Ieri mi è capitato di discutere con amici di buona volontà che, a precisa questione, obiettavano che il problema non fosse l’Islam, ma le condizioni sociali, economiche, in cui noi (sarebbe l’Occidente) abbiamo condotto queste società.
Basta guardare al mondo, a come in Arabia Saudita (dove non ha mai messo piede un soldato occidentale – anzi, non esiste neanche il visto turistico!) le donne vivano certamente peggio che in Palestina, dove un’occupazione dura da 40 anni, per estinguere questo malinteso senso di colpa.
Ma io sono convinto che il problema sia anche più grosso, che ci sia un buonismo, una coazione alla sospensione del giudizio, un tarlo che erode la coscienza dei benintenzionati (e lo sento anche io mentre scrivo queste cose) nel criticare l’Islam. Perché non bisognerebbe. Perché loro, sono gli altri. E invece dovremmo smetterla di pensare che siano loro, e cominciare a pensare che la nazionalità è una convenzione, e che le persone che vivono in quelle società – donne, bambini, omosessuali – non siano antropologicamente diversi da noi, e che meritino gli stessi diritti che abbiamo “noi”.
Il problema è l’Islam. Se è vero che esistono tantissimi mussulmani moderati, e che questi siano la maggioranza, è vero che in una discussione di idee, fra un moderato e un fondamentalista, ha ragione il fondamentalista: perché i testi sacri, il Corano e gli Hadith, danno ragione ai fondamentalisti.
Nel Corano è scritto che gli atei vanno uccisi, che non si possono avere non mussulmani come amici. Tante persone in Palestina, nonostante ciò – spesso ignorandolo – mi sono amiche, lo sono veramente. Ma la strategia da imbonitori, quella di dire che – in fondo – l’Islam è una religione d’amore, è una strategia presuntuosa (perché non è vero, stiamo solo prendendo in giro il nostro interlocutore, dall’alto del nostro chissà cosa) e perdente, giacché nel momento in cui Said – mussulmano moderato, e gran brava persona – discute con l’amico salafita, quest’ultimo gli fa-un-mazzo-tanto: perché nel Corano c’è scritto quello che dice il salafita.
Questa grande strategia dell’inganno, non fa bene a Said.
E il problema è il nostro rispetto per le religioni, tutte. Nel momento in cui non rimarchiamo tutto il ridicolo che c’è nel credere che una donna ha partorito vergine, che un qualche Dio ha imposto di non mangiare il maiale o di circoncidersi, permettiamo una società peggiore, amante del buio, nemica della ragione. Qualunque cosa a cui conferiamo credibilità (proprio in senso letterale), solo in quanto parte di un sistema religioso, ma che non accetteremmo mai, come ragionamento pensato, al di fuori di quell’involucro rivestito di ingiudicabilità.
Ogni volta che incontriamo uno che crede che Maria fosse vergine, dobbiamo rapportarci come a uno che creda che Tarquinio il Superbo avesse l’utero: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che crede che Dio gli abbia imposto di non mangiare maiale dobbiamo rapportarci come a uno che non mangi le mele cotogne, non perché non gli piacciano ma perché gliel’ha detto Harry Potter: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che taglia una parte del pene di suo figlio, da bambino, dobbiamo rapportarci come a uno che taglia il lobo dell’orecchio al figlio neonato: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?