Dialogo tra un cristiano e un non so /1

Dialogo tra un cristiano e un non so

30 aprile  – da Marco Beccaria a Giovanni Fontana

Caro Giovanni,
cominciamo finalmente ‘sta benedetta conversazione a distanza. Forse occorre spiegare brevemente a chi ci leggerà sui rispettivi blog come ne è nata l’idea. Abbiamo trascorso insieme un paio di giornate (ti avevo invitato nel liceo dove insegno a parlare ai ragazzi di Palestina, Israele e tutto il resto) e tra un piatto di stracotto d’asina e diversi caffè uno dei temi di conversazione più accanitamente dibattuti tra me e te è stato quello della religione e del cristianesimo in particolare, del suo statuto, della sua pretesa di verità, di come esso orienti o meno i comportamenti umani, se esso sia stato e sia tuttora un bene o un male per l’umanità. Ovviamente, avevamo e abbiamo idee diverse in merito. Poi tu hai scritto un paio di post sul tuo blog che ruotavano intorno a tematiche analoghe a quelle della nostra conversazione. Hanno avuto una lunghissima coda di commenti. Ecco allora la mia idea: una conversazione a distanza, via mail, botta e risposta, da pubblicare a puntate sui rispettivi blog. Siccome sei un pazzo scriteriato, hai accettato. E allora cominciamo.

Voglio partire da un tema facile facile e tutto sommato collaterale, la storia. Tu spesso affermi che al Cristianesimo è storicamente ascrivibile un’enorme quantità di male (lascio a te, eventualmente, l’onere dell’esemplificazione, ma giusto per tenerci sulle generalissime: guerre, inquisizioni, oscurantismi) che avrebbe macchiato la storia del mondo. Quanto al bene fatto dai cristiani di tutte le epoche (anche qui, stando sulle generali: cultura, ospedali, scuole, assistenza), sostieni l’ipotesi che essi, i cristiani “buoni”, lo sarebbero in quanto buoni, non in quanto cristiani: il loro essere cristiani si insedierebbe come sovrastruttura del tutto effimera e ininfluente su un “essere buoni” naturale. Essi, tu dici, avrebbero compiuto il bene ugualmente fossero stati pagani, atei o, che ne so, induisti. Trovo tale ipotesi piuttosto bizzarra per diverse ragioni, nonché facilmente ribaltabile. Così come tu ascrivi aprioristicamente il male fatto dai cristiani al cristianesimo e il bene fatto dai cristiani al loro essere buoni, io potrei altrettanto aprioristicamente attribuire il male fatto dai cristiani alla malvagità intrinseca della natura umana, e il bene al miracolo di redenzione apportato dall’adesione al cristianesimo. Scannamenti, guerre e torture esistevano già presso i popoli pagani e continuano a essere perpetrate da uomini e regimi che si dicono atei e, talvolta, esplicitamente anticristiani. Tregue di Dio, misericordia per i poveri e università, per dirne tre, sono creazioni incontrovertibilmente attribuibili allo spirito cristiano. Come la mettiamo?

Al di là di questa facile ostensione di indecidibilità, vorrei sottoporti un’ulteriore domanda: limitando la nostra analisi alla storia del mondo occidentale dall’età tardoantica al Settecento (l’ambito in cui, storicamente, il cristianesimo è nato, s’è diffuso e ha retto sostanzialmente incontrastato come religione e visione del mondo), come puoi distinguere ciò che hanno fatto i cristiani da ciò che hanno fatto coloro che cristiani non erano? Semplicemente, in quei secoli erano TUTTI cristiani. Lo era Torquemada e lo era Bach. Lo era Galileo e lo erano i suoi giudici. Lo era Agostino e lo era Giustiniano. Lo era Goffredo di Buglione e lo era Francesco d’Assisi. Lo era Filippo II di Spagna e lo era Cartesio. Lo era Caravaggio e lo era Ignazio di Loyola. L’ateismo nacque come opzione culturale concepibile solo nel ‘600 e cominciò a divenire sociologicamente rilevante nell’800. Fino ad allora, mi verrebbe da dire, qualsiasi differenza venga posta tra ciò che, nel bene e nel male, è ascrivibile ai cristiani e ciò che è ascrivibile ai non cristiani è del tutto inconsistente. Il cristianesimo era, semplicemente, l’unico orizzonte culturale (seppur molto variegato) in cui gli uomini di quel millennio abbondante nacquero, vissero, operarono e morirono.

(Siccome amo il fair play, voglio che tu sappia che in questa mia apertura – come in una partita a scacchi – con l’aria di stare dicendo una cosa che può forse apparire controproducente per le mie tesi in realtà ti sto tendendo una trappola).
(Perché tu immagini già dove voglio andare a parare, vero? No? La trappola è tesa. Paura, eh?).


4 maggio – da Giovanni Fontana a Marco Beccaria

Caro Marco, caro prof,
Sono contento di cominciare questa conversazione, e sono contento di cominciarla con te: so che tu non aggirerai le questioni.
Prima di cominciare mi sembra utile dire velocemente quello che pensa la tua leale opposizione*:

PIÙ CHE ATEO, SCETTICO; MOLTO SCETTICO
Considero le confessioni religiose una grande branca di un recipiente più grande: quello delle credenze senza dati, delle convinzioni senza prove – in altre e più semplici parole – delle idee ingiustificate. Penso che queste vadano mostrate per tutto il ridicolo che sono. E trovo che, quello religioso, sia l’unico campo in cui le ridicolaggini sono tutelate.

È una posizione molto radicale? Beh, nello stesso senso in cui potrei essere un estremista-non-credente-in-Babbo-Natale o un estremista-non-credente-nell’omeopatia: nessuno si azzarderebbe a definire così un altro individuo – proprio perché non c’è nessuna evidenza che Babbo Natale o l’omeopatia abbiano qualcosa a che vedere con la realtà.

(1) “Per te sono ateo, ma per Dio sono una leale opposizione” Woody Allen

UNA CHIESA CATTIVA, MA SOPRATTUTTO MUTEVOLE
E dunque, con tali buoni auspicî, cominciamo! Due cose da chiarire:

Tu spesso affermi che al Cristianesimo è storicamente ascrivibile un’enorme quantità di male

Devo dire che questo non è un argomento che uso con molta passione, e – credo – volessi sottolineare la mirabolante evoluzione della moralità della Chiesa: quattro secoli fa perforare i reni, tritare i genitali, rompere le ossa delle cosce con delle asce, operare un buco nel collo e tirarne via la trachea, forzare sù per l’ano un bastone arroventato, infilare un considerevole numero di schegge di bambù nelle vene fino al dissanguamento – e quante cose possiamo aggiungere? – perché una donna possedeva un gatto, era considerato perfettamente cristiano. Ora, per fortuna, nessun cristiano si sognerebbe di fare (o difendere) nulla di simile. Ciò che ti domando sempre è – come fai a sapere che hai ragione tu – cos’è cristiano – e non hanno ragione 1816 anni di torture?

Dopodiché – come sai – vedo le religioni, e quindi il Cristianesimo, come fenomeni storico-naturali, quindi il tanto male che ha fatto la Chiesa non è un mio cavallo di battaglia (anche se, fossi in Dio, mi sceglierei dei rappresentanti in Terra migliori!). Riconosco il bene che fa la Chiesa in molti luoghi, attualmente – e considero spesso capziose le obiezioni che le vengono rivolte: è vero che fra due villaggi africani, uno cattolico e uno mussulmano, la Chiesa aiuterà più facilmente il primo, ma c’è tanta parte di mondo che non fa neanche quello. Sono contento che, almeno il 19% dell’otto per mille vada in opere di carità e indottrinamento: meglio un uomo vivo e indottrinato, che un uomo morto di fame.

BUONI NONOSTANTE CRISTO
Riferisci di me:

Sostieni l’ipotesi che (…) essere cristiani si insedierebbe come sovrastruttura (…) su un “essere buoni” naturale. Avrebbero compiuto il bene ugualmente fossero stati pagani, atei o, che ne so, induisti. Trovo tale ipotesi piuttosto bizzarra per diverse ragioni, nonché facilmente ribaltabile.

No, non penso questo. Non sarebbe soltanto una tesi bizzara, ma sciocca e – ben più grave – falsa. Oltre che facilissimamente confutabile, basterebbe un solo esempio di persona ch’inizi ad agire per il bene dopo una conversione (l’Innominato dei Promessi Sposi, per dire). Credo che, per larga parte, questo malinteso sia stato colpa mia, per un’espressione troppo approssimativa di due cose e mezzo che penso, provo a chiarirle schematicamente:

1) Penso l’opposto, ovvero che perché una persona buona compia del male c’è bisogno della religione. Ricalcavo una citazione di Weinberg a me molto cara, ma non penso neanche che sia soltanto la religione a far comportare male i buoni*, ma qualsiasi tipo di pensiero non giustificato da fatti, di “fede”, appunto: la fede, senza prove, però è uno dei capisaldi di qualunque religione. Credi che la grande quantità** di mussulmani che sostiene l’opportunità di attentati contro i civili sia tout-court malvagia? Sono sicuro di no, credi che un qualunque eccesso/esagerazione/letteralismo di scandaglio scettico potrebbe portare a qualcosa di simile?

2) Non credo ci sia bisogno della religione per una morale. Anzi, credo che sia decisamente meno commendevole chi fa il bene perché gliel’ha detto Dio o per paura dell’Inferno***, che chi lo fa per un sincero spirito umanitario, empatico. Ovviamente le due cose non si escludono necessariamente, e confido che molti cattolici – posti, davvero, di fronte al dubbio – non ucciderebbero il proprio figlio per ordine di Dio. Come diceva quel grand’uomo e pretaccio? “L’ubbidienza non è più una virtù”****.

2b) Deriva dal punto due ma la cito perché credo sia questa mia inferenza che ha generare l’equivoco: penso che non sia un processo interno (endemico) al Cristianesimo quello che ha portato a quell’evoluzione, ma siano state le baionette dell’Illuminismo. A un certo punto è stato troppo ridicolo pensare che il mondo abbia seimila anni come scritto nella Bibbia. Abbiamo vinto noi illuministi, tu compreso.

