Vale lo stesso con Che Guevara. Renditi conto che se trent’anni fa i quindicenni andavano in giro con la maglietta di Che Guevara, ora ce ne sono molti – davvero molti – che sono sedotti dal conservatorismo identitario di una persona spregevole dalle idee spregevoli come Massimo Fini.

    Credimi, non c’è nessuna romanticizzazione di Che Guevara, o nessun attaccamento al “mito” del personaggio. Queste sono tutte considerazioni che vanno molto al di là dell’icona Che Guevara, ma sono le cose che vado dicendo in generale sulle sorti della sinistra.
    A un livello più politico e meno filosofico sono tutte considerazioni che stanno dentro a questo libro che, se non hai mai letto, ti consiglio:
    http://www.amazon.co.uk/Whats-Left-Liberals-Lost-Their/dp/0007229690

    Uff, finito. Grazie se sei arrivato fino a qui, e scusa.

  3. Giovanni Fontana scrive::

    (il passaggio precedente sembra severo nei confronti della tua interpretazione, non vuole esserlo: vuole essere solo un chiarimento, confido che ci capiamo)

    Il mio sospetto era questo; non credevo possibile che tu accettassi il ritratto oleografico che certa agiografia fa di Guevara. Ora il senso del post è più chiaro.
    Giovanni Fontana scrive::

    Ora, ho l’impressione che tu non abbia molto presente – o non lo “senta” come lo sento io – il dibattito che si è sviluppato a partire dagli anni settanta, con la svolta identitaria e postmoderna di ottima parte della sinistra.

    Purtroppo, ho vissuto di riflesso una sintesi di questo “dibattito”: un mio amico dei tempi dell’università ha esordito al primo anno di filosofia come Marxista-leninista convinto ( in realtà per vezzo faceva vanto di essere bordighista, stupendo la stragrande maggioranza dei gggiovani di sinistra che della storia delle idee che credevano di professare non sapevano nulla) per poi subire una progressiva “evoluzione” che lo ha portato a (essì…) Foucault, passando da Levi-Strauss ( a proposito di buon selvaggio 😉 ), e gongolando s’è inbarcato per la Sorbona, dove ha finito per rimanere.
    Devo essere onesto, all’inizio della mia carriera universitaria, pur essendo un “ingegno minuto”, mi affascinava confrontarmi con lui e cercare di capire che cosa lo portasse a subire la fascinazione di quel tipo di filosofia. Alla fine l’impressione che ne ho avuto è di aver assistito né più né meno che a una forma di onanismo intellettuale.
    Questo, però, non mi porta a dire che la ferocia belluina di Guevara sia in qualche modo un male minore se rapportato al “nulla mischiato con niente” del postmodernismo.
    Entrambe le impostazioni sono pericolosissime, anche se in modo profondamente diverso.
    -segue, perché è lunga-

  4. Giovanni Fontana scrive::

    Io intendo il termine progressista in senso strettamente filosofico, ovvero un’ideologia che ha al centro un’idea di progresso: negli ultimi due secoli le due ideologie progressiste per eccellenza sono state liberalismo e marxismo.

    Io ho un’idea più canonica di progressismo.
    Per progressismo intendo, principalmente, quella tendenza politica, che all’inizio del secolo XX, fine del XIX, negli Stati Uniti portò alla nascita di quel partito progressista che espresse un paio di presidenti degli Stati Uniti ( celeberrimo T.Roosevelt, il vero Roosevelt, come si usa dire).
    La caratteristica fondamentale di questo movimento era l’idea che la promozione dei diritti civili e sociali sia da acquistare tramite riforme progressive anziché tramite una rivoluzione anarchica o socialista.
    In questo senso il materialismo dialettico ( dura far capire a giovani brufolosi che questa è l’ideologia di cui la foto di Alberto Korda è icona…) non è affatto un’ideologia progressista, né lo è, per motivi diametralmente opposti, il liberalismo classico ( e nemmeno il pensiero libertarian).
    In europa il progressismo, inteso in questo senso, può essere attribuito a diversi movimenti politici , come ad esempio il repubblicanesimo mazziniano.
    Oggi la socialdemocrazia ( a partire dagli anni ’80/90) è decisamente progressista e Tony Blair potrebbe rappresentare, col suo New Labour, la versione più compiuta di un partito dalle spiccate caratteristiche progressiste.
    Diciamo che intendevamo due cose diverse per progressismo.
    -segue ancora-

  5. Giovanni Fontana scrive::

    Quanto, specificamente, a Che Guevara: io considero la nonviolenza come un atteggiamento patentemente immorale, quindi vedo questo punto come estremamente favorevole.

    si, concordo, il pacifismo, se inteso in senso fideistico e religioso è immorale.
    Questo non significa, per me, che il culto della violenza come levatrice della storia lo sia di meno.
    L’uso della forza può essere lecito, quando consente di difendersi e quando permette di contrastare un male estremo ( e.g. la seconda guerra mondiale è stata necessaria per fermare il nazifascismo), ma non può essere accettabile per attingere a un supposto bene superiore.
    Giovanni Fontana scrive::

    Vedo con estremo favore l’internazionalismo, come surrogato del cosmopolitismo, e in questo senso stiamo parlando di un argentino che cambia tre continenti per andare a fare le rivoluzioni.

    personalmente penso che sia un pessimo surrogato, perché basato sull’idea che alla divisione tra popoli e nazioni si debba sostituire un’altra divisione: quella tra classi.
    Non che la prima sia migliore della seconda, entrambe sono frutto di una visione ideologica del mondo, ma la seconda ha una carica di violenza al suo interno che la prima non ha.
    Again, non voglio dire che la prima sia una idea pacifica ( il nazionalismo è intrinsecamente violento), ma la seconda, dove storicamente ha avuto modo di esprimersi, ha avuto un effetto devastante.
    -segue ancora, l’avevo detto che era lunga-

  6. Giovanni Fontana scrive::

    Se c’è un interventista umanitario, è lui. Certo, umanitario nello (sbagliato) senso che aveva Guevara, e che è comune a quello di molti comunisti del tempo (e, purtroppo anche di oggi), ovvero di sottomettere la libertà alla sicurezza economica, delle volte di sottomettere la libertà e basta. È il caso del soffocamento del dissenso come mezzo per fare la rivoluzione.

    Su questo devo dire, ancora una volta, che ho un’interpretazione diversa. Non vedo umanitarismo ( nemmeno distorto) nell’azione politica di Guevara. Non lo vedo perché il marxismo non è umanista ( checché ne dica Marcuse), e, come tutti i frutti dell’idealismo tedesco, è un’ideologia totalitaria che subordina l’uomo allo Spirito, all’Idea, alla Storia ( specificamente). E Guevara è marxista, consapevolmente marxista. Per lui anche lo sterminio è lecito se funzionale al trionfo della classe operaia ( ecco la carica di violenza che si porta dietro il marxismo e, con lui, l’internazionalismo), e le sue incursioni africane e sudamericane non servono se non allo scopo di diffondere il germe di quella violenza da cui dovrebbe sorgere l’astro del comunismo.
    Non si tratta di sottomettere la libertà alla sicurezza economica,mi spiace ma è una visione troppo borghese, si tratta di sacrificare tutto affinché la pattumiera della storia possa accogliere un’epoca per dare l’avvio di un’altra. E Guevara si sente un individuo hegelianamente cosmico-storico, si sente lo strumento della Ragione che plasma la storia.
    Il fascino ingenuo di Guevara, quello che attrae torme di adolescenti adusi al Topexan, è proprio dovuto al suo romanticismo ( nel senso nobile del termine, non in quello oleografico che citavo all’inizio del mio pippone), al suo essere classicamente eroico.
    Ed è anche il motivo per cui la foto di Korda è una bella foto, perché coglie l’essenza del personaggio, la sua epicità.
    Se ci rifletti, la morte di Guevara non è tragica, così come non lo sono quelle di Ettore e di Achille, la morte di Guevara voleva essere epica, scritta sin dall’inizio nella sua storia, e assolutamente priva di qualunque fine catartico.
    -segue ancora, purtroppo-

  7. Giovanni Fontana scrive::

    Secondo me sei talmente abituato, o sei stato abituato, a discutere con qualcuno che ti proponeva Che Guevara come modello tout court che sei portato a ignorare la misura con la quale la linea marxista (non facciamo i casi singoli, altrimenti il liberalismo ha il colonialismo: stiamo parlando di traiettorie filosofiche) condivide molti degli stessi tuoi obiettivi: una società globale, l’emancipazione delle donne, il progresso (qui inteso in senso specifico, anti-berlingueriano, lì era già cominciata la metamorfosi), l’autodeterminazione della persona, l’idea stessa che ci sia una giustizia.

    No, assolutamente, la mia visione del marxismo (probabilmente non è la tua) mi porta a credere che a un marxista coerente e consapevole degli scopi che tu gli attribuisci non debba e possa importare nulla, perché essi non sono che conseguenze accidentali ( magari gradite a una coscienza borghese, ma l’homo novus comunista non ha debolezze progressiste borghesi) di ciò che è veramente essenziale: l’avvento del comunismo e del dominio sociale della classe operaia.
    La visione che mitiga il marxismo e rende prioritarie queste istanze è quella socialdemocratica, che, infatti, viene condannato dall’ortodossia sovietica come frutto di falsa coscienza, ideologia incapace di mutare la società perché non agente sui rapporti di produzione esistenti ( oddio, mi sembra di leggere Lotta Comunista…).

  8. Giovanni Fontana scrive::

    un’altra figura che mi viene in mente al quale, invece, non si applicano gli standard che applichiamo oggi è Ataturk:

    Purtroppo su Ataturk, al di là delle nozioni scolastiche, devo cedere il passo, non lo conosco a sufficienza.
    Spero che le osservazioni che ti ho portato spieghino perché ero incuriosito dalla tua visione di Guevara.

  9. Luigi scrive::

    Questo, però, non mi porta a dire che la ferocia belluina di Guevara sia in qualche modo un male minore se rapportato al “nulla mischiato con niente” del postmodernismo. Entrambe le impostazioni sono pericolosissime, anche se in modo profondamente diverso.

    Si vede che un po’ di postmodernismo ha fatto breccia anche nel tuo cuore: se due cose sono (prodondamente) diverse non potranno essere egualmente pericolose. Se sono diverse una sarà più pericolosa e una di meno. Magari di poco, secondo me di un po’ di più, ma comunque – messe su un asse, come hai fatto tu sulla pericolosità – sarebbe una coincidenza straordinaria, la più grande coincidenza di questo mondo, che due scuole di pensiero così diverse abbiano lo stesso identico, preciso, effetto nel mondo.

    E, se non è così, ne ritieni una auspicabile sull’altra, che è quello che sostengo io.

    Luigi scrive::

    Non che la prima sia migliore della seconda, entrambe sono frutto di una visione ideologica del mondo, ma la seconda ha una carica di violenza al suo interno che la prima non ha.
    Again, non voglio dire che la prima sia una idea pacifica ( il nazionalismo è intrinsecamente violento), ma la seconda, dove storicamente ha avuto modo di esprimersi, ha avuto un effetto devastante.

    Bene. Solamente che il postmodernismo le ha tutte e due (semplifico, ci capiamo), nazione contro nazione e classe contro classe, il marxismo ne ha una di queste due. Mi pare automatico quale delle due è auspicabile.

