Martedì 20 gennaio

Saltando nelle pozzanghere – Diario dalla Palestina 141

Il sabato sarebbe il giorno delle uscite, con i bambini. Si uniscono i due gruppi e si va in giro. Qualche volta si va a giocare a pallone, altre volte si fanno uscite più “culturali”, d’estate in piscina. Però con il freddo invernale le uscite sono limitate al minimo, a meno che non si trovino posti al chiuso dove portare i bambini.

Avevamo fatto un bel progetto, per familiarizzare i bimbi con gli anziani. Qui la famiglia è lo stato sociale ma per alcune circostanze disagiate come sono i disabili, e talvolta gli anziani, queste situazioni costituiscono una vera vergogna per certe famiglie, e delle volte l’abbandonon è la soluzione seguita.

Anche la coscienza culturale di ciò è in evoluzione e, se dell’incontro coi disabili ne parlai nel primo post che feci dalla Palestina, la visita alla struttura per anziane mantenute dalle suore antoniane è stata divisa in due parti. Essendo il luogo troppo piccolo per tutti e due i gruppi abbiamo portato prima i grandi e poi i piccoli: qui l’incontro con i piccoli.

C’è stato tutto un lavoro preparatorio all’incontro, e – so che vi sembrerà la tipica illusione da innamorato – sono certo che i nostri bambini non riserveranno lo stesso trattamento ai loro genitori o ai loro figli disabili, se ne avranno.
Qui c’è qualche foto:

Io sono stato malissimo quel giorno, mi succede una volta all’anno, ma quella volta non mi reggo in piedi. Ecco, quello era quel giorno, febbre/mal di testa/mal di stomaco, forse si vede dalla faccia. E mi è dispiace molto perché l’incontro è stato bellissimo. Per fortuna durante le vacanze natalizie c’erano venuti a trovare Rodolfo e Antonio (altri volontari di Amal)  che hanno dato una mano indispensabile. Ecco l’arrivo:

arrivo.jpg

Qui le bimbe hanno fatto un ballo per le signore che, non è buonismo, hanno davvero apprezzato. Avevamo portato anche un fiore per ogni signora:

ballano.jpg

Altre foto delle danzatrici:

ballo.jpgdscf7391.JPG

E qui una foto di tutti i bambini che conversano con ognuna delle anziane:

bambini-attorno-vecchia.jpg

Alla fine la cosa più bella, dopo aver chiesto ai bambini cosa ne pensassero e come si immaginassero la loro vecchiaia, abbiamo mostrato loro il video musicale più bello che c’è, Hoppipolla (hop in paddles) dei Sigur Ros, che sia loro di buon auspicio:

La volta successiva ci hanno chiesto di rivederlo, ma ancora non l’abbiamo fatto. Se ci saranno commenti di rilievo, come ci saranno, li riferirò.

l’Unità, fine

Oggi mi hanno scritto che, visto il ridimensionamento che la faccendo di Gaza ha avuto, non sono più interessati alla nostra collaborazione. Per quel che mi riguarda il solo fatto di aver scritto cinque articoli per l’Unità è stata un’esperienza fantastica, anche per la loro gentilezza e professionalità. Non mi hanno mai fatto sentire “fortunatissimo”, solo per la possibilità che mi veniva offerta, come nell’altra mia breve esperienza editoriale.

Magari nei prossimi giorni proverò a scrivere in giro per vedere se ci sia qualcun altro interessato a pubblicare le mie cose dalla Palestina. Anche qui potrà essere utile dire che ho collaborato con l’Unità.

Mi dispiace solo che, diversamente da come avevo inteso, a questo punto io abbia trovato quest’occasione solo in relazione a questa guerra, ma forse è normale in una visione più disincantata delle cose, e dovrò augurarmi – dunque – di non scriverne più. Ma, appunto, sono fastidi momentanei: il bilancio è solo positivo.
E poi, volete mettere la vivace bellezza di mio nonno che – con tanto orgoglio per il nipote primogenito – per la prima volta in vita sua chiede all’edicolante l’Unità?