Insomma, non penso che fosse necessario il Cristianesimo perché la pressione etica media di ciascun individuo migliorasse; sono tuttavia sicuro che ci siano persone – hic et nunc – che agiscono per il bene in ragione della loro fede. Non solo: ne conosco più d’uno. Cercherò nelle prossime mail di argomentare perché, nonostante questo bene contingente, il bilancio sia notevolmente in perdita e rischi di diventarlo ancora di più.

(1) Sono certo che ci si intenda su cosa sia a grandi line un “buono”, ma sono altrettanto certo che nel corso della discussione lo andremo a definire meglio.
(2) Ci sono percentuali disputate su questo, c’è chi parla dell’80%, chi del 40% – in ogni caso un numero enorme di persone accumunate da una sola cosa: la religione in cui credono.
(3) So, quest’ultimo non essere il tuo argomento ma è quello dei sostenitori dell’imprescindibillità morale di un Creatore.
(4) Discostandosi in questo dall’insegnamento di Cristo, che richiede la messa a morte dei figli disobbedienti come indicato da Mosè [Marco 7, 10], non ti concedo favori così!.

TUTTI CRISTIANI

Come puoi distinguere ciò che hanno fatto i cristiani da ciò che hanno fatto coloro che cristiani non erano?

Ovviamente io non imputo alle religioni tutto il male che i credenti hanno fatto. È chiaro che tutti gli omicidî erano commessi da cristiani o ebrei. Anche tutti quelli che arrivavano in ritardo agli appuntamenti erano credenti, ma non è che consideri la ritardatarietà un tratto collegato e dovuto al Cristianesimo/Giudaismo (e se anche l’avessi pensato, in Palestina la mia teoria sarebbe crollata!!!).
Io imputo al Cristianesimo, ai cristiani – e più estensivamente alle persone religiose – tutto il male che hanno fatto per la loro religione.

È un’operazione difficile, certo, ma possibile e doverosa: potremmo appunto discutere se San Bernardo (un santo!), che godeva che i propri calcagni fossero inondati del sangue degli infedeli, avrebbe avuto lo stesso sentimento se fosse stato più scettico rispetto all’esistenza di Dio, io tenderei a dire di sì.Visto che la mia contestazione è alla religione in generale direi di non circoscrivere la questione all’Occidente. Critico tutte le convinzioni senza sufficienti evidenze, e in questo specifico al dogma religioso. Ovviamente non devi essere l’avvocato dell’Islam o del Buddismo, anche perché la pretesa di veridicità di ciascuna fede è autoescludente delle altrui, ma limitarci a una fattispecie è molto castrante per un’analisi scientifica*. Ti faccio quindi un altro esempio: non sarebbe facile dire che se nell’Iraq post-guerra invece di esserci sciiti, sunniti, e curdi ci fossero soltanto sciiti (o nessuna religione), avremmo enormemente meno violenza?

Quanto al tranello, no!, non ho capito dove vuoi andare a parare! Ma ora sono proprio curioso di come vorrai infinocchiarmi…

(1) Uso il termine “scienza” nel senso più ampio del termine, dove includo tutto il sapere argomentato dell’umanità: la storia, la medicina, la linguistica, anche la mia facoltà all’università si chiamava … Scienze Umanistiche!

UN VERO BEST-SELLER, (CATEGORIA THRILLER/HORROR)
Permettimi, infine, di porti io una domanda, ed è la più facile. La più naturale per cominciare una discussione di questo genere: «perché credi in Dio?».
Ovviamente devi rispondere qualcosa che un credente in qualunque altra fede non troverebbe utilizzabile nella propria medesima dimostrazione. Altrimenti non è una spiegazione. Per aiutarti a non commettere tare errore logico (sto provocando!), la riformulo: perché credi nel Dio cristiano e non in Allah?

D’altronde tu sei fra coloroche pensano che il Creatore del Mondo abbia scritto (o ispirato) un libro. Immagino tu creda che Maria fosse vergine e Sant’Anna immacolata, ma che tu non creda che l’Arcangelo Gabriele abbia dettato il Corano a Maometto in una grotta.
E bada: non ti sto chiedendo come fai a dire che è vero che Maria fosse vergine, ma come fai a dire che non è vero che Dio abbia dettato tutte le Verità del mondo al profeta dei mussulmani in una notte.
Sto chiaramente provando a metterti con le spalle al muro, con un altro concetto tanto ovvio quanto poco comunemente espresso: tu sei un ateo. Tutti i credenti sono atei. Lo sono rispetto a tutte le altre fedi che l’uomo ha creato.

In tutto ciò che capita a questo mondo non ti affidi a ciò che senti, ma richiedi delle prove: ti curi con il sapere accertato – le medicine, non gli esorcismi; viaggi con il sapere accertato – la macchina, non la scopa; ti copri o decidi di uscire con il sapere accertato – la metereologia, non la divinazione; giudichi con il sapere accertato – i fatti provati, non le accuse di uno squilibrato; fai l’amore con il sapere accertato – la pillola o il profilattico, non la preghiera; addirittura rifiuti gli altri Dio con il sapere accertato.
Ti affidi al sapere con delle evidenze in tutto, tranne che in una cosa: quello, fra i tanti Dio, a cui è capitato che tu credessi.


8 maggio – da Marco Beccaria a Giovanni Fontana

Mi fa sempre piacere quando la discussione aiuta a chiarire le rispettive posizioni. Indubbiamente, la tua mi si è chiarita parecchio. Dici che le religioni rientrano in un ambito più grande, quello delle “credenze senza dati”. Bene. Ti stupirà, ma sono sostanzialmente d’accordo con te: ogni “credenza senza dati” induce al male. Si tratta un’induzione latente, che fortunatamente non sempre diventa effettiva, ma in sé è male ogni atteggiamento di negazione o travisamento della realtà. Tu parli di “qualsiasi tipo di pensiero non giustificato da fatti”. Io userei una parola che mi sembra perfetta: ideologia.

L’ideologia è il grande male dell’uomo. Hannah Arendt ne ha parlato in un modo che considero esemplare: c’è ideologia laddove un uomo – o una collettività di uomini, che è peggio – parte da un’idea e ne trae conseguenze a priori, prescindendo dalla realtà. Tali conseguenze sono nefaste in sé e spesso causano la violenza: se la realtà non si adatta all’idea, e spesso è così proprio perché l’idea e le sue conseguenze vengono generate per mera deduzione senza alcun appello all’esperienza e al senso comune, ciò che va cambiata – pensano gli ideologi – è la realtà. I lager e l’inquisizione sono dietro l’angolo. Sono d’accordo pure sul fatto che le religioni e segnatamente il cristianesimo possano degenerare in ideologia. E’ capitato e continuerà a capitare. Laddove l’idea che ci si è fatta di Dio e del mondo (e dei rapporti tra Dio e il mondo) non corrisponde a ciò che l’esperienza ci attesta, si preferisce forzare la realtà a rientrare nell’idea piuttosto che cambiare idea. Ti dirò di più: la degenerazione in ideologia è il rischio mortale del Cristianesimo. Ciò su cui, ovviamente, non sono d’accordo è che il cristianesimo sia ideologia in essenza. Qui bisogna aprire un nuovo fronte di discussione. Mi permetterai di farlo anche se non ho ancora risposto all’altra tua provocazione dialettica (quella sul fatto che tutti gli uomini religiosi sono in qualche modo atei). Lo farò, prometto. Ma prima.

Mi pare evidente che tu abbia, della fede cristiana e del testo sacro che la sorregge, un’idea sbagliata. Mi pare che sia così leggendo i tuoi interventi in proposito. Correggimi se sbaglio. L’idea sbagliata è che il cristianesimo sia sostanzialmente un insieme di precetti e che la Bibbia ne sia il contenitore. Spesso, nei tuoi interventi sul tuo blog, stigmatizzi il fatto che nel tal passo la Bibbia affermi che gli adulteri vadano lapidati o che nel tal altro si dica che il rapporto tra diametro e circonferenza sia 3 invece che Pi Greco. Dopo di che rinfacci ai cristiani di oggi la scarsa coerenza con i dettami del loro testo sacro. Dici che il sistema non si tiene. Contrapponi me a Torquemada e mi chiedi come io faccia a sapere che, circa il fatto che sia norma di buona condotta non infilare pali roventi negli orifizi altrui, la ragione stia dalla mia parte. Il punto è la natura di quel testo e dell’orientamento esistenziale che ne procede. Per la verità: la fede procede anche da quel testo, non solo. Ma anche su questo, più avanti.
Ora voglio provocare un po’ il filologo che è in te. Sai benissimo che è condizione preliminare e indispensabile, per l’interpretazione di qualsiasi testo, comprenderne il contesto comunicativo. Leggere un romanzo, una lettera privata, un manuale di istruzioni per l’uso di un elettrodomestico e il testo di una canzone (ho messo giù i primi quattro esempi di testo che mi sono venuti in mente) impone atteggiamenti ermeneutici diversi. Bada bene: non è un’opzione. Ho scritto “impone” e, su questo, non credo di poter essere smentito. Se una lettera privata o un manuale di istruzioni di un videoregistratore comparissero all’interno di un romanzo, essi andrebbero letti con un atteggiamento interpretativo del tutto diverso rispetto a quello richiesto da una loro lettura come testi a sé. Il contesto comunicativo (che chiaramente è molto di più della semplice intenzione dell’autore: la storia degli effetti per così dire sociali, pubblici e culturali di un testo ne fa parte integrante, che l’autore l’avesse prevista o meno) è essenziale nell’approccio al testo.