    Ti elenco le cose che tu (ti prendo a esempio come il più liberale di tutti, anche se sappiamo che la questione andrebbe complicata) condividi col postmodernismo:

    Ora ti elenco le cose che condividi col marxismo: *l’intera epistemologia* (almeno pre-Gramsci). pro Positivismo, pro razionalismo, pro metodo scientifico. *Un’ottima parte dell’ontologia*: pro possibilità esistenza del progresso, pro emancipazione femminile, pro immigrazione, pro cosmopolitismo vs superstizione, vs identitarismo, vs razzismo vs culture&multiculturalismo.

    Ci sono, naturalmente, cose che non condividi – altrimenti sarebbe la stessa ideologia – ma non c’è alcun dubbio che, confrontato col postmodernismo, ci siano molte più cose in comune, perché con il postmodernismo non ce n’è una (ecco, forse soltanto la non non-violenza).

    Il marxismo ha perso la battaglia delle idee: non c’è (più?) bisogno di sottolinearne solo le falle. Non c’è più nessuno, quasi, che lo propone come credibile modello alternativo. Ciò che tu contesti è ciò che puoi contestare a qualcuno che ti abbia detto che Che Guevara è il migliore del mondo, non a qualcuno che ti ha detto che Che Guevara è meglio di Massimo Fini.

    Luigi scrive::

    Spero che le osservazioni che ti ho portato spieghino perché ero incuriosito dalla tua visione di Guevara.

    Credo di no. Mi sembra che, in più punti, rispondi criticando pezzi del marxismo, senza menzionare mai l’eventualità, o meno, che – invece – il postmarxismo non ne soffra. È però di questo che stiamo parlando.

  10. Giovanni Fontana scrive::

    Si vede che un po’ di postmodernismo ha fatto breccia anche nel tuo cuore: se due cose sono (prodondamente) diverse non potranno essere egualmente pericolose.

    certo che non sono egualmente pericolose.
    E se giudico il postmodernismo come nulla mischiato con niente è proprio perché è talmente distante dalle mie corde da non avere la minima possibilità di immedesimazione.
    E da questo punto di vista posso accettare la tua osservazione che da libertarian, posso avere più cose in comune con un marxista ( di qualunque scuola, per accettare l’annotazione di Antonello relativa all’esistenza di più interpretazioni del pensiero di Marx).
    Ma questo non significa che possa reputare auspicabile il marxismo. Posso, al più, rassegnarmici.
    Giovanni Fontana scrive::

    *l’intera epistemologia* (almeno pre-Gramsci). pro Positivismo, pro razionalismo, pro metodo scientifico.

    Giovanni, credo di no.
    Si tratta di false friends filosofici.
    L’idea di epistemologia, razionalismo e metodo scientifico del liberale son molto diverse dalle corrispondenti idee che ne ha un marxista.
    Un marxista, in primis, considera scientifica la sua dottrina politica; Popper, si parva licet, non sarebbe d’accordo e, con lui, gran parte della filosofia della scienza post-popperiana.
    Non sto a citare fenomeni degenerativi come il lysenkismo, ma la visione della scienza del marxismo e, ancora una volta, di stampo idealista, e, per quanto l’idealismo abbia piena cittadinanza tra le scuole di pensiero occidentali, ci poniamo a una distanza dal pensiero liberale che se non uguale è almeno dello stesso ordine di grandezza di quella a cui si pone il postmodernismo.
    Giovanni Fontana scrive::

    Ciò che tu contesti è ciò che puoi contestare a qualcuno che ti abbia detto che Che Guevara è il migliore del mondo, non a qualcuno che ti ha detto che Che Guevara è meglio di Massimo Fini.

    Beh, no, io sto osservando che la visione che proponi di Guevara lo rende migliore di Massimo Fini perché la filtra e gli attribuisce scopi che Guevara non aveva.
    Nonostante ciò, c’è qualcosa che io apprezzo in Guevara e che non trovo nel postmodernismo: il suo comunismo, come ti dicevo, genera una visione coerente e stabile del mondo.
    In questo senso, creando un sistema di riferimento, dando una metrica al sistema, il guevarismo, il marxismo portano dal caos all’ordine. La vera prometeicità di questa visione sta nel suo essere capace di permettere un’interpretazione del mondo univoca.
    Questo sì, questo è un tratto comune tra il pensiero liberale e quello marxista, ed è quello che il postmodernismo nega e che lo rende estraneo .
    In questo senso il postmarxismo ha effettivamente qualcosa di peggiore, perchè laddove nel marxismo a una pars destruens in qualche modo seguirebbe comunque una pars construens, in esso vedo, perlomeno così a me pare, una pura volontà di distruggere fine a sé stessa.
    E, in ciò, alla fine, probabilmente hai ragione.

  11. Luigi scrive::

    L’idea di epistemologia, razionalismo e metodo scientifico del liberale son molto diverse dalle corrispondenti idee che ne ha un marxista.
    Un marxista, in primis, considera scientifica la sua dottrina politica; Popper, si parva licet, non sarebbe d’accordo e, con lui, gran parte della filosofia della scienza post-popperiana.

    Qui stai parlando di ontologia, però. Stai proprio riconoscendo che i marxisti usano degli strumenti che usi anche tu – metodo scientifico, logica, razionalismo, empirismo (in senso lato, non esclusivamente induttivista) – ma li usano male, e arrivano a conclusioni sbagliate (questo, fra l’altro, è anche quello che dice Popper).

    Proprio nel dire che il marxismo è antiscientifico stai dicendo che esso rivendica la propria scientificità. Non si può dire lo stesso del postmodernismo. E ti dirò, queste sono considerazioni tutt’altro che originali. Che ci possa essere una verità, un progresso, una dialettica, un metodo univoco e universale per accertarla (che poi è l’Illuminismo)

    Un marxista sottoscriverebbe questo post, che è una versione pop di questo dibattito, al 100%
    http://www.distantisaluti.com/critica-ragionata-della-diversita/
    Un postmoderno neanche un po’.

    Luigi scrive::

    E da questo punto di vista posso accettare la tua osservazione che da libertarian, posso avere più cose in comune con un marxista ( di qualunque scuola, per accettare l’annotazione di Antonello relativa all’esistenza di più interpretazioni del pensiero di Marx).
    Ma questo non significa che possa reputare auspicabile il marxismo. Posso, al più, rassegnarmici.

    Luigi, ancora una volta: proprio per questo ti dicevo che non devi leggere ciò che scrivo oltre il limite semantico delle mie parole.

    Dov’è che dico che il marxismo è auspicabile? Ti garantisco che se lo pensassi lo scriverei. Ho scritto cose ben più controversial: ho discusso del rifiuto assoluto alla tortura, ho scritto che l’Islam è una religione inerentemente violenta, ho scritto che arresterei manda i figli a catechismo, ho scritto che è cosa buona evitare i ristoranti kosher, ho scritto contro la famiglia, contro l’amore imparziale, contro lo sciopero, a favore dell’invidia, a favore del proselitismo (quasi tutte cose con cui sei in disaccordo, e che difenderei in una discussione, salvo poi cambiare idea se mi convincessi).

    Questa è la mia frase di cui mi hai chiesto spiegazioni – oh, non pensare che non mi faccia piacere eh! –, non c’è una cosa che tu abbia detto, tranne la diversa definizione di progressismo, che non te la faccia sottoscrivere.

    “È forse un peccato che gli adolescenti di sinistrasinistra abbiano perso questo tipo di icone in favore di altre più postmoderne, conservatrici e anti-illuministe. Che Guevara era un vero marxista: progressista, internazionalista e guerrafondaio.”

    Vediamo:

    “È forse un peccato”

    Se riconosci che, almeno su alcuni aspetti, postmodernismo sia peggio di marxismo, è un peccato anche per te

    “che gli adolescenti di sinistrasinistra”

    Quindi parliamo di una parte politica precisa. Quella che un tempo andava in giro con lotta comunista, e ora va in giro con Derrida

    “abbiano perso”

    Mi dicevi che anche un tuo amico ha avuto questa conversione, quindi riconosci anche a livello aneddotico questa tendenza.

    “questo tipo di icone in favore di altre”

    Vedi sopra

    “più postmoderne”

    Do per scontato tu riconosca che Foucault sia più postmoderno di Marx.

    “, conservatrici”

    idem, young conservatives.

    ” e anti-illuministe”

    idem.

    “Che Guevara era un vero marxista”

    Sei d’accordo, mi pare.

    “: progressista”

    Qui usiamo il termine in due modi diversi, una volta chiarito questo equivoco mi pare che siamo d’accordo.

    “, internazionalista”

    Qui siamo d’accordo.

    ” e guerrafondaio.”

    Anche qui.

    Per questo ti dicevo che, secondo me, stai rispondendo a uno straw man. Se avessi voluto dire che il marxismo è auspicabile l’avrei detto. È certamente più aspicabile del postmarxismo: questo l’ho detto, e lo dico forte.

    (ti confesso, poi, che quest’ultima frase l’ho aggiunta solo per vena polemica, per – in una frase – scontentare tutti: sia quelli che ora si sentono di sinistra e si sentono dare dei “non veri marxisti” per il loro postmodernismo, sia quelli che ora son pacifisti e amano Che Guevara, cui io do del guerrafondaio.)

  12. Due parole sulla rilevata incoerenza tra il pacifismo e l’ostentazione dell’icona del Che, marxista e guerrafondaio.
    Il Che è un’immagine spendibile sul mercato delle idee perchè è rimasto “puro”: fatta a Cuba la rivoluzione è andato a farla da qualche altra parte, pagando alla fine il tributo estremo.
    Vorrei che Luigi e Giovanni mi dessero una mano a circoscrivere il concetto di pacifismo, in modo che possa spendere qualche parola per difendere, d’ufficio e neanche tanto convintamente, i ragazzini incoerenti che inneggiano alla pace e devastano le città.

  13. Antonello Barmina scrive::

    Vorrei che Luigi e Giovanni mi dessero una mano a circoscrivere il concetto di pacifismo, in modo che possa spendere qualche parola per difendere, d’ufficio e neanche tanto convintamente, i ragazzini incoerenti che inneggiano alla pace e devastano le città.

    Dunque, Antonello, innanzitutto non bisogna pensare che tutti quelli che ci sembrano pacifisti lo siano. È diverso opporsi all’interventismo umanitario (qui faccio di tutta l’erba un fascio, sapendo che fra Libia, Bosnia, Kosovo, ci sono molte differenze, e con Iraq e Afghanistan ce ne sono ancora di più) da un punto di vista anti-violento e da un punto di vista antiuniversalista.

    Le due componenti sono, quindi, nonviolenza (gandiana) e particolarismo (noi vs loro).
    Volendo quindi riassumere molto, molto, schematicamente, ci sono due fattori: Universalismo (da dentro e da fuori) vs Particolarismo (solo da dentro) e nonviolenzamezzo (preferibilmente evitare violenza) vs nonviolenzafine (evitare violenza a qualunque costo). Tutte queste posizioni possono essere sostenute.

    Ci sono pacifisti (qui lo intendiamo in senso integrale, quindi come fine e non come mezzo), spesso sono figure religiose o mistiche, e quelli non amano Che Guevara, proprio perché considerano la violenza come un mezzo sbagliato sempre.

