Prima sgombriamo il campo: a me dei motivi per cui Israele ha attaccato Gaza, e Hamas ha riniziato a lanciare missili importa nulla. Cioè mi interessano se mi aiutano a capire le restanti cose, ma in sé non spostano il mio giudizio sulla guerra. Della legittimità delle varie azioni, e soprattutto dell’attacco israeliano, mi interessa poco. Quello che mi interessa è sapere se per quest’area, queste genti, queste persone, ne risulteranno effetti positivi o effetti negativi. E nel caso l’effetto fosse positivo, mi domanderei: ma vale il numero di morti, e quello tanto più alto dei feriti, indifferentemente da una parte e dall’altra?
Penso che la volontà strategica di Hamas sia molto sopravvalutata, intendo i piani per il futuro. Dico volontà e non capacita perché Hamas non ha un piano per il futuro, il suo futuro è nelle braccia di Dio, e se combattere per la causa porta alla morte di tutta la propria gente, poco male: perché l’Idea conta più della morte. Anzi, la morte è uno dei mezzi – più che ammissibile, auspicato – per raggiungere quell’Idea, come nel caso di Nizar Rayan, ucciso da un missile israeliano e dalla sua decisione di non scappare da quella casa che sapeva sarebbe stata bombardata, portandosi all’inferno una quindicina fra varie mogli e figli.
Ho smesso di chiedermi perché Hamas abbia deciso di subire questo attacco – con ciò non intendo che Israele doveva reagire, ma che a Gaza sapevano che Israele l’avrebbe fatto: lo intuivano anche degli ingenui come chi scrive e, probabilmente, chi legge.
Al tempo stesso la capacità strategica d’Israele è sopravvalutata. I mille piani di difesa che ogni governo israeliano ha sul tavolo sono improntati alla sopravvivenza, più d’una volta a scapito altrui. La fine del terrorismo suicida ha maturato nell’opinione pubblica un’indifferenza per nulla sana, e un sentimento di rivalsa poco commendevole: “non hanno voluto dismettere il terrorismo per avere la pace? Ora col muro l’abbiamo dismesso noi, e a questo punto s’attaccano”. Molti, in Israele, pensano di poter andare avanti in questa condizione, con una mezza occupazione e un mezzo stato per chissà quanti anni, perché cosa ne guadagnerebbero gli israeliani da una pace?
Così che finire l’occupazione, smettere con alcune misure di sicurezza che hanno un carattere solo vessatorio, e con alcune leggi dall’impronta discriminatoria, quindi rendere la vita migliore ai palestinesi non soltanto manca di essere un valore, ma talvolta è concepito come un disvalore: loro-sono-i-nemici, quelli che ci vogliono distruggere.
E le scelte dei governi israeliani riflettono questo umore, peggiorandolo, portando ad accettare quel mercimonio di vite che è un attacco che uccide 700 persone e ne ferisce cinque volte per tutelarne – grazie al cielo e alla tecnologia – un centesimo di esse.
Che al di là dell’inutile obiezione che dice “succede anche negli altri paesi” (embè?), è vero che non succede così negli altri paesi: basta dare un’occhiata ai media israeliani per accorgersene.
Al contrario di molti che – qui e ora – sono d’accordo con me, non sono un pacifista senza condizionali, anzi per esser di sinistra sono piuttosto guerrafondaio: so che senza l’intervento della Nato le fosse comuni della Bosnia avrebbero iniziato a traboccare di gente ammazzata mentre era in fila per avere un tozzo di pane. Che se in Rwanda ci fosse andato un esercito vero, e non quattro berretti celesti a difendere i due hotel in cui c’erano turisti o diplomatici, gran parte di quel milione di persone che è morto avrebbe ora quasi quindici anni di più. E so che di guerre, purtroppo, sarò costretto ad appoggiarne altre, fino a che ci sarà gente che stermina gente.
E tutto questo lo so perché so che non fare nulla per evitare un omicidio non è essere neutrale, perché quello che conta non è la pace, ma la vita delle persone.
Ma, davvero, è questo il criterio che ora guida Israele?