Tu ‘sta cosa non la vuoi capire. Sei in buona compagnia. Per limitarci all’Italia, stai con Odifreddi e la Hack. E sai bene che, venendo tale accomunamento da me, trattasi di sanguinoso insulto.
In sintesi: tu e quegli altri bei tomi leggete banalmente quel testo e ne rinfacciate la banalità (che è nella vostra interpretazione) a chi lo interpreta in modo non banale. Ora, per completare il discorso, dovrei dirti che cos’è la Bibbia, se non quello che dici tu. Vado per via icastica (tanto so che su questo torneremo): la Bibbia è il racconto di come un popolo, una comunità di uomini, ha compreso, nel suo divenire storico plurimillenario, una serie di eventi nei quali essa ha letto il manifestarsi del divino, cioè del senso della realtà. Chiaramente, in un testo del genere ciò che è stato scritto all’origine del percorso può apparire ingenuo, imperfetto, addirittura errato e non più condivisibile a chi si trova molto più avanti, esattamente come in qualsiasi esperienza di viaggio le aspettative, le idee e i progetti e che ci si fa alla partenza possono essere smentiti, riformulati, addirittura cambiati di sana pianta. Ciò non toglie che quelle idee e quei progetti siano in qualche modo l’origine stessa del nostro esserci messi in viaggio e che quindi li si possa ricordare con una qual certa venerazione. Però la loro interpretazione complessiva viene svolta alla luce del luogo, delle circostanze e della situazione dove ci si trova.

Per buttare là un’altra metafora: è come nei rapporti interpersonali. Io ricordo i miei primi impacciati passi nella storia d’amore con la ragazza che sarebbe diventata mia moglie. Ricordo le mie e le sue goffaggini, le idee che avevamo dell’amore e della vita insieme, ciò che ci aspettavamo. Qualcosa è poi effettivamente andata come credevamo sarebbe andata, molte altre cose no, altre ancora erano sesquipedali ingenuità, idee addirittura pericolose che poi la vita e l’esperienza hanno provveduto a raddrizzare. Ciò non toglie che quella sia la nostra storia e che se siamo qui, ancora sposati dopo quindici anni, è anche in seguito a quelle assurdità.

>SECONDA PARTE<

29 Replies to “Dialogo tra un cristiano e un non so /1”

  1. quindi,…se il cristianesimo e’ in fondo un percorso, un viaggio non finito aperto all’interpretazione ed alla contestualizzazione relativista, allora perche la rivelazione si ferma a san paolo? la rivelazione continua con maometto, o il mormonismo, che ne e’ l’espressione ultima e piu’ moderna. o, alas, il cattolicesimo e’ mera espressione di potere cristallizzato piu’ o meno attorno al concilio di nicea e aggiornato con i vari concili vaticani!?

    e’ l’eterno problema con voi credenti in questi vecchi libri contenenti tutto ed il contrario di tutto: quando vi si attaccano lo ignominie e stupidita’/assurdita’ dello specifico, vi rifugiate nella saggezza del messaggio generale, quando si espone la stupidita’/assurdita’ dell’impianto generale, vi coprite con la coperta troppo corta delle presunte “verita'” specifiche. il vostro problema e’ che cio’ che e’ vero e generalizzabile nella bibbia non e’ ne’ unico ne’ nuovo cio’ che e’ unico (i precetti bislacchi, i miracoli, gli stupri di massa, gli eccidi) non e’ ovviamente vero ne’ (auspicabilmente!) generalizzabile.

    il perche credete e’ la vera domanda. a se fate questo perche’ avete paura di morire, vi capisco, siamo tutti nella stessa barca, ma non condivido. il pericolo che voi rappresentate e’ che davvero ci credete a ste cose strane ed un po’ anacronistiche contenute nel vostro libro sacro e a livello di massa e “popolino” non esiste nessuna sofisticazione teologica, bensi’ solo la lettura banale e superficiale che tanto rinfacciate a noi atei. noi, semplicemente vi crediamo sulla parola, come i vostri credenti piu’ ardenti. e la dove voi gioite noi in genere rimaniamo terrorizzati…

    ps:
    la discussione procederebbe meglio se tu spiegassi perche’ credi.

    gli argomenti si limitano a (o a una conbinazione di)
    1. credi perche’ la religione e’ vera
    2. credi perche’ la religione e’ utile
    3. credi perche’ la religione e’ buona
    4. perche’ gli atei sono cattivi
    5. perche’ e’ la scommessa piu’ sicura
    6. perche’ mia mamma/babbo/zio… crede

    ….

  2. poi voi cattolici credete in cose ben specifiche, non in dichiarazioni astratta di pace, bene e fratellanza. meta’ delle cose specifiche in cui credete non hanno nessun senso, ed molti di noi hanno imparato essere false attorno ai 5 anni di eta’. le avete riassunte voi ogni domenica per noi noncredenti un po’ pigri:

    “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una, santa, cristiana, e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.”

    ora potete rifugiarvi nella filosofia e nei sofismi quanto volete, ma credere in spiriti, trinita’ che confonderebbero un teworico delle stringhe, padri celesti invisibili, clonazioni di spiriti, resurrezioni miracolistiche di morti, mamme vergini, etc sono ovvie affermazioni contrarie non solo alla scienza ma pure al buon senso comune e sicuramente falsificabili. oppure anche il Credo in realta’ e’ un’altra metafora che noi non-iniziati non capiamo davvero e quello che dice in realta’ non lo intende? possibile la cristianita’ sia diventata cosi’ “weak” da rifugiarsi nella metafora ed ermeneutica ogni qual volta cominci a cozzare con la razionalita’ del mondo moderno? 🙂

  3. Vi mando un incoraggiamento a questo vostro duello su Dio e la fede, mi porta dentro a uno dei miei libri preferiti, “La sfera e la croce”, di Chesterton, solo che lì l’ateo e il cristiano che vogliono duellare sono costretti a sfidare tutta la società che non vuole che si parli di queste cose. Vedremo cosa succederà qui. Non parteciperò alla discussione, ma vi racconto in breve la mia testimonianza. Adesso sono un prete anzianotto, ma da ragazzo sono diventato prima ateo, per il bisogno di pensare con la mia testa, e poi cristiano quasi due anni dopo, casualmente, per la curiosità di una ragazza che mi ha fatto conoscere certi suoi amici…
    L’ateismo è stata un’esperienza radicale, insieme a Dio ho visto che nella tomba finivano tutti quegli assoluti che solo Lui poteva giustificare, come il bene e il male. Restava solo il piacere e il dolore, ma come si fa ad appoggiarcisi, quello che fa piacere oggi fa dolore domani… Allora cominciai a rompere le scatole agli adulti: “tu per che cosa vivi?” Perchè di gente che smetteva di andare in chiesa ce n’era tanta, ma in nome di cosa poi continuavano a vivere, più o meno normalmente, non lo capivo… Tanto che quando ho incontrato quei cristiani che mi hanno “riconvertito” ho descritto così la mia vita: “io saprei voler bene a una persona oppure ucciderla con lo stesso sentimento interiore, perchè non vedo le ragioni per cui una cosa deve valere più dell’altra”…
    Auguri per il vostro duello. Stefano

  4. Caro Stefano, vorrei farti notare che l’unico argomento con cui tu difendi Dio dall’essere essenzialmente abominevole per tutti i massacri che permette, per le bambine risucchiate via dallo Tsunami, è che “noi non possiamo giudicare questi fatti con il metro degli uomini”. Ed è esattamente l’argomento con cui finiscono nella tomba il bene e il male. Perché tu non puoi giudicarli. E se non puoi giudicare lo stupro e l’uccisione di una bambina sudanese, e chi la permette, non puoi veramente giudicare Male nulla.

    Invece di dire piacere, dì felicità. E quella sì, è il fondamento dell’agire per quello che pensi “bene”. Il sorriso di una bambina salvata da quella sorte non è sufficiente come certezza? – prova a epurare dell’inevitabile quantità di retorica che la frase precedente ha, non lo dico sarcasticamente – magari no. Ma è tutto ciò che abbiamo.
    Meglio che niente, no?

  5. @ Giovanni

    Io ho solo raccontato la mia esperienza, non ho esposto teorie. E in particolare non ho scritto la frase che tu mi attribuisci tra virgolette. Se vuoi, aggiungo dai miei ricordi uno degli scontri, con mio babbo: “tu per che cosa vivi?” “Che domanda stupida, io vivo per la mia famiglia!” “Che risposta stupida, noi cresceremo, ti lasceremo e tu avrai vissuto per niente…”
    Ciao

  6. perchè, il metro religioso chi glielo ha dato?

    poi, leggendo l’ultima mail di Marco Beccaria, non ho ben chiaro chi sia addetto alla rielaborazione costante del “codice genetico” della morale cristiana, chi sforna i precetti e perchè un cristiano dovrebbe considerare migliore quel rielaboratore, alla luce dei tanti errori della chiesa di cui sopra

  7. la domanda sul metro è per giovnni

    “io saprei voler bene a una persona oppure ucciderla con lo stesso sentimento interiore, perchè non vedo le ragioni per cui una cosa deve valere più dell’altra”

    -diciamo che l’uomo vuole esserci per istinto.
    allora siamo 100. tu dici ammazzo o non-ammazzo?
    ammazzi. i 98 dopo la tua mossa ti arrestano perchè vogliono esserci. allora il prossimo si chiede ammazzo o non-ammazzo? chiaro che la mossa più facile è non-ammazzo, poi ci si affeziona (indirizzare le proprie passioni in un certo modo, apprendere certe competenze e blablabla)

  8. Stefano Perugini ha scritto:

    @ Giovanni
    Io ho solo raccontato la mia esperienza, non ho esposto teorie.

    Tutti i racconti sono teorie! E visto che si trattava di pensieri che ho attraversato anche io, ti davo le risposte che – per ora – mi sono dato.

    D’altronde, se tu non credi che “non possiamo giudicare Dio con parametri umani”, dovrai credere che Dio non sia buono, o che Dio non sia onnipotente: e avendo letto che sei un prete escludevo queste eventualità.

  9. @ Giovanni Fontana:
    se non usare un metro degli uomini significa:

    Ed è esattamente l’argomento con cui finiscono nella tomba il bene e il male. Perché tu non puoi giudicarli. E se non puoi giudicare lo stupro e l’uccisione di una bambina sudanese, e chi la permette, non puoi veramente giudicare Male nulla.

    allora i cristiani un metro degli uomini lo utilizzano, perchè sanno giudicare sti fatti.
    si, magari il cristiano pensa che non sia un metro “dagli” uomini.

  10. Giovanni Fontana ha scritto:
    Tutti i racconti sono teorie!

    Stefano Perugini ha esposto la sua esperienza, la sua vita.
    Si tratta di pratica, non teoria!!!