    Ci sono particolaristi che dicono che “noi” non dobbiamo intervenire nelle lotte “loro”, quindi che sono favorevoli alle rivoluzioni indigene e alle scelte fatte localmente (i postmoderni, postcoloniali sono in questa area dello spettro). In questo caso simpatizzano di più per Che Guevara

    Le due cose si mischiano spesso, e io considero sia l’una che l’altra come sbagliate (la prima come egoista e immorale, la seconda con una malintesa idea di umanità), però non bisogna vedere incoerenza dove non ce n’è. Ci sono diverse ragioni per essere contro all’interventismo umanitario. Certo, in questo senso è comunque difficile sostenere una figura come Che Guevara che va a lottare in rivoluzioni non sue (Cuba, Congo, Bolivia), ma quello che risponderebbe – secondo me in maniera poco convincente – chi sostiene questa posizione è che Guevara si sia unito alle battaglie localiste.

    Di certo il liceale che dice pace senza se e senza ma ed esalta Che Guevara è in contraddizione, ma ci sono delle linee filosofiche che – per quanto condivisibili o meno, meno nel mio caso – hanno una loro dignità di consistenza logica.

    Per finire: non penso che i ragazzini, spesso non così -ini, che devastano le città abbiano mai fatto richiamo alla nonviolenza o al pacifismo.

  14. Nel 1999 si parlò di intervento umanitario in Jugoslavia, ma di umanitario c’era davvero poco. Si trattò, piuttosto, di un intervento a fianco di uno dei belligeranti.
    Spesso l’intervento umanitario viene appunto invocato per legittimare un’aggressione militare a tutti gli effetti, arrivando fino all’ipocrisia di definire la guerra “missione di pace”: ma a questo capovolgimento lessicale(sul quale mi soffermerò in un post successivo)non credono neppure i più ingenui fra i bambini.
    Io sono tra coloro che si sono opposti a qualsiasi tipo di ingerenza umanitaria. Ma non sono un pacifista, e neppure un non-violento. Il mio rifiuto dell’intervento umanitario in Jugoslavia o delle missioni di pace in giro per il mondo nasce da considerazioni contingenti e da motivazioni che possono essere anche differenti a seconda dei casi.

  15. Antonello Barmina scrive::

    Nel 1999 si parlò di intervento umanitario in Jugoslavia, ma di umanitario c’era davvero poco. Si trattò, piuttosto, di un intervento a fianco di uno dei belligeranti.

    Credo tu stia parlando del Kosovo (Jugoslavia è 94).
    Per me c’è solo un criterio da valutare: quell’intervento ha salvato delle vite umane?

    Credo che i kosovari abbiano le idee molto chiare sul punto:
    http://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/01/6a/64/a8/bill-clinton-boulevard.jpg

  16. carini quelli di sinistrasinistra in giro con Derrida. Ma dove li hai visti? Interessante anche la presa di posizione sul post.modernismo. Mi spiegheresti quale senso dai a questa parola?

  17. Antonello Barmina scrive::

    Io sono tra coloro che si sono opposti a qualsiasi tipo di ingerenza umanitaria

    ….e vorra’ dire che devi accettare il puzzo dei cadaveri degli stermini di massa e dei campi di concentramento, in Europa, ancora una volta, a soli 100 km da casa tua.

    contento tu…. ma non illuderti che cio’ non sia altro che una sofisticata e verbosa forma di “menefrego”

    perche’ nella ex yugoslavia nel 1999 quello stava accadendo, che te ne sei scordato? e se non intervieni in casi del genere, praticamente nel cortile di casa tua, quando? ed e’ certo che di fatto, al di la’ delle inevitabili capriole diplomatiche, intervieni a favore di una parte sull’altra: intervieni inizialmente sulla parte forte che mena di piu’ i civili.

    Il 1999 fu l’inevitabile completamento dell’intervento del 1995 e dei fallimenti di leadership delle truppe di terra UN (specie gli Olandesi)

    Nell’estate del 1995 (nel 1999 non ero piu in Italia) io studente universitario non capivo come tutti noi potessimo stare li a guardare, tra l’incredulo ed il menefreghista mentre si massacravano ogni giorno civili a Sarajevo, con intento, alle porte di casa nostra, dell'”Europa dei diritti” e dei milioni di parole spese sul “non dimenticheremo”. Pezzi di cadavere per strada, laghi di sangue nei mercati, e noi li a mangiar pasta asciutta davanti alla TV.

    Il giorno che vidi quei F16 americani partire da Aviano carichi di bombe e tornare bassi e lenti -scarichi, finalmente- quel giorno riguadagnai un briciolo di dignita. e tu con me, che te ne renda conto o meno.

    Leadership e’ riconoscere un olocausto per quello che e’ mentre sta accadendo, non dopo. Dopo ci sono solo lacrime di coccodrillo.

    Sia nel 1995 che nel 1999 era il momento di dimostrare che l’Europa esisteva al di la del trattato e del commercio. Il momento di dimostrare che la seconda guerra mondiale ci aveva insegnato qualcosa. invece perdemmo l’occasione di essere entita’ politica che sa fare, oltre che dire.

    “freedom is not free” , giusto? invece in Europa sta cosa non la si ricorda piu’.

  18. Max scrive::
    Nell’estate del 1995 (nel 1999 non ero piu in Italia) io studente universitario non capivo come tutti noi potessimo stare li a guardare, tra l’incredulo ed il menefreghista mentre si massacravano ogni giorno civili a Sarajevo, con intento, alle porte di casa nostra, dell’”Europa dei diritti” e dei milioni di parole spese sul “non dimenticheremo”. Pezzi di cadavere per strada, laghi di sangue nei mercati, e noi li a mangiar pasta asciutta davanti alla TV.
    Il giorno che vidi quei F16 americani partire da Aviano carichi di bombe e tornare bassi e lenti -scarichi, finalmente- quel giorno riguadagnai un briciolo di dignita. e tu con me, che te ne renda conto o meno.
    Leadership e’ riconoscere un olocausto per quello che e’ mentre sta accadendo, non dopo. Dopo ci sono solo lacrime di coccodrillo.

    :_) con questa ci faccio una t-shirt

  19. Un eccidio avvenga a meno di cento chilometri da casa mia non è meno grave dei tanti che avvengono un pò più lontano dal mio cortile. Vorrei che mi si chiarisse quali sono i criteri che legittimano un intervento e quali invece consentono di rimanere neutrali(la neutralità è il nome diplomatico dell’indifferenza).
    I due terzi degli stati del mondo sono retti da ordinamenti lontanissimi dai nostri standard di democrazia e libertà. Solo in rarissimi casi ci accorgiamo delle patenti violazioni dei diritti umani.
    Facciamo un salto di qualche anno. l’Occidente sembra guardare con entusiasmo agli eventi della primavera araba. Se però guardiamo con attenzione e con un pò di obiettività a cadere sono stati prima di tutto i regimi islamici più moderati. L’esempio della Libia è particolarmente significativo.

  20. Giovanni Fontana scrive::

    Qui stai parlando di ontologia, però. Stai proprio riconoscendo che i marxisti usano degli strumenti che usi anche tu – metodo scientifico, logica, razionalismo, empirismo (in senso lato, non esclusivamente induttivista) – ma li usano male, e arrivano a conclusioni sbagliate (questo, fra l’altro, è anche quello che dice Popper).

    No, a mio avviso no, riprendendo quello che ho già detto è un fraintendimento legato al fatto che si usano gli stessi termini con significati diversi.
    E lo si vede perfettamente se si legge “materialismo ed empiriocriticismo”, per esempio.
    La critica di Popper alla visione storicista non si basa sul fatto che i teorici marxisti usino “male” il metodo scientifico e giungano a risultati sbagliati, bensì sul fatto, ben più fondamentale, che la loro epistemologia è anti-scientifica, olistica, e presuppone che la storia abbia un _fine_.
    Possiamo anche dire che in ciò c’è qualcosa di “meglio” del postmodernismo, ma non che ci sia affinità con un pensiero di matrice realmente illuminista.
    Giovanni Fontana scrive::

    Proprio nel dire che il marxismo è antiscientifico stai dicendo che esso rivendica la propria scientificità.

    E in questo, paradossalmente, segni un punto a favore del postmodernismo, che può essere visto come la presa di coscienza dell’anti-illuminismo della radice di questa “sinistra” ( le virgolette mi servono per evitare di attribuire un segno politico a questa classificazione, esclusivamente di comodo)

    Giovanni Fontana scrive::

    i garantisco che se lo pensassi lo scriverei.

    lo so.
    Giovanni Fontana scrive::

    Ho scritto cose ben più controversial: ho discusso del rifiuto assoluto alla tortura, ho scritto che l’Islam è una religione inerentemente violenta, ho scritto che arresterei manda i figli a catechismo, ho scritto che è cosa buona evitare i ristoranti kosher, ho scritto contro la famiglia, contro l’amore imparziale, contro lo sciopero, a favore dell’invidia, a favore del proselitismo (quasi tutte cose con cui sei in disaccordo, e che difenderei in una discussione, salvo poi cambiare idea se mi convincessi).

    In realtà, mi sembra che su molte cose sarei in completo accordo con te, almeno in parte.
    La mia domanda, forse, sorgeva dal fatto che tu proponessi come alternativa più auspicabile al postmodernismo Guevara ( lo spettro del passato) al posto di mille altre figure ideali più vicine allo spirito “progressista” (inteso per come lo intedevo io). E nel chiedermi perché ho cercato di capire cosa tu trovassi di significativo in Guevara ( e in quello che la sua figura rappresenta). E mi sembra che si sia messa in evidenza una discreta differenza di interpretazione del pensiero marxista. Per carità, entrambi, a differenza di Antonello, ne facciamo una questione di archeologia del sapere ( scusa la battuta, ma era difficilmente resistibile 😉 ), ma tu, mi sembra di capire, lo ritieni un figlio legittimo dell’illuminismo, mentre per me, sebbene ne mutui la terminologia, distorcendola, si situa tra le forme di reazione anti-illuminista all’affermarsi della società industriale moderna.
    E non è un caso, a mio avviso, che si sia riuscito a affermare solo in paesi in cui la rivoluzione industriale non aveva dato nessuno dei suoi frutti nel momento in cui il marxismo si è affermato.

  21. Antonello Barmina scrive::

    Un eccidio avvenga a meno di cento chilometri da casa mia non è meno grave dei tanti che avvengono un pò più lontano dal mio cortile.

    ciò non vuol dire che non si debba intervenire. Il fatto che non si possano correggere tutti i mali del mondo non significa che io debba rimanere inerte. Interverrò laddove potrò.
    Se assisto a un crimine tenterò di impedirlo ( nei limiti delle mie possibilità), nonostante io sappia che altri crimini vengono compiuti nello stesso istante a due o tre isolati da casa mia, dove notoriamente si spaccia della droga. Sarebbe giusto che io non impedissi uno scippo, perché non posso debellare lo spaccio di droga nel mio quartiere?Antonello Barmina scrive::

    Vorrei che mi si chiarisse quali sono i criteri che legittimano un intervento e quali invece consentono di rimanere neutrali(la neutralità è il nome diplomatico dell’indifferenza).

    Se dici che la neutralità è il nome diplomatico dell’indifferenza stai già attribuendo un significato morale alla scelta.
    Credo che il criterio sia già stato espresso in sintesi da Giovanni:
    Giovanni Fontana scrive::

    Per me c’è solo un criterio da valutare: quell’intervento ha salvato delle vite umane?