Raccontava un bell’articolo dell’Independent che il ritornello più sentito in Israele, nell’ultima dozzina d’anni di kamikaze era stato: “che gente è questa che manda i propri figli a uccidersi per uccidere i nostri figli?”, specie quando a montare imbottiti di tritolo sui pullman di Tel Aviv erano dei bambini.
E questa era diventata una leva psicologica per alleviare, nell’intimo della propria coscienza, il peso di sapere che quelle azioni che quasi ogni israeliano considerava giuste, in ogni caso uccidevano molte persone, molti altri. Se questi altri – e questo è il retropensiero – non tengono alla propria vita, perché dovremmo tenerci noi?
Perché Israele non dovrebbe permettersi di misurare le proprie azioni col metro altrui anziché con quello che professa: se la perversione concettuale con cui Hamas tratta i civili contagia gli israeliani, Israele si ammala di quel male per cui sta cercando il vaccino.
Inizio col dire che anch’io ho il terrore dell’inutilità , della vacuità , di questo orrore. Ma non sono in grado di dare un giudizio sensato, ovviamente, da un punto di vista strategico. Non mi è molto chiaro però perchè – fatta la premessa che non sei pacifista (e non lo sono anch’io) in questo caso troveresti che la soluzione al conflitto israelo palestinese “non varrebbe” i morti che ha fatto. E’ un conflitto che dura da sessant’anni, ha creato molta sofferenza e molta morte per ogni dove, è su una faglia dove rischia di avere conseguenze e portata assai più vaste…
A proposito, che ne pensi di questo articolo? Io non ne ho idea, potrebbe essere anche pari alla famosa sentenza “la storia è finita”, subito dopo il crollo del muro…boh
http://www.ottawacitizen.com/story_print.html?id=1133234&sponsor
I do not think anybody is overestimating Hamas’ strategic outlook. Not the Israeli. Hamas is a suicidal religious cult with no plans for the future other than mass suicide.
But I think you are superficially misreading Israel strategy for this military operation and for the region at large. Even in the midst of the current “fog of war” is seems clear that the party-of-the-endless-war-with-the-Arabs was and is only a minority- perhaps a vocal minority, but still a minority. If it really was a majority, you would not have seen peace with Egypt and Jordan, you would not have seen the withdrawal from Gaza, and you would have already seen carpet bombing of Gaza and half a million dead as a result.
A day peace will come to the region but if won’t be dictated by Hamas’ Qassam rockets. Israel is obviously trying to reward Fatah’s good behavior in the West Bank and to punish its nemesis Hamas in Gaza. Divide and conquer. Israel can talk to Fatah and maybe even reach a peace agreement one day. But it won’t never ever talk to THIS Hamas leadership. It can’t. No democracy could. Eventually the message is for the Palestinians: keep electing Hamas to office, keep rejecting Israel right to exist and you will get punished. Unfair? freedom carries responsibilities.
Your major mistake is expecting Israel to turn the other cheek because not doing so won’t be productive, positive for the region and will be unbecoming for a self-professed democracy: so in the end you are willing to appease terror, because not doing so would carry a price too high. you are an idealist. fine. but reality is dirty. even more so in the middle east, and I am worrying you are in the wrong place, at the wrong time and with the wrong bleeding-heart leftist ideas.
How, in your great wisdom, do you know that 700 killed Palestinians -some, admittedly, innocent bystanders- is worse than appeasing a suicidal terror cult? How can you be so sure?
It flies in the face of history.
And if you really believe that there is a moral equivalence between Hamas and Israel -as your last sentence implies- would you, grown in freedom and a self professed free-thinker, actually choose to live in the dark theocracy of Hamas-istaan or would you rather still choose the imperfect-but-free democracy of Israel?
We do not live in a world of Platonic Ideals, but rather, we all inhabit the wasteland of Bloody Imperfection.
Eventually you’ll have to chose a side. it won’t be the best, just the least of two evils, if you are lucky.