  11. Massimo ha scritto:
    “Credo la Chiesa, una, santa, cristiana, e apostolica.”

    Copia bene, Massimo!
    “Credo le Chiesa, una, santa, CATTOLICA (non è gridato ma evidenziato!) e apostolica.

  12. Se i libri sacri vanno letti e interpretati in modo da “adattarli” al tempo in cui viviamo (e mi pare giusto, non si può continuare a credere in certe assurdità scritte nella bibbia), ciò è perché sono stati scritti da uomini, e non da dio. Se dio avesse scritto di “suo pugno” un libro per farsi conoscere, avrebbe scritto cose esattissime e perfettissime. Dunque: i libri sacri sono stati scritti da uomini (quindi, da esseri imperfetti che hanno interpretato a modo loro la volontà di dio). Allora perché si continua a considerarli “libri sacri”, con tutti gli equivoci che ne derivano? Perché non considerarli invece libri di Storia conditi da storie fantasiose? Sarebbe già un passo avanti.

  13. sorry…actually it was a cut and paste from some random web site…haven’t actually read/written that senseless shit since I was maybe 12, ie when the church and I PARTED WAYS so to speak (YELLED, NOT JUST HIGHLIGHTED…)

  14. The dialogue with believers is a nice try, perhaps even an important one in this day and age. But if women are from Venus and men from Mars, then atheists are from the Sun and deists from some cold rock past Pluto. They just can’t really make any serious headway in each other camp. Their premises could not be farther away. They can’t even agree on the definition on what is real and what is not.

    Besides believing in a invisible being (enough to qualify for the neuro ward under normal cincumstances), Catholics have quite a list of specific stupid beliefs. (I sometime think that most sophisticated Catholics are very likely ashamed of them…because they know they are silly, they must know, but, hey, that’s what sells!)

    what else there is to say?

    He closed the chapter on these issues for me quite a bit ago, but when I want a lighter reminder I listen to him.

    Like most religious persons, Catholics suspend, retire, their intelligence when it comes to certain statements about reality, statements that vacillate between the clearly absurd and the plain silly. They don;’t like to talk about it but that’s it. They are not clinically stupid, because they see those traits of absurdity in other religions, even those professing a belief in the very same Abrahamic God (e.g. Evangelists, Yahweh witnesses, Mormons, Jew, Muslims)… they are just tribal-stupid. i.e. their tribe is right/better/true because… is their tribe. Like hooligans.

    far from being ashamed, they even keep a list of these beliefs. things like virgin births, resurrections of dead people, devils, miracles, saints, magic mummified body parts, transubstantiation of holy crackers, trinity. …nonsense in its own right, as I said. Perhaps nonsense with a nostalgic vein of tradition, which helps with the credibility for some folks, I guess. Childish stories, no more real than Santa Claus, whom we all stop believing to around age 5, by the way ( probably because Santa was not smart enough to organize a church down the block, I guess…). spooky stories for scaring people and ultimately controlling them. Control is the ultimate goal. that’s why the church is so interested in politics and money.

    Then they have theologists, some sort of intellectuals, who give a cover, an aura of semi-intelligence to the whole enterprise.

    now if they were to simply admit that theirs is some sort of philosophy of life randomly chosen among many dozens available and full of Iron Age nonsense, we would not even be here talking about it.

    but they really think that that nonsense stuff is true and they try to convince others that that is so, and they form action committee, political parties, get people elected, make laws for 21st century people based on those very same Iron Age, fire-camp, stories good for nomads in the Ngev Desert at best…..

    Like a virus, they infect minds, especially young minds, take control of people thinking, replicate and spread.

    I guess reasonable people can only look/hope for a vaccine of sort.

  15. Bertrand Russel ha scritto perchè non è cristiano, altri hanno scitto perchè sono cristiani:

    “Perchè sono cristiano” – Livio Fanzaga
    “Perchè sono cristiano” – Leblanc Marie

    addirittura:
    “Perchè sono ancora cristiano” – Balthasar Hans

    poi:
    “Perchè credo – una vita per rendere ragione della fede” – Vittorio Messori
    “Qualche ragione per credere” – Vittorio Messori
    “La sfida della fede” – Vittorio Messori

    …se vi va dare un’occhiatina…

  16. Posso chiedere se è previsto un tuo intervento dopo lo scritto del Prof. dell’8 maggio?

    E’ un vero peccato lasciar “morire” la cosa; bene i commenti ma… attendiamo te!

  17. tenkiu ha scritto:

    Posso chiedere se è previsto un tuo intervento dopo lo scritto del Prof. dell’8 maggio?
    E’ un vero peccato lasciar “morire” la cosa; bene i commenti ma… attendiamo te!

    Scusami, Giovanni, sono alle “prime armi” col computer e qualche errore “scappa”… intendevo rivolgere a te, questa domanda.

  18. tenkiu ha scritto:

    Posso chiedere se è previsto un tuo intervento dopo lo scritto del Prof. dell’8 maggio?

    E’ un vero peccato lasciar “morire” la cosa; bene i commenti ma… attendiamo te!

    Sì, io ho già risposto via email. Ma lui è particolarmente impegnato in questo periodo, quando lui risponderà e io ririsponderò (facciamo 3 email alla volta, come in questa) pubblichiamo la seconda puntata.

  19. Riflessioni sulla crisi contemporanea
    di Alessandro Damiani
    LA CIVILTÀ AL BIVIO
    IL CRISTIANESIMO AL TRAMONTO?
    LA ROTTA DELLA SALVEZZA
    Saggio dedicato a Ernesto Balducci

    LA CIVILTÀ AL BIVIO
    Il periodo storico che stiamo attraversando è da ritenere una fase di transizione: situazione tutt’altro che nuova nelle vicende umane, ma che di volta in volta assume caratteristiche specifiche tali da renderla diversa dalle altre forme di transitorietà. Nel nostro caso ciò che risulta peculiare non è tanto il senso diffuso di precarietà, quanto le reazioni che lo circondano che vanno dall’angoscia a una sorta di folle spensieratezza in uno scenario temporale privo di orizzonti su entrambi i versanti: il passato, volutamente obliterato, e il futuro, privo di prospettive. Siamo immersi nella nebbia più fitta che ci costringe all’inerzia, cui tentiamo di sottrarci con fughe mentali nelle direzioni più contradittorie e indegne dell’alta responsabilità dell’agire umano, inderogabile nelle situazioni peggiori. C’è da chiedersi se meritiamo tale sorte. Quesito da rimeditare a conclusione di questo discorso, il cui iter è fin troppo complesso e grave. Non resta che affrontarlo.

    La situazione viene vissuta in due modi distinti: come accorta consapevolezza d’una crisi ormai spinta al limite di rottura o come sentimento diffuso di confusione: autentica foschia intellettiva e quindi incontrollabile disagio emotivo. Restano immuni a questo malessere, quanti con semplicità – e sono in molti – o con ferrea convinzione sono ancorati a certezze rocciose. Prevalgono alcune enunciazioni che ci servono in guisa di viatico in questo percorso intricatissimo di malanni e di problemi: globalismo, valori, crisi epocale, fine delle ideologie. Non si tratta di parole in libertà, bensì di concetti tanto più usati e abusati quanto meno compresi sia da quanti li pronunciano che da chi li traduce in formule normative per il vivere quotidiano. Su questo aspetto molto indicativo della situazione contemporanea occorre un chiarimento preliminare. Nella prima metà del secolo scorso la corrente di pensiero più importante del Novecento ha affrontato con un’efficacia esaustiva la tematica del linguaggio. Purtroppo quella lezione non è servita granchè alla cultura successiva – con una sola eccezione – e ora i confusionari di turno la ignorano del tutto. Questo stato di cose ha un precedente storico con spiegazione disciplinarmente corretta. Il mito della Torre di Babele è il sintomo inequivocabile del morbo che ha colpito la cultura contemporanea, l’afasia, mentre dilaga l’informazione computerizzata, e i messaggi diffusi dalla rete si trasformano in una ragnatela di equivoci. Il codice linguistico risulta snaturato dall’incongruenza tra l’enunciazione e la ricezione dei dati semantici. Per esempio, il termine valori che significato ha? La triade di valori costituita dall’enunciato «Dio patria famiglia» era comprensibile perché condiviso fino a poco tempo fa. Oggi non più, e un discorso su queste tematiche è come pestare l’acqua nel mortaio. Di quale Dio e di quale famiglia è possibile dissertare? E non nominiamo neppure la patria, sostituita dal gretto richiamo all’esclusività etnica in netta contrapposizione all’avanzata, fausta e infausta, del globalismo. Resta da dire che la differenza tra le due situazioni è nella conclusione. I costruttori della Torre si separarono per gruppi linguistici dando inizio alla molteplicità delle stirpi; invece per l’incomunicabilità contemporanea non c’è via di fuga. Occorre quindi rivedere le cause di questa frattura. La direzione giusta è nell’esame del patrimonio ricevuto in eredità fruendone dei vantaggi, ma anche accollandoci gli oneri deficitari. L’esame concerne l’analisi della situazione sociale del secolo scorso, cumulativa di un processo millenario. Essa non può limitarsi alla categoria economica che è solo una componente dello sviluppo complessivo, ma deve mirare alla specificità dell’azione umana, che è appunto la dimensione culturale, dacché la nostra specie ha acquisito la consapevolezza del processo di autonomia dalla natura. È questa la peculiarità del nostro percorso evolutivo, plurimillenario e in graduale accelerazione fino alla svolta che chiamiamo storia. Da quel punto siamo e ci riconosciamo i soli responsabili del nostro destino. Sappiamo anche com’è proceduta questa nostra avventura, perciò è superfluo sintetizzarla. Il riesame può limitarsi al passato recente, il Novecento. Non scopriremo chissà quali segreti, ma potremo pervenire a un migliore riassetto delle nostre acquisizioni. Senza vanità e senza inutili pignolerie è questo il mio proposito.