    Ovvero, durante eventuali scontri armati che avvengano nel corso di questi interventi umanitari potrebbero morire delle persone ( purtroppo così avviene ed è avvenuto diverse volte), e questo fa sì che questi interventi vadano ponderati attentamente, ma se, non intervenendo, un numero molto più alto di persone si ha la certezza che morrà, è sicuramente preferibile intervenire, sapendo che “freedom is not free”, come dice giustamente Max.
    Antonello Barmina scrive::

    I due terzi degli stati del mondo sono retti da ordinamenti lontanissimi dai nostri standard di democrazia e libertà. Solo in rarissimi casi ci accorgiamo delle patenti violazioni dei diritti umani.

    Non credo che non ci si accorga della patente violazione dei diritti umani, ma la capacità materiale di intervenire dei paesi democratici è limitata e si impongono delle scelte.
    A volte, poi, si ritiene più proficuo effettuare della moral suasion sui dittatori, o perché nell’immediato non è in corso una repressione violenta o perché si sospetta che un intervento sarebbe più dannoso. Si fa un ragionamento pragmatico, per quanto guidati da motivi ispiratori ideali.
    Antonello Barmina scrive::

    Facciamo un salto di qualche anno. l’Occidente sembra guardare con entusiasmo agli eventi della primavera araba. Se però guardiamo con attenzione e con un pò di obiettività a cadere sono stati prima di tutto i regimi islamici più moderati. L’esempio della Libia è particolarmente significativo.

    Sul fatto che il regime libico fosse “moderato” ho notevoli dubbi.
    E’ un dato di fatto che le masse che si sono riversate in piazza per contestare Mubarak non giudicassero accettabile la loro condizione di vita.
    E’ un dato di fatto che, oggi, in Libia non ci siano troppe persone che rimpiangono il colonnello.
    Perché non si interviene in Siria? Perché c’è un grosso plantigrado che lo impedisce.
    E questo è un altro aspetto che i non interventisti sembrano non prendere in considerazione: esistono, tra i paesi non propriamente democratici, alcuni paesi che perseguono con forza una loro politica estera, e hanno la forza militare e diplomatica per far valere il loro peso.

  22. Luigi scrive::

    E in questo, paradossalmente, segni un punto a favore del postmodernismo, che può essere visto come la presa di coscienza dell’anti-illuminismo della radice di questa “sinistra”

    Eh no, meglio uno che predica bene e razzola male che uno che predica male e razzola male. La coerenza non è un valore quando uno sbaglia.

    Luigi scrive::

    E mi sembra che si sia messa in evidenza una discreta differenza di interpretazione del pensiero marxista.

    Mi sembra che siamo arrivati a una interessante conclusione della discussione, che mi sembri articolare molto bene.

    Mi preme solo specificarti, ancora una volta, che

    questo:

    “tu proponessi come alternativa più auspicabile al postmodernismo Guevara ( lo spettro del passato) al posto di mille altre figure ideali”

    Non l’ho mai fatto.

  23. Giovanni Fontana scrive::

    Mi preme solo specificarti, ancora una volta, che
    questo:
    “tu proponessi come alternativa più auspicabile al postmodernismo Guevara ( lo spettro del passato) al posto di mille altre figure ideali”
    Non l’ho mai fatto.

    ok, è stato, da questo punto di vista, un misunderstanding.
    La discussione, però, nonostante ciò è stata veramente interessante!

  24. Giovanni Fontana scrive::

    Eh no, meglio uno che predica bene e razzola male che uno che predica male e razzola male. La coerenza non è un valore quando uno sbaglia.

    Non intendevo in termini di coerenza, ma del fatto che sotto questo profilo è un’evoluzione del pensiero che mette in evidenza proprio la natura profonda del movimento che nato nell’ottocento ( prima di Marx ma che con Marx è divenuto maturo) si è poi, in parte, convertito al postmodernismo.

  25. giul scrive::

    Interessante anche la presa di posizione sul post.modernismo. Mi spiegheresti quale senso dai a questa parola?

    Beh, difficile spiegarlo così senza almeno un’asse sul quale misurarlo.

    Per sommi capi: un movimento filosofico di recente fattura che, attraverso un’analisi del linguaggio, e in particolare del concetto di potere, che vede con sospetto la componente “progressiva” di gran parte del pensiero moderno, in particolare liberalismo e marxismo.
    È in generale diffidente nei confronti di qualunque nozione di verità, quindi del metodo scientifico, e dell’universalismo, perciò anche del cosmopolitismo. Ha una endemica componente anti-positivista e relativista che focalizza la propria attenzione sulle diverse narrative.

  26. I se e i ma, con i quali notoriamente non si fa la storia, aiutano tuttavia a render conto del dibattito presente.
    Allora è lecito domandarsi se, mancando l’elaborazione teorica del marxismo e la sua traduzione in termini di prassi, la valutazione dell’illuminismo, di cui Marx sarebbe una sorta di figlio degenere e rinnegato,sarebbe oggi differente.
    Allo stesso modo ho l’impressione che si voglia colpire Hegel per abbattere il suo allievo più illustre.
    Luigi identifica nella rivoluzione industriale una delle conseguenze dell’illuminismo e dunque in chi storicamente si è opposto ai processi di industrializzazione un antiilluminista.
    Quì io sono in radicale disaccordo. E’ tutto da dimostrare infatti che vi sia una coincidenza, o quantomeno un’invincibile nesso di cusalità, tra l’illuminismo, un movimento culturale di ampio respiro,e il processo di industrializzazione, che costituisce invece un fenomeno socio-economico.

  27. Antonello Barmina scrive::

    Un eccidio avvenga a meno di cento chilometri da casa mia non è meno grave dei tanti che avvengono un pò più lontano dal mio cortile.

    Vero. Difatti bisognava intervenire anche in Ruanda. E quel milione di morti lo abbiamo tutti sulla coscienza.

    Antonello Barmina scrive::

    I due terzi degli stati del mondo sono retti da ordinamenti lontanissimi dai nostri standard di democrazia e libertà. Solo in rarissimi casi ci accorgiamo delle patenti violazioni dei diritti umani.

    E quindi?

    Non hai detto di essere contrario agli interventi umanitarî? Perché, fin’ora – invece – hai portato argomenti a favore dell’intervento in molti più posti di quelli nei quali si sia intervenuti.

  28. Antonello Barmina scrive::

    Tra i paesi non propriamente democratici collocherei anche l’Arabia Saudita, con cui l’occidente intrattiene ottimi rapporti politici e commerciali.

    Esatto. Dovremmo intervenire anche in Arabia Saudita, quindi?

    Beh, dovevamo intervenire diversi mesi fa, quando milizie saudite andarono a soffocare le rivolte in Bahrain. Però sì, hai ragione, bisognerebbe intervenire in Arabia Saudita, se è possibile.

  29. Arabia Saudita, Bahrein, Cina….andiamo in ordine alfabetico. Il mio sospetto, da perfetto figlio del Novecento, è che le ragioni non siano umanitarie, e che l'”umanitarismo” sia nient’altro che una foglia di fico. Non è necessario essere marxisti,per cercare di scoprire quali siano le ragioni che scatenano gli appetiti del pur sazio Occidente.

  30. Antonello Barmina scrive::

    Arabia Saudita, Bahrein, Cina….andiamo in ordine alfabetico. Il mio sospetto, da perfetto figlio del Novecento, è che le ragioni non siano umanitarie, e che l’”umanitarismo” sia nient’altro che una foglia di fico

    Embè?
    Pensi che Putin sia interessato a questioni umanitarie nel suo non-interventismo?

    Per favore, rispondi alle domande. Non evaderle una volta che la logica ti si ritorce contro.

  31. Io non evado la domanda. Putin evidentemente non è interessato a nessun genere di intervento umanitario per una ragione piuttosto evidente: perchè la Russia sarebbe essa stessa oggetto di intervento.
    Rispondo in maniera più esplicita: sono contro l’intervento umanitario per il semplice motivo che non esiste. Esistono equilibri internazionali da tutelare e formidabili interessi economici che di tanto in tanto richiedono il sacrificio di una pedina. Appurato questo, una nobile motivazione si trova nel giro di poche ore e, guarda caso,ad essere colti in fallo non sono mai paesi appartenenti al Patto Atlantico.

  32. Antonello Barmina scrive::

    Putin evidentemente non è interessato a nessun genere di intervento umanitario per una ragione piuttosto evidente: perchè la Russia sarebbe essa stessa oggetto di intervento.

    Bene! Siamo d’accordo. Quindi riconosci che l’argomento che hai usato precedentemente decade?

    Dire “in realtà lo fanno per altre ragioni” è un argomento che difetta di logica, tanto è vero che sia nel fronte del Sì che nel fronte del No si trovano interessi per nulla umanitarî, e né gli interessi di Putin né quelli di (Bush?) inficiano la bontà degli argomenti degli uni o degli altri.

    Direi che ritiri l’argomento, o no?

  33. Ok. Era per capire. Capisco che sia utile l’etichetta in un commento in un blog, quindi non starò a far filippiche su quanto sia parziale dire post moderno e ficcarci di tutto. Abbiamo posizioni differenti, però ti invito, con umiltà a leggere qualcosa di più, a occhio e croce mi sembrano più pregiudizi e confusione su certi autori e filosofie e correnti di pensiero che non so se hai letto davvero. Posizioni molto inglesi fra l’altro (non a caso studi lì!). Se invece è solo necessità di sintesi perdona questo breve momento da maestrino. Preferisco andare al sodo della discussione.
    Antonello ha sia torto che ragione. Ragione nel sottolineare la parzialità di questi interventi mostrando quindi la reale motivazione economica e strategica. Torto dal momento che il dubbio rimane guardando il sangue che scorre a fiumi. Questi in Ruanda li facciamo massacrare? Poi se si va vedere il mancato intervento aveva ragioni politiche molte tristi, così come il massacro aveva radici nelle decisioni europee al tempo della colonia belga. E a me il dubbio resta in questi casi. Laddove la decisione è schifosamente militare e invece mi ripugna. Leggevo i resoconti e le idee dei conquistadores (ma anche quelle di spagnoli “buoni” come Las Casas) e le loro parole erano terribilmente uguali a quelle che ci portarono ad invadere Iraq e Afghanistan. La democrazia è la nostra idea universale. Per Las Casas e qualche conquistadore era il cristianesimo l’idea universale. Solo che questa era solo ideologia. Altre erano le motivazioni dell’invasione. Sinceramente non riesco a decidere del tutto.

  34. giul scrive::

    Posizioni molto inglesi fra l’altro (non a caso studi lì!). Se invece è solo necessità di sintesi perdona questo breve momento da maestrino. Preferisco andare al sodo della discussione.
    Antonello

    Non ho ho problemi con i maestrini, non considero l’insegnamento come una pratica imperialista (questa è una battuta!), quindi se mi vuoi insegnare qualcosa te ne sono grato.
    Ho letto qualcosa, non tutto. Se mi vuoi suggerire qualcosa da leggere, o obiettare specificamente su qualcuno dei miei punti sono contento di approfondire.

    Quanto all’inglesità, l’ho sentita diverse volte questa. Al di là del fatto che è una casualità, nel mio caso, perché sono andato a studiare a Londra ben dopo la formazione di queste idee. Credo sia una sorta di complesso d’inferiorità – non intendo il tuo, intendo la ragione propulsiva del concetto – che è convinto che il mondo anglosassone rifiuti il postmodernismo perché non lo conosce e non perché lo conosca e lo ritenga sbagliato.

    giul scrive::

    Ragione nel sottolineare la parzialità di questi interventi mostrando quindi la reale motivazione economica e strategica.

