Mi era stato rimproverato, e mi ero rimproverato, di non aver parlato della politica italiana. Meglio dice, non è quella l’emergenza, è qui, lì dove stai tu. E sì, difatti è qui l’emergenza della laicità, e del sorriso di tante donne. Però, proprio su Eluana Englaro, sulla vicenda della quale mi ero intestardito a non cercar le parole per scrivere, Adriano Sofri ne ha scritte di molto migliori di quelle che avrei potuto scrivere io, impegnandomi:
Gentile Davide Rondoni, un suo fondo sull’Avvenire di sabato addebita a me e ad altri, a proposito del destino di Eluana e dei pronunciamenti del ministro Sacconi e del cardinal Poletto, d’esser mossi dal “livore”. Ci ho pensato, e non mi riconosco affatto in questo pessimo risentimento. Né in genere, né in particolare. Apprezzai convintamente il cardinal Poletto quando disse cose che mi sembrarono, oltre che giuste, coraggiose. Dissento da lui in questa. Non provo livore verso i credenti e la chiesa, i suoi uomini e le sue donne. Nemmeno verso di lei, che pure impiega parole molto spinte. Provo a illustrarle una differenza incisiva fra noi due, se non mi sbaglio. Se io incorressi in una condizione come quella di Eluana e di tante altre persone, vorrei con tutto me stesso essere esentato, ed esentare le persone che amo, dall’alimentazione forzata. Questa mia rigorosa convinzione non mi potrebbe mai indurre a esigere e neanche a suggerire un desiderio e una scelta analoga a chicchessia. Per esempio a lei, se dovesse un giorno trovarsi in quella condizione. Invece lei, se non ho capito male, non si accontenta di difendere una scelta opposta per sé e per chiunque la condivida, ma vorrebbe estenderla a me. Per questo dissento da lei, e anzi ho un po’ paura. Non livore: un po’ di paura.