La pace ai check point

È assurdo, ma in questi giorni i soldati ai check point sono più gentili. Certo, ai tuoi occhi – che sei occidentale – vogliono sembrare buoni. No, di solito se ne fregano. Tornavo a casa, una soldatessa mi ha chiesto da dove venissi, e io le ho detto che ero stato a cena a Gerusalemme. Lei mi ha chiesto dove, e io mi sono inventato un posto. Meno dici e meglio è. Però lei ha commentato come si mangia in quel posto, e io mi sono inventato che non avevo mangiato bene. Iniziavo a capire che voleva essere cordiale: che è quello che ci vorrebbe sempre perché i palestinesi non abbiano solo quell’immagine feroce e al tempo stesso indifferente dell’esercito. Però quando mi ha chiesto con chi: io le ho detto «amici», che è la tipica cosa che si dice per non dire «fatti miei». Ed è questa la brutalità dell’occupazione, dei check point: che fa diventare i rapporti umani un riflesso condizionato. Poi mi sono reso conto che me l’aveva chiesto in modo amichevole, allora ho aggiunto «amici israeliani: hai visto, abbiamo fatto la pace?». Perché dal fatto che stessi rientrando a Betlemme di sera era ovvio che vivessi lì, e da questo era conseguente che fossi un volontario che, nelle barbare semplificazioni imposte da questi schieramenti, sta-dalla-parte-dei-palestinesi. E io le ho detto «Laila Tov», buonanotte, che è una delle poche cose che so in ebraico, e lei mi ha risposto «Leile Said», buonanotte, che è – forse – una delle poche cose che sa in arabo.

(Unità, oggi)

Lunedì 19 gennaio

Eppur si muove – Diario dalla Palestina 140

Intanto oggi pomerggio, a cessate il fuoco avvenuto, a Betlemme si teneva una manifestazione per urgere il cessate il fuoco.

dscn2709.JPG

dscn2711.JPG

Domenica 18 gennaio

Marxista lo dici ar dio tuo – Diario dalla Palestina 138

Che molte persone mi chiedessero «cosa vuoldire?» quando dicevo loro di non credere in Dio, l’avevo già riferito. Ma ora ho scoperto che coloro che contemplano la possibilità, l’associano indissolubilmente al comunismo. Ahlam stava raccontando a una sua amica che io, appunto, non credo in Dio, e quest’amica le avrebbe risposto: «cooooosa??? È marxista?». Lei me l’ha riferito, per raccontarmi il “coooosa”, ma io – che avevo già sentito quella parola – le ho chiesto lumi sul “marxista”. Lei mi ha detto «sì, you say …marxist in english». Così io le ho detto «no, ma guarda che non sono marxista» (tra l’altro dubito seriamente che Angela, Umberto e Rodolfo – altri volontari conosciuti da Ahlam – pur di quella sinistra lì, si definiscano marxisti). E lei: «come non sei marxista? e allora perché non credi in Dio?».

Insomma, non solo considerava il fatto di credere in Dio come dettato dalle scelte politiche, ma mi ha spiegato che ha usato quella parola, marxista, perché è l’unica che hanno. Magari qualcuno, da qualche parte, l’avrà coniata o ereditata, ma nell’arabo che parlano qui, la parola per dire ateo-agnostico-noncredente è una sola: marxista.

Chiese cowboy

Mi immagino la pubblicità: se la vostra chiesa non è abbastanza “cowboy”, potete andare in Texas lì sì che vi sentirete a proprio agio pregando con i vostri speroni.

>Source: 1<

Sabato 17 gennaio

Onore al sofferente amico del popolo – Diario dalla Palestina 137

Tutti coloro a cui racontano l’assurdità di quello che mi è successo, qui in Palestina, mi cospargono di una solidarietà – sicuramente eccessiva, ma sentita – che mi mette in imbarazzo. Tantopiù che più d’uno mi ha indirizzato frasi come «ora puoi capire davvero la sofferenza del popolo palestinese» o «è questo che succede al nostro popolo». Per una bici. Ed è una situazione molto paricolare, perché io non penso che le cose – e soprattutto le sofferenze – si capiscano dal di dentro, anzi spesso si capiscono peggio. Pochissime volte la vittima di un’angheria ha il cuore libero. E in più ho una diffidenza della parola “popolo”, quasi quanto della parola “onore”.

Il tutto è reso ancora più fastidioso dalla consapevolezza che se al posto mio ci fosse stato un palestinese, quei soldati, quei poliziotti, pur nello stesso torto avrebbero trattato molto peggio** il possessore della bicicletta. Così mi trovo a far parte di una cosa di cui trovo distorcente far parte (la vittima), di cui trovo sbagliato far parte (il popolo), e di cui comunque non faccio parte (la discriminazione), e tutto questo nella più cerimoniosa, ma affettuosa e onesta, buona fede. Mi sento viscido.

**Questo è quello che tanti scudieri d’Israele per pregiudizio non accettano, che ci siano delle discriminazioni che vanno al di là delle leggi e cioè discriminazioni d’atteggiamento; che sono naturalmente (endemicamente) meno peggio di quelle legalizzate, ma pur sempre vive, presenti e pestifere. Israele è lo stato per gli ebrei, non degli ebrei. È una differenza rilevante oltre che visibile.