    Che però non ha alcuna rilevanza nel valutare la bontà o meno dell’azione.

    giul scrive::

    Leggevo i resoconti e le idee dei conquistadores (ma anche quelle di spagnoli “buoni” come Las Casas) e le loro parole erano terribilmente uguali a quelle che ci portarono ad invadere Iraq e Afghanistan. La democrazia è la nostra idea universale. Per Las Casas e qualche conquistadore era il cristianesimo l’idea universale.

    Beh, se secondo te Cristianesimo medievale e democrazia hanno lo stesso valore, allora siamo completamente in disaccordo. Ma ho il dubbio che quello che ti crea problemi non è l’oggetto dell’universalità, ma l’universalità stessa. Fossero anche la dichiarazione universale dei diritti umani. Nella fattispecie, poi, non è neanche del tutto vero da due lati.

    L’esportazione della democrazia, specie nel caso dell’Afghanistan, è un argomento che è rimasto molto sottotraccia per diverso tempo – questo va a scapito dell’Amministrazione Bush – e soltanto via via, con il tempo, si è trasformata nella motivazione principale.

    Dall’altro lato, bisogna riconoscere che una componente enorme del colonialismo (ed è la peggiore) non vedeva l’altro come un essere umano da educare, ma come un individuo – quando era considerato tale – non in grado di assurgere allo stesso grado di civiltà. Leopoldo del Beglio, che tu ricordavi, non andava in Africa a esportare la democrazia – tutt’altro – pensava che la democrazia non si sarebbe mai potuta esportare in una società inferiore come quella.

  35. Antonello Barmina scrive::

    Direi che le ragioni degli interventisti e dei non interventisti si annullano reciprocamente.

    Non mi pare proprio, e ti sono stati portati numerosi argomenti.

    Visto che ti ho fatto dieci domande e non hai risposto neanche a una, ti prego di rispondere almeno a questa: c’è qualcosa che ti possa far cambiare idea?

    C’è qualcosa che ti possiamo dire, o indurre a far ragionare, per cambiare idea e pensare che – per esempio – in Ruanda sarebbe stato giusto intervenire?

    (per me, al contrario, naturalmente c’è).

  36. Fontana, questa che l’invervento umanitario si valuta “se salva vite umane” non si può proprio sentire.
    Credo che ormai nessuno, nel mondo, sia disposto a riconoscere l’ esistenza della guerra umanitaria, nè a citarne un esempio uno che non sia criticabile…a cominciare ovviamente dal Kosovo e finendo con la Libia, dove ogni giorno ci si accorge come l’ umanitarismo non stia venendo perseguito manco per un po’

  37. giacomoB scrive::

    Fontana, questa che l’invervento umanitario si valuta “se salva vite umane” non si può proprio sentire.

    Beh, allora mi dispiace che ti interessino più gli affari di Putin o Bush che il sangue dei libici o dei ruandesi.

    giacomoB scrive::

    Credo che ormai nessuno, nel mondo, sia disposto a riconoscere l’ esistenza della guerra umanitaria

    Mi sa che viviamo in due mondi diversi.

  38. Io vivo nel mondo di chi queste cose le studia e spera di studiarle per lavoro. Se riesci a convincermi che c’è una ampia coesione tra gli Stati sulla legalità e la moralità dell’ intervento umanitario, o meglio, sulla dottrina della r2p, ti offro una cena

    Poi l’ argomento specchio riflesso, dispiace, ma non funziona. Non mi interessano gli affari di Bush e Putin o della Merkel o di Chirac ( parlando di anti-umanitaristi), mi interessa il fatto che all’ indomani della caduta di gheddafi della protezione dei civili se ne siano dimenticati tutti, e che il CNT possa detenere aribtrariamente 7000 “negri” senza nessuna, per ora, conseguenza rilevante

  39. giacomoB scrive::

    Se riesci a convincermi che c’è una ampia coesione tra gli Stati sulla legalità e la moralità dell’ intervento umanitario, o meglio, sulla dottrina della r2p, ti offro una cena

    Abbiamo già discusso di questo. Per te il fine ultimo è la legalità, per me è l’intangibilità di quelle persone. In Iran tu condanneresti a morte un omosessuale, io lo nasconderei in casa. Partiamo da presupposti troppo diversi.

    giacomoB scrive::

    Poi l’ argomento specchio riflesso, dispiace, ma non funziona.

    Sì, vabbè, dài: io l’argomento specchio riflesso, io. Se non ti interessano gli affari di Bush e Putin, allora non parlarne. È molto semplice.

  40. Antonello Barmina scrive::

    sono contro l’intervento umanitario per il semplice motivo che non esiste. Esistono equilibri internazionali da tutelare e formidabili interessi economici che di tanto in tanto richiedono il sacrificio di una pedina. Appurato questo, una nobile motivazione si trova nel giro di poche ore e, guarda caso,ad essere colti in fallo non sono mai paesi appartenenti al Patto Atlantico.

    Onestamente, il ragionamento non mi convince.
    In primis, come già detto da Giovanni, l’argomento, di per sé, può essere usato sia per spiegare un intervento che un non intervento, il che da un punto di vista puramente logico lo rende un non argomento. Il che non significa che non possa essere vero, a volte, ma richiede, magari, qualche supporto fattuale in più.
    Ma in secondo luogo, sembra che non possano coesistere motivazioni molteplici nel guidare le azioni di un governo o di una coalizione di stati.
    Eppure persino tra le persone comuni raramente si agisce spinti esclusivamente da una motivazione.
    E’ possibile, a volte e non sempre, che tra i motivi che spingono ad agire nei confronti di una dittatura piuttosto che in quelli di un’altra possano avere influenza anche fattori estranei alle considerazioni umanitarie, ma se in questa eterogenesi dei fini si ha alla fine che qualche milione di persone si possa scrollare di dosso il peso di una dittatura, è un male?
    Sta di fatto che fino ad ora gli interventi umanitari che tu contesti si sono rivolti verso dittature e regimi retrivi e oppressivi, e non mi sembra che nessuno rimpianga Saddam Hussein o Gheddafi, e nessuno, al di là di pose intellettuali fighette, si sentirebbe impoverito dalla fine del regime nordcoreano o dalla caduta di Assad.
    Tu stesso hai parlato dei nostri standard di democrazia e libertà, ripeto _nostri_.
    C’è un motivo per cui tu ritenga che tali standard non vadano estesi a tutti, se possibile?

  41. Non so cosa hai letto? Come posso consigliarti?

    Sull’inglesità delle idee e sulle letture anglosassoni di testi continentali non sarei così sicuro che si tratti solo di pregiudizio. Ho imparato tempo fa, leggendo un post, bellissimo, nel blog Eschaton che ha radici antiche (se lo ritrovo lo linko). L’argomento più usato è: non si capisce. Che come argomento è debole: non si capisce, non vuoi capire o non capisci proprio? Ho ritrovato queste cose in una recensione molto critica ad un testo da parte di un accademico inglese. Il testo faceva un uso davvero complesso delle parole, ma non criticava nel merito, diceva solo: troppo complicato. Poi continuava criticando l’uso di alcuni concetti Focaultiani, ma solo dicendo che Focault era un anti-umanista. Il che significa che o non si è mai letto Focault, o lo si legge con delle lenti ideologiche spessissime, oppure, ammettendo la possibilità di una diversa interpretazione dei suoi scritti, che non si è letto mai nessuno testo dopo quelli degli anni ’70. E’ un esempio, ma l’atteggiamento è abbastanza diffuso.

    Per quanto riguarda l’universalismo. Beh, non amo il concetto di universalismo, concetto che è tutt’altro che solo Occidentale fra l’altro, ma perché è un concetto che va messo in “contesto”, in quale contesto di potere viene usato, quale parte lo usa nel confronto. Ma il punto non era questo. Volevo solo dire che l’universalismo era soltanto una “scusante” ideologica.
    A mio parere però, purtroppo il punto rimane. Come si può non porsi il problema delle morti innocenti? E come però si può non porsi il problema del reale interesse negli interventi? Credo che una visione non ideologizzata dovrebbe tenere conto di entrambi i punti! Quello che dice Luigi non tiene conto di un fatto: per lui ci si muove anche per motivi umanitari, mentre in realtà i motivi umanitari sono solo paraventi ideologici. Al che lui potrebbe dire: ma ci liberiamo lo stesso di dittatori sanguinari! Ma a che prezzo? Con quali conseguenze? Le conseguenze della fine di Saddam non sono affatto positive tanto per esemplificare.
    C’è un argomento contro l’estensione degli standard? C’è ma si torna alle idee generali che ci dividono profondamente, e non credo che si troverà mai un punto d’incontro in questo modo. Per questo propongo questa lettura: tenere conto di tutti i fattori e ragionare caso per caso, invasione per invasione, intervento per intervento, cercando di conoscere tutte le carte e le situazioni in gioco. Non dire: non si deve intervenire mai ma neanche: si deve intervenire tutti. Le cose sono complicate. Sempre.

  42. Ah su Che Guevara, scusami, carina la provocazione ma è falsata da una lettura un poco approssimativa del marxismo in generale (che magari fosse quel blocco rigido che descrivi, ahivoglia te quante scuole di pensiero su l’internazionalismo, l’intervento e l’espansione del comunismo e sul progresso etc). Ma più di tutto sulle ragioni del compagno Ernesto, non ricordi la frase: “I libertadores non esistono. Sono i popoli che si liberano da sé”?

  43. giul scrive::

    . L’argomento più usato è: non si capisce. Che come argomento è debole: non si capisce, non vuoi capire o non capisci proprio?

    È una discussione interessante, e anche molto utile – credo. Nella fattispecie non credo che l’argomento sia “non si capisce”, ma piuttosto: c’è una volontà deliberata nel complicare le cose quando non ce n’è bisogno.

    È una tendenza che abbiamo tutti, un po’, specie noi italiani, ma negli scritti post–qualcosa è portato oltre ogni conseguenza. Ci sono periodi che, senza alcuna ombra di dubbio, si potrebbero scrivere in maniera più chiara e più semplice, e sono complicati senza alcuna apparente ragione.

    La versione cheap di quest’accusa – che, comunque, come avrai notato dalle mie, di critiche, non è la principale – è che questa inutile complicazione sia un vezzo intellettuale per essere inclusi nei circoli giusti. Sarà una questione sicuramente presente in alcuni, ma non credo a questa spiegazione come tratto generale.

    Credo, invece, che ci sia un vero problema con le conseguenze della proprie credenze, con lo stare sempre a un passettino dall’affermare una qualche tesi sostanziale. Non è soltanto la questione formale-filosofica che contesta Habermas (l’impossibilità di contestare un’affermazione positiva senza farne, a propria volta, una). È proprio una posa intellettuale che evita di assumere le conseguenze del proprio discorso, perché qualunque posizione contraddirebbe i suoi assunti. Perciò nella complicazione che confina con l’oscurità, l'”è molto più complicato di così” è un ottimo espediente per non esprimersi.

    Sono consapevole della poca circoscrizione di ciò che ho appena detto: potremmo prendere degli esempî, se ne hai voglia.

    giul scrive::

    Per quanto riguarda l’universalismo. Beh, non amo il concetto di universalismo, concetto che è tutt’altro che solo Occidentale fra l’altro,

    Sono d’accordo.
    Io “l’amo” per questo, invece.

    giul scrive::

    Credo che una visione non ideologizzata dovrebbe tenere conto di entrambi i punti! Quello che dice Luigi non tiene conto di un fatto: per lui ci si muove anche per motivi umanitari, mentre in realtà i motivi umanitari sono solo paraventi ideologici.