    Il secolo scorso ha già avuto diverse denominazioni e la più «fortunata» sembra essere quella che lo definisce breve. Breve il Novecento? Io direi nè breve né lungo, ma lungo e breve a seconda delle vicende che si è procacciato. Una rapida scorsa. Premesso che la durata del tempo non è univoca, ma riflette la qualità del suo percorso, per cui i giorni lieti volano, mentre gli attimi penosi hanno una dilatazione incalcolabile; anche per diretta esperienza noi abbiamo vissuto momenti felici e anni orribili. E con noi ovviamente quanti affondano le proprie origini in quel secolo tormentato e balordo, sanguinario e generoso, insomma – con parole più semplici – bello e brutto. Anni di spensierata gaiezza al crepuscolo della belle époque e ai ritmi frenetici del charleston, anni di sofferenza e orrore durante le due guerre mondiali, anni d’incubo per una catastrofe nucleare nella lunga contrapposizione tra i due blocchi politico-ideologici, che però non impedí l’esplosione di conflitti altrettanto atroci. E al tempo stesso il fiorire d’una fervida cultura letteraria e artistica, filosofica e scientifica, scandita con qualche lacuna dalla segnalazione del Premio Nobel. Importanti furono due correnti di pensiero: negli anni Venti l’empirismo logico con le sue molteplici irradiazioni del Circolo di Vienna e dell’Ateneo di Cambridge; e nel decennio peggiore che la storia ricordi l’Esistenzialismo, esaltato dalla scelta “gratuita” dell’impegno sartriano, non svilito dalla miseria di Heidegger monco della fierezza della dignità umana. Decisioni contrapposte sullo sfondo desolato del nulla universale. Infine l’intero scenario precipita nel duplice fallimento del secolo che chiude il millennio. Crolla nella miseria della sua realizzazione l’utopia socialista. Esulta il regime storicamente contrapposto con la prosopopea di chi non avverte i segnali della sua stessa catastrofe: il liberalismo che tracima nel liberismo, il quale scaraventa la società nella condizione preumana della giungla.

    Siamo alla crisi in atto, che coinvolge tutto e tutti. Gli errori, reiterati nei secoli, e problemi ingigantiti dall’incapacità di affrontarli impongono al nuovo millennio la resa dei conti, senza accordare né attenuanti nè rinvii. Quali sono codesti nodi dell’intricata vicenda umana che non sono stati mai sciolti? L’elenco è lungo, con l’aggiunta di una iattura nuova, o piuttosto riemersa in forme nuove, con una violenza imprevista. I nodi principali, anzi cruciali, sono tre: il caos economico, la devastazione ecologica, l’esplosione demografica. E l’aggravio, in funzione deviatrice ma con effetti devastanti, è la nuova tattica di guerra di tutti contro tutti a livello planetario. L’attuale classe dirigente, cresciuta e viziata nel praticantato del secolo scorso, è assolutamente incapace di misurarsi con una situazione di rischio senza precedenti confrontabili. Anzi non è in grado di intenderlo: premessa, questa, indispensabile per decidere il da farsi. Quindi che si fa? Esattamente ciò che sta accadendo. Come l’idiota scespiriano che racconta una favola, noi ci stiamo narrando la storia assurda del nostro tempo. Sarà motivo di compassione o dileggio per i posteri, se non gli ostruiremo i rischiosi e struggenti sentieri della vita. Per adesso c’è molta confusione nella dimora degli uomini che avvantaggia soltanto i loro difetti peggiori: impotenza e ignavia. Indugiano in un’insolente e fastidiosa logorrea su ideuzze prive di senso. Per esempio sulla «morte delle ideologie». Supposto che ciò sia vero, sono ancora insepolte e ammorbano con il loro fetore il clima già malsano. D’altronde di quali ideologie si tratta? Di quelle che hanno partorito regimi, fascinosi nella culla, ma deformati dalla prassi, ed, essi sì, decaduti o in via di estinzione. Uno di questi si sta trasformando sotto i nostri occhi in un mostro sociologico: il comunismo capitalista. Comunque, prima di proseguire con rigore su tale argomento, facciamo chiarezza.

    L’Ideologia è la creazione più complessa e importante della storia, frutto della nascita e dell’azione dell’uomo, però intesa sotto due aspetti distinti. Nella forma storicamente disciplinata l’Ideologia ha una certificazione sicura. Padre è il “divino” Platone, madre la cultura ellenica giunta a maturità, con un’ulteriore attribuzione ai presocratici «amanti della sapienza» tra i quali i più illustri sono Eraclito e Parmenide. Tra le due indicazioni non c’è errore, in quanto spetta al filosofo dell’Idealismo l’architettura sistematica del pensiero su linee maestre che risulteranno immutabili nei secoli futuri. Ma è proprio necessario che ci si richiami a questi dati elementari dell’umano sapere? E proseguire ricordando che di questo strumento si è avvalso, nell’elaborazione della propria dottrina, il Cristianesimo dalla Patristica fino ad Agostino? Alla continuità di questo percorso religioso-culturale, rimasta invariata nei secoli burrascosi dell’alto Medio Evo, si aggiunge con Tommaso D’Aquino il recupero della metodica aristotelica che, succeduta e contrapposta fin dalle sue origini al sistema platonico, accompagna il contrasto tra idealismo ed empirismo anche quando la filosofia transita dalla sfera religiosa all’autonomia laica della «scienza nuova»: processo di affrancamento generale, sfociato con la modernità nell’antitesi tra fede e scienza. Questa tipologia ideologica non si è affatto esaurita, ma si è aperta a molteplici e rigogliosi percorsi che coprono vasti campi di ricerca.

    L’altro aspetto dell’Ideologia ha avuto e mantiene un significato più ampio. Non solo. Gli compete la primogenitura, essendo venuto alla luce con la nascita della coscienza nel processo evolutivo dell’homo sapiens. Anzi, ne costituisce l’essenza stessa. L’uomo si stacca dalla servitù selvaggia nell’atto di scoprire la consapevolezza di sé e volge lo sguardo alla realtà circostante «con animo perturbato e commosso»: l’Ideologia quindi come visione del mondo. Ogni individuo provvede alla composizione di una struttura speculare che gli consente di farsi un’idea sul contesto e sulla propria collocazione in esso. Questo processo però è di lunga lena e avanza per tappe. Ma nella fase albale del passaggio definitivo dallo stato belluino al livello umano la mutazione antropologica è un evento collettivo, generato da una sensazione comune di appartenenza all’oggettività del reale senza alcuna distinzione da ciò che in seguito verrà definito sacro o profano. Si tratta di una fase intellettiva ed emotiva in cui prevale un diffuso atteggiamento di stupore: condizione ideale al sorgere delle prime, semplici ma non elementari, domande. Si evince da ciò che l’ideologia abbia in origine un’impostazione metafisica.

    La nascita della religione nel primo ambiente tribale si esplica sotto forma di animismo; in seguito si svilupperà in una rigogliosa fioritura di miti e leggende, che troveranno una solida elaborazione dottrinaria di ogni fede.

    Sintetizziamo: animismo, mitologia, teologia con ciascuna di queste fasi incastonata in un preciso contesto storico-culturale che consente, spiega e legittima l’evento: il più elevato nella capacità creatrice dell’uomo.

    Su queste basi è incontestabile l’assunto che «non ci sono religioni false». Questa proposizione collide con la prassi storica di ogni singola fede, la quale rivendica a s é il possesso esclusivo della verità. Ma Ernesto Balducci esaminando le tortuosità dei diversi percorsi storici risale alla fonte dell’istanza religiosa in cui si placa la sete di Assoluto. Tutto il resto è materia di indagine storiografica e di capacità interpretativa. A mio avviso quest’ultima è la via obbligata per cogliere la situazione di crisi e cercare di uscire dal labirinto. D’altronde lo stato confusionale e il velleitarismo di propositi disattesi o male avviati evidenziano la natura e la gravità della crisi generale. Non si è più in grado di penetrare nel corpo malato della civiltà contemporanea. Sussistono senza dubbio i fattori determinati dal dissesto economico messi in luce con rigore speculativo dal marxismo; ma la specificità della crisi è di natura culturale. E questa patologia ne ostacola l’esatta diagnostica. Malessere inguaribile perché ancora sconosciuto; peggio, misconosciuto. Infatti le componenti letali sono state già scoperte da uno stuolo di ricercatori di gran pregio. Paradossalmente si prosegue nel trascurarli considerandoli ininfluenti. Invece il punto focale della morbilità presente risiede nella problematica ideologica. Sottovalutarla da parte di chi è in deficit disciplinare o da chi ha sentore o addirittura contezza della sua rilevanza è già errore cruciale a danno della nostra stirpe per il rischio di comprometterne l’ulteriore cammino al livello e con le potenzialità fin qui acquisite. Un comportamento collegato con le riluttanze e i timori per una scelta di rottura che implica una decisiva discontinuità rispetto alla pur difficile coerenza fin qui riscontrata nelle vicende umane.

    Dunque qual è la soluzione del dilemma? L’affermazione – non mia, ma da me condivisa – che «la religione è una forma sacrale di ideologia». E poiché la tesi marxiana sull’ideologia come «falsa coscienza» non è priva di fondamento, anche la dimensione religiosa è soggetta a un processo di verifica. Con un’accuratezza metodologica sulla peculiarità culturale di ogni credo che risulti in sintonia o comunque non in stridente contrasto con un’esigenza profonda del momento storico. Per cui – come si è detto – in origine tutte le religioni sono vere ossia portatrici di istanze autentiche. A discernere il vero dal falso è sempre il processo culturale che con nuove acquisizioni fa emergere l’incompatibilità tra i fatti e le convinzioni non più sostenibili. È il principio inopinabile di Gian Battista Vico sulla valutazione storica dei dati in rapporto alla loro conseguenzialità logica. Ossia: verum et factum convertundur.