    Questo è da dimostrare, ed è un’affermazione davvero molto, molto grossa. E non si spiegherebbe come persone che hanno interessi molto in comune facciano scelte diametralmente opposte.

    Però, comunque – e questo è l’importante – è ancora una fallacia logica. Se anche gli interventi fossero completamente non-umanitari, e i noninterventi (Putin, Hu Jintao, ma anche Merkel o Chirac) fossero completamente umanitari, questo non cambierebbe di una virgola il giudizio dell’azione. Cambierebbe il giudizio della persona. Ma l’unica cosa che ci deve interessare non è il conto in banca di obama, ma il sangue, le vite e le sofferenze di quelle persone.

    giul scrive::

    Al che lui potrebbe dire: ma ci liberiamo lo stesso di dittatori sanguinari! Ma a che prezzo? Con quali conseguenze? Le conseguenze della fine di Saddam non sono affatto positive tanto per esemplificare.

    Finalmente parliamo di quello che è l’unica cosa rilevante nel decidere la bontà di un intervento. Ecco, sono d’accordo che ci siano state molte conseguenze non positive, ma ho paura che non saremmo d’accordo su quali siano queste conseguenze negative. Per la limitata vicenda degli iracheni, allo stato attuale, le conseguenze sono generalmente – e sulla via del fortemente – positive.

    A livello globale meno, per la stessa ragione per la quale – invece – l’intervento in Libia sta avendo conseguenze positive (e, forse, un po’ meno a livello locale).

    giul scrive::

    Per questo propongo questa lettura: tenere conto di tutti i fattori e ragionare caso per caso, invasione per invasione, intervento per intervento, cercando di conoscere tutte le carte e le situazioni in gioco. Non dire: non si deve intervenire mai ma neanche: si deve intervenire tutti.

    Però, per onestà di discussione, devi riconoscere che – nessuno, ma proprio nessuno al mondo – dice “bisogna intervenire sempre e comunque”. La discussione, qui, è fra chi dice che ci possano essere casi in cui una guerra umanitaria è necessaria (cioè si analizza caso per caso), e chi dice che una guerra umanitaria non può essere – mai – giustificata.

    È chiaro che, nel valutare caso per caso, si avranno posizioni diverse – è naturale, e giusto – ma qui stiamo discutendo della possibilità, in linea teorica, non di un caso specifico.

    giul scrive::

    Le cose sono complicate. Sempre.

    Questa è forse la cosa con cui sono più in disaccordo di tutte quelle che hai scritto. No, delle volte le cose sono semplici.

    giul scrive::

    falsata da una lettura un poco approssimativa del marxismo in generale (che magari fosse quel blocco rigido che descrivi, ahivoglia te quante scuole di pensiero su l’internazionalismo, l’intervento e l’espansione del comunismo e sul progresso etc). Ma più di tutto sulle ragioni del compagno Ernesto, non ricordi la frase: “I libertadores non esistono. Sono i popoli che si liberano da sé”?

    Non stai rispondendo a Luigi anziché a me? Io ho fatto notare proprio questo punto poco più su:

    “Le due cose [nonviolenza e particolarismo] si mischiano spesso, e io considero sia l’una che l’altra come sbagliate (la prima come egoista e immorale, la seconda con una malintesa idea di umanità), però non bisogna vedere incoerenza dove non ce n’è. Ci sono diverse ragioni per essere contro all’interventismo umanitario. Certo, in questo senso è comunque difficile sostenere una figura come Che Guevara che va a lottare in rivoluzioni non sue (Cuba, Congo, Bolivia), ma quello che risponderebbe – secondo me in maniera poco convincente – chi sostiene questa posizione è che Guevara si sia unito alle battaglie localiste.”

    Come scrivo nell’inciso, per me è una posizione poco convincente rispetto alle avventure in tre continenti diversi, e anche rispetto al marxismo stesso.

    Comunque, dire che “i popoli si liberano da soli” sottointende quella piccola faccenda là che esista un noi e loro, che io debba soffrire di più per Maria – a Genova – che per Reem – in Palestina –, e che quindi io abbia più titolarità sulla sofferenza degli italiani rispetto a quella dei palestinesi/kenioti/boliviani.

    È quella faccenda dell’universalismo che è sottesa a tutta questa discussione e senza la quale è molto difficile affrontare questa discussione. D’altra parte io sono illuminista – altra battuta – quindi io credo nella possibilità (e la auspico) che qualcuno cambi idea attraverso il dibattito. È per questo che faccio sempre fatica ad accettare i “non credo che si troverà mai un punto d’incontro”, per quanto io ne capisca perfettamente la ragione.

  44. giul scrive::

    per lui ci si muove anche per motivi umanitari, mentre in realtà i motivi umanitari sono solo paraventi ideologici.

    Questo lo contesto radicalmente, perché è proprio una fallacia.
    tu assumi che una tua opinione sia un dato di fatto.
    E’ proprio questo “dato di fatto” che io contesto.
    Li si interpreta come paraventi ideologici se si dà per implicito che il quadro interpretativo valido sia quello di matrice marxista per cui l’ideologia è Ideenkleid. Se me lo si permette è il solito gioco ( petitio principii) per cui una teoria è valida perché gli si “cuce” addosso la realtà.
    Qui si pone, prima una questione di principio: perché non si dovrebbe agire per estendere il godimento di libertà e democrazia a quante più persone possibili?
    Si può rispondere in modo positivo o negativo, in funzione del proprio background.
    Poi, si deve concedere che non si possono giudicare le intenzioni a partire dagli esiti, e se in Iraq non si è riusciti pienamente nell’intento ciò non può essere addotto come argomento a favore della tesi che l’intento non ci fosse ( giuro, quando ho comprato il biglietto della lotteria volevo vincerla, il fatto che poi non abbia vinto non vuol dire che ero mosso da secondi fini!).
    In terzo luogo si può concedere che possano esserci anche altri moventi che inducono alcuni stati ad agire militarmente nei confronti di altri, ma che comunque questi moventi addizionali che si sovrappongono alle dichiarate intenzioni umanitarie non inficiano le prime e se, per eterogenesi dei fini, come dicevo, si ottiene un risultato insperato non ci se ne deve dolere.

  45. giul scrive::

    Ah su Che Guevara, scusami, carina la provocazione ma è falsata da una lettura un poco approssimativa del marxismo in generale (che magari fosse quel blocco rigido che descrivi, ahivoglia te quante scuole di pensiero su l’internazionalismo, l’intervento e l’espansione del comunismo e sul progresso etc).

    Potrebbe anche essere vero, ma tutta questa miriade di scuole di pensiero ha un qualcosa che le accomuni e le renda “marxiste”, distinguendole da ciò che marxista non è?
    O ci giochiamo anche il terzo escluso?

  46. @ giul:

    Ah, per correttezza evito di far finta di niente: c’è una qualche ragione per la quale nel post sui banchieri rispondi con insulti e sarcasmo – usando un’altra identità – mentre in questa discussione articoli il tuo pensiero in maniera ragionata, intelligente e particolarmente educata?

    Intendiamoci, apprezzo l’evoluzione, ci mancherebbe, ma mi sembra un comportamento un po’ schizofrenico.

  47. Insomma. Non ci siamo capiti. Tu pensi erroneamente che dire “più complicato” sia “un ottimo espediente per non esprimersi”. Quando non è così. Significa soltanto rendersi conto di una impossibile adeguatio alla verità, e della necessità di una continua ricerca della stessa. E questo è molto più “illuminista” di quanto tu creda. E il più complicato non ha come categoria contraria il semplice, ma il semplicistico. Indi per cui citavo quella recensione e lo sfondone su Focault; ne ho lette anche altre (e anche nella ricostruzione storica di Eschaton c’era questo passaggio come fondante della disputa) e tutte partivano da questo punto: “troppo complesso”, e quasi tutte dimostravano di o non averci capito niente o di non voler capire e quindi di accusare l’altro di eccessiva complessità. Non è sempre utile essere ermetici, ma a volte è necessario perché non ci sono altre parole, perché la forma deve seguire il contenuto.
    Insomma più complicato sta per non è solo così, ci sono più fattori in gioco, toglierne uno non ci permette di comprendere le cose come davvero sono etc etc.
    Al resto rispondo domani e riprendo questo discorso meglio di come ho fatto adesso, perché credo di non aver toccato qualcuna delle tue obiezioni. ora devo lavorare ahime!

    due ultime cose: 1. Guevara non è una potenza con interessi economici e politici. Direi che non è di poco conto questo fatto. 2 Ma sopratutto che “i popoli si liberano da soli” non sottintende affatto quello che dici tu. Questo ha invece a che fare con il punto 1. Con questo ribadisco anche che rispondevo a te: è una posizione del tutto diversa dall’interventismo umanitario e non puoi parlare del Marxismo come parli di Mario o di Giorgio, è una galassia di pensieri; anche questo ha a che fare con “il più complicato”: non è che non puoi parlarne di Marxismo e interventismo etc etc, ma parlandone non puoi semplificare.

  48. si ero io Sciardo. Neanche mi ricordavo… Non mi sembra di essere stato in alcun modo offensivo. Più deciso magari si! Ma non offensivo.

  49. Luigi:
    al resto vale come per Giovanni domani rispondo. Si, volendo, forzando la mano, un elemento comune si può ritrovare. Ma non per quanto riguarda questo discorso. Qui ci si è divisi davvero tanto. Poi non si tratta di terzi esclusi, sono per lo più etichette, buone per parlare, cattive per approfondire e ragionare.

  50. giul scrive::

    Insomma. Non ci siamo capiti. Tu pensi erroneamente che dire “più complicato” sia “un ottimo espediente per non esprimersi”.

    No, lo penso se, a quel “complicato” non segue una spiegazione articolata e ben definita del perché quel semplice è considerato semplicistico. Questo non lo riscontro, molto spesso, negli scrittori più influenzati dal postmodernismo, nella cui (volontà di, a mio modo di vedere) complicare c’è una coazione verso sé stessi.

    In questo post qui (non penso sia il tuo caso):
    http://www.distantisaluti.com/tutti-i-modi-per-perdere-automaticamente-in-una-discussione/
    Contestavo proprio questa forma “è molto più complicato”. Se una cosa è più complicata, e tu sai perché è più complicata, sarai in grado di spiegarlo – chiaramente – perché quella spiegazione non è sufficiente e cosa manca.

    Per questo ti dicevo che forse la cosa migliore era prendere degli esempî: è chiaro che se te li prendessi io sarebbero i più oscuri e quelli che mi stanno più antipatici. Sceglilo pure tu, l’esempio.

    Ti faccio vedere una cosa che non ti piacerà:
    http://www.elsewhere.org/pomo/
    È un generatore casuale di pubblicazioni postmoderne. La cosa sconvolgente è quanto siano verosimili, e sono frasi generate a caso da un computer.

    Ora, tu considera che io ne ho prese 4 o 5 e le ho stampate come fossero vere pubblicazioni. Ci credi che diversi studenti di una delle migliori università d’Europa ha creduto fino in fondo fossero vere pubblicazioni postmoderne? Non pensi che ci sia seriamente un problema se delle parole a caso vengono considerate credibili? Non potresti, mai, farlo per alcuna altra forma di pensiero.