    Avremo modo di convalidare questo concetto nella concretezza dell’analisi. Sul cui percorso possiamo incamminarci. Non procederemo con un esame generalizzato. Sono quindi escluse le religioni politeiste che nella loro vaghezza possono offrire solo riferimenti di forte valenza metaforica. Mi esimo inoltre da ogni giudizio su due religioni monoteiste – l’ebraica e la mussulmana – per un valido motivo di opportunità. Infatti il dato peggiorativo della crisi attuale è costituito dal sovrapporsi di problemi ereditati su una fase di irrisolvibilità di una nuova forma di contrapposizione (o spacciata come tale) che è la guerra non di religione ma di civiltà. Dichiarazione pretestuosa, lo sappiamo, perché i rapporti tra Occidente e mondo arabo, se hanno avuto fasi fortemente conflittuali, hanno anche realizzato una feconda collaborazione tra l’Islam e l’Europa nel travaso della cultura dalla fonte classica alla modernità. Oggi il richiamo soltanto alla contesa aspra delle Crociate è pretestuoso, dato il contesto di ambiguità politiche e di estremismo ideologico. In questo clima osare un discorso critico comparato sulle tre religioni monoteistiche sarebbe tacciato di malevola ingerenza nel campo altrui. Non mi presto a questa insidia e ho stabilito il mio impegno nell’area culturale che mi appartiene, pur dubitando che questo discorso possa avere nell’immediato una qualche efficacia terapeutica. Sono in voga i placebo.

    IL CRISTIANESIMO AL TRAMONTO?
    Esiste ancora il Cristianesimo? O, se si preferisce, ci sono ancora cristiani? Anagraficamente sí. Ma non è di questa evidenza formale che mi occupo, bensí della substantia rei. Ossia della qualità di una Fede che è – ne sono fermamente convinto – l’espressione più alta della spiritualità umana. Motivo per me di accurato e responsabile approccio all’analisi storica. Il compito è arduo e le implicazioni prevedibili: ragione sufficiente per impormi un rigore che è lontano anni luce dalle banalità del trattato adespoto De Tribus Impostoribus e dalla vacuità di quel materialismo che Marx ha definito volgare. In solitudine serbo un rapporto affettuoso per il bambino che guazza nell’acqua sporca. Il che non mi impedisce di perseguire la verità. Quindi chiedo ai credenti se considerano Adamo un personaggio storico, cioè vissuto realmente come ciascuno di noi ora e qui. La risposta sia evangelica: sí sí, no no; poiché le conseguenze sono di una rilevanza sfuggita o elusa dalla coscienza labile o assopita di quanti si dichiarano cristiani. A seconda della risposta le riflessioni per chi è incline alla meditazione saranno inequivocabili.

    Quella affermativa dovrebbe provenire da una moltitudine suddivisa in due gruppi distinti: i semplici che Gesù esalta definendoli «poveri di spirito» e quanti ritengono la fede una convenzione tradottasi in consuetudine. Sulla schiettezza dei primi non c’è nulla da eccepire, e tutt’al più si può riflettere se si tratti di religio o di superstitio. Ai secondi, che dispongono di un bagaglio culturale più o meno consistente, è possibile anzi doveroso proporre una serie di considerazioni sul crinale storico. Due dei quattro Vangeli sinottici offrono un’interessante peculiarità: riportano la genealogia di Gesù figlio «creduto» di Giuseppe. Matteo espone l’albero genealogico iniziando dal progenitore Abramo. Luca, invece, parte da Gesù per risalire, ben oltre Abramo, a Set, terzogenito di Adamo, e termina con il primo uomo che è al tempo stesso il capostipite dell’intera famiglia umana. Entrambi attingono al primo libro della Bibbia che comprende la schiera dei Patriarchi, tutti pluricentenari. In totale il Vangelo di Luca comprende 76 generazioni. Aggiungendo quelle successive alla nascita di Gesù che con un calcolo ovvio sono 80, si arriva alla somma di 156 discendenze dal primo uomo, creato da Dio. Ben altro è il computo della disciplina che col suo rapido sviluppo nel secolo scorso è risultata la più coinvolgente per lo studio della nostra specie; la cui vicenda storica si riduce a un frammento preceduto dal lunghissimo percorso evolutivo. In modi e forme più pertinenti si tratta di circa duecentomila anni per la vicenda dell’homo sapiens. Ma a che scopo mi attardo su dati acquisiti dalla ricerca scientifica? Le pitture rupestri della grotta di Altamira, i graffiti del Sahara risalgono a quest’epoca remota, indicando il percorso della nostra specie verso l’Europa dove incontra e si scontra con una variante dello stesso ceppo, l’uomo di Neanderthal, giunto migliaia di anni prima e sopravvissuto a tre ere glaciali. La questione è ovvia: come si concilia l’acquisizione di questo patrimonio culturale, esibito dall’antropologia, con il racconto biblico che più o meno coincide con il calcolo temporale della storiografia?

    Alla domanda riguardante la storicità o esistenza reale di Adamo, la risposta negativa espone a un forte disagio i credenti che danno una valenza mitica alla vicenda dell’Eden. In effetti, che il peccato originale sia un mito è ormai una tacita convinzione che ne privilegia il valore simbolico, rinunciando però al rigore dell’analisi sul percorso storico della stessa fede. Si tratta di una logica sui generis che tuttavia «tiene», com’è dimostrato dalla persistenza nel culto di riti e usanze, di provenienza da contesti socio-culturali superati. Ma per chi non trova appagamento nell’ossequio formale, la questione è terribilmente grave. Espongo alcuni punti che non possono essere sottovalutati, data la loro rilevanza in ambito teologico. È ampiamente condiviso il giudizio sulla persona e l’opera di Gesù, quale espressione più alta della nobiltà umana (se si escludono i poveri di spirito, nella accezione laica). Alla radice del contrasto interiore per ogni credente culturalmente adulto c’è una dicotomia tra fede e ragione laica che in passato ha eluso i problemi delimitando i campi di autonomia di entrambe. Tesi non più proponibile con la storica suddivisione dei rispettivi ambiti: la realtà fenomenica per l’una e la ricerca dell’assoluto per l’altra. Oggi l’unità tematica del discorso religioso, precipuamente cristiano, risiede nel suo inserimento storico che non consente una distinzione teorica, poiché verum et factum convertundur. Quindi ogni problema esige l’apporto di entrambi gli strumenti conoscitivi.

    «Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosí anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita». San Paolo nella Epistola ai Romani espone con una chiarezza che non ha bisogno di interpretazioni l’essenza del Cristianesimo. Il quale assume dalla tradizione ebraica il dato fondativo della religione di Abramo elaborandolo in funzione della nuova fede. Sicché la figura del Messia perde ogni connotato etnico per elevarsi a redentore dell’umanità. Contestualmente l’evento escatologico assume una concretezza storica, riferita alla missione di Gesù uomo-dio. Su questa linea si svilupperà la complessa dottrina cristiana per opera dei Padri della Chiesa. Semplice l’idea, grandioso il progetto. C’è stato il peccato originale, commesso da Adamo su istigazione di Eva, che ha provocato tutti i mali del mondo; ma Dio, come aveva promesso, ha mandato sulla Terra un uomo che ha lavato l’umanità da quella colpa. L’uomo è il figlio di Dio, ed a compimento della sua missione ha fatto ritorno nel regno dei cieli. Ciò che è essenziale nell’evento è che i due elementi costitutivi sono ritenuti fatti storici. La Patristica si spinge fino al punto di definire la colpa un precedente benefico – felix culpa – poiché ci ha svelato l’amore di Dio verso gli uomini; specificando ulteriormente che se non ci fosse stato Adamo non sarebbe stata necessaria la venuta di Cristo, detto anche «secondo Adamo». La validità della dottrina si è mantenuta nei secoli senza essere intaccata né dallo scisma d’Oriente, né dall’eresia luterana. Fino al sopraggiungere di un tempo nuovo preceduto da segnali preoccupanti: Giordano Bruno, Kopernico, Galileo, Darwin. Il tempo nuovo – mirabile dictu! – è il travagliatissimo Novecento, denso di luci e ombre. E la luce proviene sia dall’orizzonte scientifico senza le facili esaltazioni di un ingenuo positivismo, sia dagli spazi occupati dalla molteplice testimonianza della solidarietà umana. E questa è, consapevole o no, la verace traduzione del messaggio evangelico. Ma in che consiste la svolta epocale? Nell’affermarsi della disciplina antropologica che ha costretto il pontefice dei trionfi missionari a disporre una commissione per il dibattito sull’evoluzionismo. (Che ne è di questa iniziativa di Giovanni Paolo II?). Ora, la risposta negativa sull’esistenza di Adamo è la conseguenza della metabolizzazione della cultura scientifica nei ceti più istruiti del popolo cristiano. Per codesta parte qualificata il racconto biblico del peccato originale ha una valenza metaforica, per cui il mito è l’espressione decorativa di un’istanza spirituale, ma rimane una fiaba per adulti su base etica. Il discorso del cristiano colto si arresta qui, consentendo la coesistenza di altre culture nella fusione razionale del sapere e dell’agire umano. Chi ritiene insufficiente tale spiegazione deduce invece che si tratta di schizofrenia culturale; e che la pregevole elaborazione religiosa di ogni fede sia priva di fondamento. Non c’è stato il dono del fuoco agli uomini da parte di Prometeo, non esiste il velo di Maya a copertura dell’amara realtà; ergo i personaggi coinvolti non sono esistiti, poiché il concetto del divino è inscindibile dall’idea di verità. Un dio «falso e bugiardo» è semplicemente inesistente – come aveva intuito il Poeta. Si deve dedurre che il Cristianesimo è stato bugiardo quindi falso? Assolutamente no.

    La sua nascita e il suo percorso sono in perfetta sintonia con il rispettivo contesto culturale, il quale non disponeva di strumenti in grado di contestare qualsiasi ipotesi di creazione. Storicamente non c’è ombra di capziosità in questo ragionamento, poiché inerisce all’essenza del sapere che procede per acquisizioni valide finché non risultino false nel corso del suo incessante sviluppo. La verità assoluta è prerogativa Divina. Noi rimaniamo nell’ambito della relatività con la sola aspirazione, mai soddisfatta, all’assoluto. È la nostra condizione alleviata dal ricorso alla superstitio o alla religio. Il Cristianesimo, vissuto autenticamente, non si sottrae a questo itinerario, lungo due millenni con l’alternanza di periodi fausti e nefasti. Sicché chi ne conosce la storia non ha bisogno di dimostrazioni e conferme. Rimane incontestabile che se la colpa originaria è soltanto un mito, mitica è pure la Redenzione. Ciò dovrebbe bastare; e però disponiamo di altri due strumenti a conferma definitiva di questo assunto: la razionalità per eccellenza di Cartesio e i risultati raggiunti sulla conoscenza dell’universo mondo da parte dell’astrofisica.