    Oppure ti pare possibile che – parlo del Sokal Hoax – un fisico possa scrivere, volutamente, un articolo completamente inventato, senza alcuna connessione logica, fatto di frasi vuote e senza senso (http://physics.nyu.edu/sokal/transgress_v2/transgress_v2_singlefile.html), ma riempito di grandiose citazioni senza alcun filo logico e delle parole chiave per sedurre quel tipo di pubblico, e riesca a farlo pubblicare su una rivista accademica di ispirazione postmoderna?

    Tu rifiuti completamente l’idea che, se le cose stanno così, c’è davvero qualche problema nella forma di espressione del postmodernismo?

    E, ti ripeto, non è il mio principale punto di critica.

    giul scrive::

    Al resto rispondo domani e riprendo questo discorso meglio di come ho fatto adesso, perché credo di non aver toccato qualcuna delle tue obiezioni. ora devo lavorare ahime!

    Buon lavoro!

  51. giul scrive::

    si ero io Sciardo. Neanche mi ricordavo… Non mi sembra di essere stato in alcun modo offensivo. Più deciso magari si! Ma non offensivo.

    Sissì, la mia domanda era sul perché usare due identità?

  52. Credo che ci voglia uno sforzo supplementare per convincermi che l’intervento militarer in Iraq, o in Afganistan, o da qualsiasi altra parte fosse dettato da ragioni umanitarie. Diamo per buono che queste motivazioni ci fossero, e che continuino ad esserci nelle tante guerre in giro per il mondo. E’ lecito domandarsi se, in nome della democrazia e della libertà, non sì paghi un prezzo troppo alto in termini di vite umane e se si possano seguire strade alternative all’intervento militare per il raggiungimento di quei medesimi scopi.

  53. Giovanni Fontana scrive::

    giacomoB scrive::
    Se riesci a convincermi che c’è una ampia coesione tra gli Stati sulla legalità e la moralità dell’ intervento umanitario, o meglio, sulla dottrina della r2p, ti offro una cena
    Abbiamo già discusso di questo. Per te il fine ultimo è la legalità, per me è l’intangibilità di quelle persone. In Iran tu condanneresti a morte un omosessuale, io lo nasconderei in casa. Partiamo da presupposti troppo diversi.
    giacomoB scrive::
    Poi l’ argomento specchio riflesso, dispiace, ma non funziona.
    Sì, vabbè, dài: io l’argomento specchio riflesso, io. Se non ti interessano gli affari di Bush e Putin, allora non parlarne. È molto semplice.

    Non tirare in ballo l’ Iran, non centra nulla in questo caso. UN omosessuale lo nasconderei anche io. Nel diritto internazionale ciò che è legale deve anche essere valutato non solo con riguardo ai fini ma anche con riguardo ai mezzi. Ecco perchè il metro di valutazione non può essere semplicemente “possono essere salvate vite umane”. In Kosovo, in Ruanda, in Darfur, in Libia era giusto intervenire? Sì, da un punto di vista morale. Quello che nel caso del Kosovo e della Libia ha tenuto distanti la moralità dalla legalità è stato il modo con cui si è intervenuti, nel primo caso colpendo indiscriminatamente installazioni militari e civili, nel secondo caso andando molto oltre il mandato ONU. Se ci fosse un intervento umanitario nei mezzi credo che sarei la persona più felice del mondo. Finora così non è stato, da nessuna parte, tranne nel caso di Timor Est ( ma lì c’era l’ appoggio del governo locale)

  54. Antonello Barmina scrive::

    Credo che ci voglia uno sforzo supplementare per convincermi che l’intervento militarer in Iraq, o in Afganistan, o da qualsiasi altra parte fosse dettato da ragioni umanitarie. Diamo per buono che queste motivazioni ci fossero, e che continuino ad esserci nelle tante guerre in giro per il mondo. E’ lecito domandarsi se, in nome della democrazia e della libertà, non sì paghi un prezzo troppo alto in termini di vite umane e se si possano seguire strade alternative all’intervento militare per il raggiungimento di quei medesimi scopi.

    Le giustificazioni usate dagli usa per la guerra in iraq e afghanistan erano tutto tranne che umanitarie. Con l’ afghanistan si agì in legittima difesa, con l’ iraq si cercò di ampliare il concetto di legittima difesa preventiva sulla base di mai provati legami tra Saddam e Al-Qaeda e sul mai provato possesso di WMD. Quando hanno provato a giustificare l’ intervento sulla base di ragioni umanitarie gli hanno, giustamente, riso in faccia. Che poi dopo le ragioni siano cambiate è possibile, bisognava in qualche modo giustificare una presenza militare ingombrante. Ma anche qui, ho i miei dubbi circa l’utilità di esportare la democrazia a suon di bombe e non attraverso la diplomazia. Cosa che, tra l’altro, sarebbe anche contraria a tutto lo spirito della Carta ONU

  55. Antonello Barmina scrive:

    Credo che ci voglia uno sforzo supplementare per convincermi che l’intervento militarer in Iraq, o in Afganistan, o da qualsiasi altra parte fosse dettato da ragioni umanitarie.

    Giovanni avrà scritto un milione di volte che le motivazioni non interessano, quello che conta è l’effetto per la popolazione del paese da cui viene rimosso il dittatore di turno. Forse Bush ha invaso l’Iraq solo perché pensava fosse pieno di tacchini (molto utili per il Ringraziamento): anche in questo caso la rimozione di Saddam sarebbe stata una buona cosa.

    Antonello Barmina scrive:

    E’ lecito domandarsi se, in nome della democrazia e della libertà, non sì paghi un prezzo troppo alto in termini di vite umane e se si possano seguire strade alternative all’intervento militare per il raggiungimento di quei medesimi scopi.

    Questa cosa è di un’ovvietà: nemmeno il più entusiasta degli “interventisti” pensa sia una mossa opportuna bombardare oggi stesso Pechino. Naturale che si chieda ai politici occidentali di tentare di tenere una linea di fermezza almeno nell’ambito dei diritti umani (e di lavorare sottotraccia…).

  56. L’ effetto per la popolazione de paese sono un numero di morti compreso tra 500 mila e un milione in 10 anni, più l’ utilizzo di armi non convenzionali. A difendere una posizione con troppa ostinazione si finisce per contraddire la realtà

  57. Sicuramente meno di un milione in dieci anni. SU cosa devi valutare la giustizia di fare la guerra all’ iraq ( tralasciando l’ argomento legale che non è sostenibile da nessuno)? Sul numero di morti o sulle motivazioni?

  58. Per quanto ovviamente lontanissima da standard di democrazia europei la situazione in Iraq è ora decisamente migliore rispetto al periodo della dittatura.
    Inoltre il miglioramento va visto nel lungo periodo: ovvio che il periodo della guerra abbia un numero di morti alto.
    (così per sapere: cosa avrebbero dovuto fare gli occidentali con Saddam?)

  59. Che sia migliore rispetto a quando c’era Saddam non lo so, perchè anzitutto non si può più parlare di “iraq” ma di un paese contesto tra influenza iraniane, saudite più curdi. Inoltre basta confrontare gli indici di sviluppo deLL’ Iraq postbellico sono prevedibilmente inferiori a quello di Saddam

    Secondariamente, bisognerebbe intervenire solamente quando ci sia un consenso popolare all’ intervento. Altrimenti il principio della sovranità e dell’ autodeterminazione dei popoli non servirebbero a nulla…e bada che non sono uno di quelli che sostiene che la sovranità dello Stato sia inviolabile: sarei favorevole ad un intervento umanitario in Birmania, ad esempio

    Cosa avrebbero dovuto fare gli occidentali con Saddam? Probabilmente agire dieci anni prima

  60. giacomoB scrive:
    Cosa avrebbero dovuto fare gli occidentali con Saddam? Probabilmente agire dieci anni prima

    Domanda più precisa: cosa avrebbero dovuto fare nel 2003 gli occidentali con Saddam?

    (altrimenti la risposta sembra quella di chi alla domanda: “Cosa devono fare gli occidentali con l’Iran?” risponde:”Gli occidentali hanno sbagliato ad appoggiare la dittatura dello Scià!” … D’accordo! Ma comunque ora che si fa!?!)

  61. Agire di più con l’ intelligence. Ma qua stiamo cambiando argomento: dalle motivazioni (legali e morali) dell’ intervento a quelle strategiche, mi sembra

  62. Antonello Barmina scrive::

    Credo che ci voglia uno sforzo supplementare per convincermi che l’intervento militarer in Iraq, o in Afganistan, o da qualsiasi altra parte fosse dettato da ragioni umanitarie

    Ma leggi quello che scrivo? Ti abbiamo dimostrato, con la logica elementare, che è del tutto irrilevante – ai fini della bontà di un intervento – la buona fede o la malafede di chi è a favore o di chi è contro.
    Riconosci questo punto sì o no?

  63. giacomoB scrive:

    Agire di più con l’ intelligence.

    Molto fumosa come risposta… alla fin fine bisogna rimuovere il dittatore, ma spesso sembrano poco propensi ad andarsene.

  64. giacomoB scrive::

    Non tirare in ballo l’ Iran, non centra nulla in questo caso. UN omosessuale lo nasconderei anche io.

    Non c’entra nulla? E cosa c’entra allora? Non vedo cosa che c’entri di più. Perché lo nasconderesti se l’unico piano con cui valuti un’azione è quello della legalità?

    giacomoB scrive::

    In Kosovo, in Ruanda, in Darfur, in Libia era giusto intervenire? Sì, da un punto di vista morale.

    Bene, è di questo stiamo parlando. Se anche la legge dicesse un’altra cosa, se la legge va contro l’etica in maniera così profonda – come nel caso dell’omosessuale – essa passa in secondo piano.

    giacomoB scrive::

    Ma anche qui, ho i miei dubbi circa l’utilità di esportare la democrazia a suon di bombe

    Che, indipendentemente dal caso dell’Iraq o dell’Afghanistan, è ciò che è stato fatto in un’enormità di Stati nel mondo.

    giacomoB scrive::

    Sicuramente meno di un milione in dieci anni. SU cosa devi valutare la giustizia di fare la guerra all’ iraq ( tralasciando l’ argomento legale che non è sostenibile da nessuno)? Sul numero di morti o sulle motivazioni?

    Un milione in dieci anni cosa? Stai parlando dell’Iraq?

    A parte la stima, debunkata da mille parti, di Lancet, tutti i dati in possesso parlano di poco più di 100 mila vittime (aggiornato a 6 mesi fa), calcolando come “colpa” dell’invasione anche terroristi sauditi che uccidono iracheni al mercato.

    Warlogs di WikiLeaks (109 mila), quelli di Iraqbodycount (103 mila), quelli dell’Associated Press (110 mila).

  65. giacomoB scrive::

    Agire di più con l’ intelligence.

    È probabile che tu abbia ragione. Stai quindi dicendo che, qualora invece un’azione di intelligence non fosse stata possibile, l’opzione militare era da valutare. Giusto?