    Il filosofo razionalista per eccellenza ha sciolto in una folgorazione intuitiva l’incertezza sulla dimostrabilità dell’esistenza individuale: il cogito. Egli ha tratto dal dubbio la verità in quanto, se c’è il dubbio, è implicita la sua fonte ossia il dubitante. Senonché questa «scoperta» riguarda la res cogitans. Restava da dimostrare l’esistenza delle cose, in altri termini di tutta la realtà oggettiva: la rex extensa. Su questo terreno si è dispiegata nei secoli la capacità demolitrice del sofisma. Per risolvere la questione Cartesio fece appello alla peculiarità per eccellenza del Dio creatore del cielo e della terra. (Qui non ha importanza chiarire come egli sia pervenuto a questa fede nella divinità ovviamente cristiana: mediante il metodo ontologico). Essa consiste nell’assoluta identità tra Dio e verità. Da ciò la sua deduzione: poiché egli è la causa di tutto, il tutto esiste e non è una mia illusione o allucinazione. Né Dio può smentire se stesso ingannandomi. Calato questo ragionamento nella problematica della Redenzione, dover constatare la sua inconsistenza è appunto affermare che Dio ci ha ingannato. Rimane come corollario il richiamo alla ricerca astrofisica. Non solo il Cristianesimo, ma tutte le religioni si basano sul principio geocentrico che supporta la concezione antropocentrica di ogni fede. Nella tradizione ebraico-cristiana tutto è stato creato in funzione dell’uomo, giunto per ultimo come Signore del Pianeta e fine supremo del disegno di Dio. Ciò che oggi afferma l’astrofisica è di pubblica acquisizione: la Terra ai margini di una galassia che con una miriade di altri ammassi stellari va verso il vuoto infinito. Se ciò non bastasse, quanto appare è una minima parte della cosiddetta materia oscura. Viene infine avanzata l’ipotesi che il nostro universo possa essere uno degli universi innumeri. Dove si colloca, in questa visione, l’umano destino? E noi siamo tanto importanti da meritare l’attenzione esclusiva dell’Ente supremo, giunto alla «follia della croce» per amore di questi esserini sperduti nel cosmo?

    Dovendo portare il discorso alle estreme conseguenze chiediamoci se non sia più rispondente a verità che l’uomo abbia creato un dio a sua immagine e somiglianza ossia secondo la propria misura.

    C’è stato un filosofo, che dopo aver frequentato con acume irrequieto vari siti della conoscenza, ha concluso il suo iter formulando la teoria dell’ipotesi di cui solo quelle attinenti all’esperienza empirica sono verificabili. Scoperta dell’acqua calda, come le tesi di Wittgenstein sul linguaggio? Non è da poco, in un mondo che «ha gli occhi per non vedere». Ugo Spirito ha avanzato tre ipotesi sul futuro della nostra civiltà; essa potrebbe incorrere in una mutazione epocale: I/ Se venisse a contatto con una cultura extraterrestre; II/ Se dovesse emergere una scoperta tale da travolgere la struttura scientifica tracciata nei secoli; III/ Se dal grembo della nostra civiltà emergesse alla luce un’Idea totalmente innovativa nei modi di essere e di agire degli uomini.

    La prima ipotesi riguarda il futuribile, mentre un impatto a breve termine provocherebbe la rottura della conseguenzialità storica, poiché sarebbero gli alieni a farci visita, nunzi di una civiltà di gran lunga superiore alla nostra.

    Della seconda ipotesi nulla possiamo dire né presagire, limitandoci alla constatazione che sulla via delle scoperte sconvolgenti ci si è già inoltrati e gli effetti sono in opera con una gradualità che provoca mutamenti e svela pure l’inesauribile capacità di adattamento dell’homo sapiens.

    La terza ipotesi ha due soli riscontri: il primo, preistorico, anzi nel passaggio dalla preistoria alla protostoria; il secondo, innescato nel cuore della storia. Rispettivamente: la transizione degli uomini da cacciatori ad allevatori e da raccoglitori di cibo ad agricoltori. Ne consegue il passaggio dal nomadismo alla stanzialità coll’organizzazione della vita sociale in forme sempre più complesse: dalla tribù alla città e allo Stato. Il secondo riscontro, preannunciato dall’età assiale, è l’irrompere di Gesù nella storia. Un evento non comprensibile nella sua pienezza senza penetrare nel contesto socio-culturale estraneo al principio dell’amore universale. Sussiste qualche possibilità di realizzazione per questa terza ipotesi, ed è auspicabile? Dipende dalla qualità. Ne abbiamo avuto un orribile tentativo nella terra dell’Idealismo assoluto: il nazismo, male assoluto. Sarebbe preferibile il relativismo di questo nostro mondo rabberciato, se la sfida odierna che riguarda al tempo stesso il destino collettivo e del singolo non fosse giunta – come lo è, effettivamente – al limite estremo. L’umanità oggi è di fronte al dilemma: o trovare la via d’uscita da questa crisi cruciale o perire. Quindi l’ipotesi del sorgere di un’idea salvatrice, in quanto totalmente e positivamente nuova, esibisce la propria feconda validità.

    LA ROTTA DELLA SALVEZZA
    «Il Cristianesimo come lo abbiamo conosciuto nel suo percorso culturale e storico è mortale». Questa affermazione, lucida e coraggiosa come raramente si riscontra nel lungo travaglio del pensiero finalizzato all’azione, è passata senza lasciare traccia in un mondo che pur vanta la più vasta ed efficace rete di comunicazione. Analoga sorte ha avuto la dichiarazione dell’antropologo britannico che in procinto di recarsi nell’Africa australe così ha risposto alla domanda di un giornalista: «Vado alla ricerca dei progenitori di Adamo». Due esempi illuminanti sul grado di consapevolezza diffusa per quanto attiene alla crisi contemporanea, crisi di civiltà, della quale l’Occidente è magna pars. Nel secondo caso, la proposizione ha avuto l’accoglienza di una battuta ironica. In effetti, l’humor anglosassone ne ha attutito la valenza cruciale. Sul monito del sacerdote cattolico di Fiesole, il quale nelle sue ultime opere ha spesso e responsabilmente insistito sulla più che probabile «fine» del Cristianesimo nel contesto del superamento di ogni religione positiva, c’è stato e permane un silenzio totale. È mia convinzione che si è voluto oscurare l’opera di un personaggio che su questo tema di altissimo e perenne valore è la voce più autorevole. Entrambe le culture – la laica e la religiosa – hanno eluso la sua sfida: la prima, perché a livello medio è semplicemente superficiale, mentre ai più alti livelli considera questa tematica obsoleta e pertanto immeritevole di una ripresa del discorso, concluso addirittura da Immanuel Kant. Ben diversa la scelta del silenzio da parte della cultura religiosa, preoccupata nelle sue istanze istituzionali più elevate, per le implicazioni di un dibattito che colpisce il nucleo centrale della sua fede. Cosí facendo entrambi i settori hanno gettato con l’acqua torbida il prezioso fanciullo che incredibilmente è rimasto pulito: come avremo modo di chiarire.

    La questione elusa si impone per la responsabilità e l’angoscia di un passaggio obbligato della storia: senza mezzi termini, non il trapasso da un evo all’altro, bensí la fine di un’era. Il dilemma dell’ora presente è questo: o andare oltre o restare come gli ignavi danteschi in attesa dell’inevitabile. Né s’illuda la parte numericamente maggioritaria del Pianeta che si tratti di un problema interno alla civiltà occidentale, poiché siamo già tutti coinvolti. Il Cristianesimo è morente o addirittura defunto nell’anima? No. Prescindendo dalla mummificazione di riti e costumi, esso è più vivo oggi che non nei pochi secoli sonnacchiosi della sua storia: in grado di offrire all’umanità accasciata sotto il peso dei propri errori, un’energia dirompente, sorgiva dalla fonte evangelica; nonché, dopo l’ammissione penitenziale delle proprie corresponsabilità, l’avvio a una rinnovata religio. So benissimo, è un termine forte, esplicitato da Ernesto Balducci: «La Chiesa deve fare come il Cristo, morire per risuscitare». Tuttavia non mi spingo fino a tanto, per la semplice ragione che non posseggo la sua fede, testimoniata con l’estrema dedizione della propria vita. Rimane la sfida, che la Chiesa non può esimersi dal cogliere nel solco delle sue migliori tradizioni. E qui il riferimento è soprattutto al Cattolicesimo, di gran lunga più forgiato per struttura, per esperienza storica e per elaborazione dottrinaria. Esso è stato l’assemblatore del nuovo ordine in Europa dopo il crollo dell’Impero romano, e se nel corso del secondo Millennio ha provocato la frattura luterana, in chiusura di un ciclo di errori in parte attutiti dal grande influsso al rilancio di valori cristianamente laici, è auspicabile un suo contributo alla soluzione della crisi dilagante. Bando però al peggiore degli equivoci. Non si tratta di una richiesta di stampo religioso. La posta in gioco, comune a tutti, esige una risposta adeguata al di sopra dello schematismo conflittuale fra i termini angusti di laicismo e confessionalismo. Il richiamo alla sorgente evangelica dilata la questione, di fatidica attualità, alla sua autentica dimensione, che è universale. Perciò chiariamoci le idee.

    Il Cristianesimo interviene nel processo evolutivo dell’umanità a distanza di qualche secolo dall’età assiale, che aveva posto il problema esistenziale in termini incomparabilmente innovativi rispetto alla vaghezza delle figurazioni mitiche anteriori, e tali da imporsi a una riflessione sempre più approfondita nei secoli posteriori. Oggettivamente il Cristianesimo conclude quella fase di profonda meditazione con l’aggiunta di un valore non contemplato o inadeguatamente considerato dal pensiero astratto dei maestri dell’epoca. Sicché a giusto motivo la storia è distinta in prima e dopo Cristo. La novità dell’evento consiste nella connessione tra l’Assoluto e la relatività umana, caratterizzata dall’operare, positivo o negativo che sia, ma non rinunciatario né elusivo; come invece avveniva nella reiterazione delle esistenze dell’Induismo e nel nichilismo buddista. Detto con maggiore chiarezza, la nuova religione affermava la valenza univoca e non ripetibile di ogni esistenza umana con il conseguente rapporto di reciproca responsabilità tra il relativo e l’Assoluto. – Su questo punto fondamentale è assiologica l’unica «preghiera» proposta da Gesù: il Pater Noster in cui Dio è padre di tutti, ma al tempo stesso colui al quale si chiede di «non indurci in tentazioni». E se qualcuno recentemente ha suggerito di mutare questa implorazione, ha dimostrato una totale incomprensione del verbum cristiano.

    Rimanendo nel nostro ambito drammaticamente relativo, il Cristianesimo afferma l’unicità e responsabilità dell’individuo, come valore in sé e fondamento dell’aggregazione umana. E qual è l’aspetto grave della crisi contemporanea se non la perdita del senso di responsabilità singola e la disgregazione dell’umanità? In quest’ottica, né potrebbe esserci un’altra, il Cristianesimo è il secondo balzo evolutivo dell’uomo, che a differenza del primo, svoltosi nel Neolitico, avviene nella pienezza della storia, ossia alla confluenza della cultura greca e dell’organizzazione civile di Roma. Il Cristianesimo, derivato e sottrattosi all’ineguatezza intellettiva e politica del piccolo mondo ebraico, trova le risorse nella propria originalità per affermarsi nell’«universo» conosciuto, prima indicando e poi perseguendo la rotta verso il futuro. Ma qual è il valore che esso porta, mettendolo a disposizione dell’umanità?

    È stato già detto che non è la fede che ognuno possiede in varie forme, non è la speranza che sorregge ogni esistenza, ma è la Caritas che fa del seguace di Gesù il nunzio e il costruttore dell’età nuova. Dono inestimabile del Cristianesimo è l’etica evangelica. I Vangeli sono un’antologia e apologia della moralità. Ma la pagina più significativa è quella che riporta i due precetti di Gesù con la parabola chiarificatrice del buon samaritano. Qui non c’ è accenno alla ricompensa per l’opera di bene compiuta, riscontrabile in altri episodi dei testi sinottici. Etica pura che ha in sé stessa motivazione e finalità; per cui non ho la minima esitazione a definire questa pagina la più alta nella scrittura umana. È l’affermazione del sublime che non richiede la ricerca di superlativi essendo appunto il termine sublime superlativo esso stesso. Non stupisca però se questa etica sia analoga alla condotta irreprensibile dell’uomo senza fede. La scelta dell’ateo è gratuita, ne esalta la libertà e dà un senso a ciò che per lui non ha senso: la vita intesa come contingenza. Entrambe le situazioni, attinenti all’agire umano – «ama il prossimo tuo come te stesso» – proiettate in un progetto collettivo costituiscono l’impegno nella storia, che a sua volta si svolge di progetto in progetto. Quello cristiano, insegnato e operato da Gesù fino al sacrificio della propria vita, ebbe il maggiore espositore nell’Apostolo delle genti. Nella Epistola ai Galati, egli afferma: «Non c’ è più giudeo né greco; non c’ è più schiavo né libero; non c’ è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Per comprendere nella giusta misura questo passo è necessario contestualizzarlo.

    Lo spirito dell’epoca era privo del concetto di amore universale. Ribadire ciò è la premessa all’esatta valutazione del messaggio cristiano. Ciascun popolo per motivi specifici era alieno rispetto agli altri: il greco per la consapevolezza della propria superiorità culturale, il romano per la posizione egemone nella sfera politica e il giudeo addirittura perché si riteneva l’eletto da Dio. San Paolo annulla queste disparità nell’identificazione degli uomini nella persona e nella fede in Gesù. Di pari valenza è il rifiuto della suddivisione degli individui in liberi e schiavi. È bene ricordare che la schiavitù costituiva non soltanto la forza lavoro, ma la struttura stessa del sistema economico. Non è casuale che Aristotele giunge a giustificarla. Roma, determinata nel realizzare il proprio progetto egemone, fu di una ferocia inaudita in due soli momenti della sua storia che costituirono per essa il massimo pericolo: le Guerre Puniche e le Guerre Servili. In entrambi i casi agí di conseguenza: la distruzione di Cartagine e la morte di Annibale; la totale repressione dei ribelli, per cui coloro i quali erano sfuggiti alla morte in battaglia furono a migliaia crocifissi. Infine, il discorso sulla parità della donna con l’uomo ha nel Cristianesimo un’affermazione senza uguali nella storia. Che all’epoca la donna fosse mancipia dell’uomo è ben noto. Ma la nuova religione, come alcuni secoli dopo esprimerà magnificamente il Poeta, eleva la figura femminile a un grado incomparabile: «Tu sei colei che l’umana natura / nobilitasti sí che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura».

    Messaggio quindi «rivoluzionario» per eccellenza, anzi l’unico con esito positivo. Ma prima che ciò accadesse la reazione del potere fu implacabile. E fu questa la vera motivazione delle numerose persecuzioni contro i cristiani, che – va ben ricordato – esplosero non tanto nell’immediato, ma nei due secoli successivi e su iniziativa degli imperatori cosiddetti provinciali.

    Intanto questa inusitata esaltazione della fratellanza umana ebbe un impatto tale da rendere quasi ovvia la convinzione che il suo promotore dovesse avere un’origine divina. Non un uomo, per quanto virtuoso (e chiaramente ve n’erano nel vasto impero romano che coincideva col più alto grado di civiltà allora noto), ma solo un dio poteva annunciare e promuovere un livello più alto di eticità. È il Dio fattosi uomo per amore degli uomini.

    Altro è il discorso che riguarda l’attuazione del messaggio evangelico nei secoli successivi da parte di una religione istituzionalizzata; e poiché la ricognizione sull’argomento è disponibile a tutti, non c’è bisogno neppure di sintetizzarne il percorso. Sarebbe un inutile rivangare la nostra storia a tutto svantaggio di quello che preme. Ciò che oggi si ripropone e impone è la difficile costruzione di un argine alla fase ultimativa della degenerazione etico-sociale nel percorso storico della civiltà. A chi affidare questo compito? All’economia che si è rivelata il dominio del caos? O alla politica, che con rare eccezioni, è diventata un palcoscenico di vanità, insipienza e banalità oscene? O alle confessioni religiose che considerando la vita un dono di Dio rifiutano senza mezzi termini l’ipotesi di un intervento razionale onde evitare che l’umanità si riduca come i topi di fogna i quali, aumentati in maniera esponenziale, si divorano tra di loro? Non resta quindi che il ricorso ai valori autentici di ogni fede ultramondana che funga da base per un intervento ampio e decisivo sui gravi problemi dell’età contemporanea.

    È quanto si è imposto padre Balducci, chiarendo sempre meglio la propria ricerca in una serie di scritti, tra cui emergono Il terzo millennio e La terra del tramonto. Ma poiché l’innovazione propositiva è inscindibile dall’analisi teorica, che implica una profonda revisione dottrinaria, si è preferito obliterare l’intera operazione del sacerdote toscano. Egli infatti propugna una rifondazione del Cristianesimo su basi che corrispondano all’odierna temperie culturale. Ma come si può pretendere che la Chiesa sia disponibile a un riesame dei suoi principi fondanti – in termini estremamente semplici la Trinità cristiana credibile come la Trimurti induista o lo Zeus dei pagani – sanciti nei concilii di Nicea e di Calcedonia? In effetti si tratta di una questione insolubile, mentre resta valida e non rinviabile l’istanza di una rigenerazione etica che conferma la validità delle sue origini evangeliche. Con maggiore chiarezza si tratta del nucleo della tematica religiosa, relativa alla dottrina cristiana, la quale a sua volta poggia su una base sussunta dalla tradizione biblica. Toccare soltanto questo punto focale dell’ideologia significa precipitarla nel buco nero dell’assurdo, senza alcuna possibilità di farla riemergere alla luce; dove invece è rimasta, perché primigenia rispetto alla costruzione teorica, l’etica del secondo precetto di Gesù, non accostabile alla morale del percorso storico cristiano né affine alla condotta eudemonistica dello scambio tra la bontà dell’agire e la ricompensa celestiale. Etica «che smuove le montagne»: ossia la Caritas Christi (quae) urget nos.

    Non è altro «l’etica planetaria» invocata da Balducci, che, forte della sua ratio fidei, in modo esplicito ha ribadito il proprio credo nel Cristo risorto, elevato a pleroma di una società in fieri. Compito difficile? Posso ben dire immane e quasi impossibile; ma l’alternativa a questa che è l’unica rotta di salvezza, è un crescente degrado che se non giunge all’autodistruzione della specie senza dubbio ridurrà i superstiti allo stato di regressione barbarica. Occorre l’impegno non dell’astratto homo sapiens, ma della miriade di esseri umani fin qui dimostratisi concordi nel perseguire un’interminabile discordia. E questa è davvero impresa di lunga lena, mentre la gravità dei problemi e l’urgenza storica che ne deriva concedono un tempo molto limitato. Il natante malridotto, che ha imbarcato una folla di incoscienti alla mercè di una ciurma ubriaca e di un capitano folle, dispone di una guida luminosa proveniente – come affermano Bloch e Balducci – da un faro ai cui piedi non c’è luce.

    Ho iniziato queste riflessioni coll’immagine della nebbia che ci paralizza, e le chiudo con il riferimento al faro che lancia un fascio di luce. Da dove proviene la sua energia? Forse dalla regione frequentata da Pascal? Se cosí fosse, all’origine si prefigurerebbe una più profonda razionalità. E forse la nave dei folli è seguita da uno sguardo vigile, ma di questo nulla sappiamo. Per precauzione dobbiamo farci carico del nostro destino come unica possibilità di dare un senso, nel grande mistero dell’esistenza, alla vicenda umana. È la misura della nostra dignità.

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