  66. No secondo me non è fumosa come risposta. Sono convinto che usare di più l’ intelligence sia meglio rispetto ad azioni militari che durano decenni e si concludono non sempre con una vittoria. Ovviamente è facile parlare con il senno di poi, per cui ti dico che avrebbero dovuto agire con l’ intelligence molto prima del 2003, però puoi trovare conferma di quanto dico con il caso dell’ Iran o, ancora meglio, della Libia

  67. @ Giovanni Fontana:

    Si, io non sono contrario tout- court all’ opzione militare. Nè penso si debba esaurire con la semplice “scelta” dell’ opzione militare ma con i mezzi con cui l’ operazione militare è condotta. Più in generale, quando si parla di intervento bisognerebbe ricondurlo ad una serie di misure tra le quali è compresa anche quella militare. Se essa non è affiancata a misure orientate al nation building ( misure di polizia e istituzionali) l’ intervento è destinato al fallimento. Ed è esattamente quello che rischia di succedere in Libia, dove si è intervenuti bene – a parte le azioni oltre il mandato ONU – e poi si è lasciato gestire il tutto ad un CNT che non sembra in grado di gestire al meglio la situazione

  68. giacomoB scrive::

    @ Giovanni Fontana:
    Si, io non sono contrario tout- court all’ opzione militare. Nè penso si debba esaurire con la semplice “scelta” dell’ opzione militare ma con i mezzi con cui l’ operazione militare è condotta. Più in generale, quando si parla di intervento bisognerebbe ricondurlo ad una serie di misure tra le quali è compresa anche quella militare. Se essa non è affiancata a misure orientate al nation building ( misure di polizia e istituzionali) l’ intervento è destinato al fallimento. Ed è esattamente quello che rischia di succedere in Libia, dove si è intervenuti bene – a parte le azioni oltre il mandato ONU – e poi si è lasciato gestire il tutto ad un CNT che non sembra in grado di gestire al meglio la situazione

    Sono d’accordo con tutto ciò che scrivi.

  69. Ma guarda, chiariamouna cosa: nel caso dell’ intervento umanitario bisogna separare la legalità dei fini a quella dei mezzi. Il problema è che un intervento umanitario attuato con mezzi illegali , cioè con un uso della forza incoerente con il termine “umanitario” non sarà mai politicamente accettato nè legale , indipendentemente dai fini -che questi siano legali o meno è irrilevante a questo punto.

    Sulla conta dei morti in Iraq mi ero documentato male: 100 mila morti sono comunque un numero enorme

  70. giul scrive::

    Tu pensi erroneamente che dire “più complicato” sia “un ottimo espediente per non esprimersi”.

    Giul, intervengo un attimo in questo tuo scambio con Giovanni.
    Ammettiamo che ciò che dice Giovanni non sia del tutto vero, anche se il Sokal hoax, precedentemente citato, dovrebbe indurti quantomeno qualche dubbio.
    tu dici chegiul scrive::

    … il più complicato non ha come categoria contraria il semplice, ma il semplicistico.

    a me sembra che si voglia far passare l’involuto, il contorto, per complesso.
    Il fatto che un concetto sia complesso non significa che non sia esprimibile in modo semplice ( non facile, semplice).
    E’ questo che a me sembra che manchi anche nella tua replica alla mia osservazione sul fatto che esista una base comune a tutti i marxismi che li renda, appunto, marxismi e li distingua da ciò che marxista non è. Se non fosse così non avrebbe senso neanche categorizzarli in tal modo.
    Ed è assurdo che tu dica:giul scrive::

    non è che non puoi parlarne di Marxismo e interventismo etc etc, ma parlandone non puoi semplificare.

    perché, al contrario di ciò che tu dici, un pensiero che voglia avere la capacità di rendere intellegibile il mondo deve “semplificare” eliminando tutto ciò che è accidentale e che influisce solo per fattori d’ordine superiore sull’esito per arrivare al sostanziale.
    E’ vero, Guevara era una persona e la sua figura non si esaurisce nel suo marxismo, ma ciò non toglie che il suo agire politico è pienamente interpretabile secondo i più generici riferimenti ad esso. Cambia qualcosa il fatto che aderisse in modo dogmatico all’ortodossia sovietica o che avesse ( come ha avuto) una predilezione per il maoismo?
    No, si tratta di considerazioni del second’ordine, che non mutano la sostanza delle cose.
    La tua posizione gnoseologica :
    giul scrive::

    Significa soltanto rendersi conto di una impossibile adeguatio alla verità, e della necessità di una continua ricerca della stessa.

    sembra presupporre che questa impossibilità di una adaequatio rei et intellectus renda la ricerca della verità una sorta di “infinito attuale”, proprio perché non accetta che possano esistere schemi interpretativi adeguati non a cogliere la verità nel suo complesso ma a fornire un modello degli aspetti della realtà che si vogliono comprendere.

  71. giacomoB scrive::

    Sulla conta dei morti in Iraq mi ero documentato male: 100 mila morti sono comunque un numero enorme

    Sì, c’è da dire che se conti quanti morti faceva ogni anno, in 24 anni di dittatura, Saddam vien fuori che i morti erano di più. Feci qualche calcolo diverso tempo fa, e venne fuori che l’occupazione salvava 4 iracheni al giorno. Ora le cifre dovrebbe anche essere aumentate, visto il deciso miglioramento delle condizioni sul campo, e la netta flessione degli attentati.

    Questo nonostante una guerra cominciata male e proseguita male, e che poteva certamente fare meno vittime. Solo per dire che, quando sono lontani dagli occhi, questi dittatori fanno ben più sangue di quello che penseremmo.

  72. Giovanni Fontana scrive::

    Questo nonostante una guerra cominciata male e proseguita male, e che poteva certamente fare meno vittime. Solo per dire che, quando sono lontani dagli occhi, questi dittatori fanno ben più sangue di quello che penseremmo

    Si, questo è verissimo

  73. giacomoB scrive::

    Ma guarda, chiariamouna cosa: nel caso dell’ intervento umanitario bisogna separare la legalità dei fini a quella dei mezzi. Il problema è che un intervento umanitario attuato con mezzi illegali , cioè con un uso della forza incoerente con il termine “umanitario” non sarà mai politicamente accettato nè legale , indipendentemente dai fini -che questi siano legali o meno è irrilevante a questo punto.
    Sulla conta dei morti in Iraq mi ero documentato male: 100 mila morti sono comunque un numero enorme

    Giacomo, mi sembra che tu analizzi la cosa in modo tremendamente astratto,e dando per scontato che gli esiti e il corso di un conflitto armato possano essere completamente predeterminati a tavolino.
    Un conflitto armato presuppone che da entrambi i lati della barricata vi sia una forza militare capace di contrastare l’azione altrui.
    Chiaramente questo viene valutato nel momento in cui si opta per l’azione militare, ma non è detto che la valutazione sia giusta, ancora una volta perché il Saddam di turno cercherà di contrastare le azioni di intelligence che servono a determinare la sua capacità di reazione.
    E attribuire tutti i morti causati da un conflitto ( comprese le vittime di attentati suicidi da parte di irriducibili sostenitori del regime) alla responsabilità della coalizione umanitaria è sbagliato e assoconda la propaganda della dittatura. In questi termini è ovvio che i paesi democratici sarebbero condannati all’inazione, ma questo è proprio il gioco propagandistico dei vari Kim Jong il, Saddam, Gheddafi and so on, che giocandosi il tutto per tutto massacrano il loro stesso popolo con attentati sempre più insensati e privi di qualunque “utilità” tattica, confidando di mettere in crisi l’opinione pubblica dei paesi democratici, incapace di accettare questi spargimenti gratuiti di sangue.

  74. Per quanto riguarda i morti: la condicio sine qua non è l’intervento di una coalizione, questo volevo dire, indipendentemente dalla responsabilità delle parti in conflitto.

    Poi, non credo di stare analizzando la cosa in astratto: c’è grande differenza, a livello di pianificazione, tra l’ ordinare di attaccare una scuola, una banca o un museo e il bombardare installazioni militari. Su questo punto spero che tu sia d’accordo

  75. Luigi scrive::

    E attribuire tutti i morti causati da un conflitto ( comprese le vittime di attentati suicidi da parte di irriducibili sostenitori del regime) alla responsabilità della coalizione umanitaria è sbagliato e assoconda la propaganda della dittatura.

    Non sono completamente d’accordo. Di certo è quantomeno instabile attribuirli, come responsabilità etica, all’individuo o alla coalizione.

    D’altra parte, però, è fondamentale calcolare tutte le conseguenze (possibili), nel decidere un’azione. Ed è chiaro che uno scenario nel quale ci sia un rischio di attentati sulla popolazione civile è un fattore di cui tenere conto. È certamente un ricatto, ma è proprio perché non c’è un’equivalenza morale fra Bin Laden e un qualunque Stato occidentale che si sottostà ai ricatti.,

  76. giacomoB scrive::

    Poi, non credo di stare analizzando la cosa in astratto: c’è grande differenza, a livello di pianificazione, tra l’ ordinare di attaccare una scuola, una banca o un museo e il bombardare installazioni militari. Su questo punto spero che tu sia d’accordo

    direi!
    Ma non ti sembra riduttivo credere che ci sia uno Strangelove che decide di bombardare scuole e ospedali? Ignori sempre ciò che può fare un Gheddafi o un Saddam, come ad esempio camuffare da scuole o da ospedali delle installazioni militari, oppure installare pezzi da contraerea sul tetto di una scuola.
    Questo rende un po’ più difficile la cosa, o no?
    Così come sembri ignorare l’eventualità di un errore umano, gravissimo, ma non intenzionale.
    Tutte queste cose, ovviamente, non rendono ininfluente il fatto che in seguito a un errore muoiano dei civili inermi, ma il quadro dipinto ha un po’ più di sfumature.
    Mi sembra che ci sia ( è un po’ paradossale, però ho questa impressione) troppa confidenza nei mezzi e nelle capacità degli eserciti occidentali, e che si dia troppo per scontata la loro vittoria sul campo.
    Certo, di fronte a uno scontro tra regolari, la superiorità di mezzi è indubbia, ma la guerriglia e il terrorismo riducono notevolmente il gap.
    E l’esito è uno stillicidio di attentati e di azioni suicide che non cambiano materialmente le posizioni sul campo ma che, alla lunga, portano a una condizione di stallo difficilmente sostenibile.
    Giovanni sostiene a questo proposito che:
    Giovanni Fontana scrive::

    D’altra parte, però, è fondamentale calcolare tutte le conseguenze (possibili), nel decidere un’azione. Ed è chiaro che uno scenario nel quale ci sia un rischio di attentati sulla popolazione civile è un fattore di cui tenere conto.

    Ed è vero, ma un risk assessment di questo tipo non credo che sia la cosa più banale di questa terra e se in Libia si valuta che i componenti del CNT, non tutti cenobiti del deserto libico, siano in grado di gestire le inevitabili vendette di chi dal regime della Jamahiriya è stato angariato, un errore in questo tipo di valutazione può portare a atti deprecabili come la stessa morte inumana del Rais.
    E’ vero, come dice Giovanni, che il nostro sottostare a questi ricatti marca la differenza tra “buoni” e “cattivi”, e si attribuirà a questi episodi un peso prossimo a quello che il terrorista vorrebbe che noi gli attribuissimo, ma c’è un delta marginale in questa valutazione che ci deve permettere di affrontare un costo così brutale per poter accrescere il numero delle persone libere nel mondo.

  77. @ Luigi:
    Certo, per offrire un controesempio al mio argomento è vero che più è brutale un regime più ha potere ricattatorio.
    Se, per assurdo (ma neanche tanto) uno dittatore, di fronte alla possibilità di un intervento umanitario, minacciasse di uccidere un’intera città alla prima bomba che cade, questo avrebbe una forza ricattatoria enorme.
    È chiaro che quando il tuo nemico non ha scrupoli, i tuoi diventeranno sue armi.

    È il classico caso di madman theory, in cui vorremmo pensare che il dittatore ti tema, anche se poi – nei fatti – non ti comporteresti così.

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