“Quello che mi interessa è sapere se per quest’area, queste genti, queste persone, ne risulteranno effetti positivi o effetti negativi.” , ma io non capisco come si possa credere di essere sanamente realisti ipotizzando che gli effetti di una guerra possano essere positivi. A me sembra che la storia e gli uomini dimostrano che le guerre non hanno mai avuto l’effetto di far terminare le contese e che comunque i loro effetti sono sempre stati negativi. Sul resto, comunque sono sostanzialmente d’accordo.
Fatte tutte le premesse, le considerazioni, le distinzioni e le speculazioni del caso, ritengo che tra chi spara ad una ambulanza e chi in quell’ambulanza suo malgrado ci si ritrova, il primo abbia torto marcio e il secondo piena ragione. E non credo che si tratti di una eccessiva semplificazione del Mondo.
Anche italiani di un blindato Centauro, in Iraq, si ritrovarono dalla parte del cannone dove la granata entra, mentre dalla parte dove la stessa granata esce si trovava un’ambulanza.
Rosa,
credo molto molto improbabile che questa offensiva risolva il conflitto. Diciamo pure impossibile.
Se fai l’ipotesi di un piccolo miglioramento in positivo, che comunque è tutto da dimostrare, ti dico che anche in questa ipotesi – ammessa e per nulla concessa – ti direi che questo minuscolo passo avanti non mi sembra ottenibile solo con questo mezzo.
Detto questo, se mi proponessero lo sradicamento di Hamas in cambio di altri due giorni di guerra, è chiaro, direi di sì. Ma lo direi tanto di più per i palestinesi che per la sicurezza d’Israele.
Ovviamente sarei così lieto di sbagliarmi sul primo punto, e tu sai che non lo dico per retorica.
Max
Sorry to say it, but my feeling is that you’re prisoners of your stereotypes: maybe you had a lot to do, or to talk with whom really thinks what you decided I think: but that is not me.
I don’t want Israel to turn the other cheek. I, trust me, face the dirty reality – by the way, listen, dirty reality is much more against what Israel is doing, than idealism.
And there stands the point, if I drown your thinking with your same unfair syllogism, I can affirm that I disagree with you when you say that the only way not to appease a suicidal terror is to kill 800 hundred persons, to “send a message†(wow, who’s the leftish now? You’re quoting the Chairman Mao!).
I didn’t talk about moral equivalence, so that you’re last question has an obvious answer: I went further here: http://www.distantisaluti.com/troppi-luoghi-comuni-su-hamas/, last paragraph, where I say that I would rather live under Italian fascism (and try to figure out how this sounds to Italians) than under Hamas regime.
What I said is that Israel should try to behave in a good way, and to stay far – the far he can – from Hamas ideas. Because we have to be “i buoni, non I meno peggioâ€: http://luca-sofri.myblog.it/archive/2004/07/01/meno-peggio.html
Alessandra,
perdonami anche tu, ma il tuo concetto mi sembra un po’ superficiale. Anche perché nel momento in cui dici che NESSUNA guerra ha mai portato alcun giovamento offri il destro alla contestazione più facile: la II guerra mondiale. Che doveva essere fatta, e doveva essere fatta prima.
Più in generale, bisogna decidere se il nostro fine è la “pace” o “le vite umane, i diritti umani, etc”. E, soprattutto, decidere quale è il fine e quale è il mezzo. Per me la pace è un ottimo modo, quasi sempre il migliore, per salvaguardare le vite e i diritti umani, che sono il mio fine.
Ma ho detto “quasi”, appunto perché non è un simulacro.
Paolo,
credo che nell’esempio che fai, se – appunto – non ci sono elementi che complichino il quadro, chiunque sarebbe d’accordo.
Alessandra, ti propongo una metafora tratta da un libro di tal “Philippa Foot” chiamato “The problem of abortion and the doctrine of double effect”, che ho trovato molto interessante e che ti può aiutare a darti una risposta sull’idea di guerra:
“Greg ha solo un minuto per fare una scelta difficile. Un treno in corsa sta procedendo sul binario, verso il passaggio a livello dove Greg si trova. Lungo il percorso, troppo lontano perchè possa arrivarci, quaranta uomini stanno lavorando in un tunnel. Se in treno li raggiunge, di certo ne ucciderà molti. Greg non può fermare il treno. Ma può tirare una leva, che lo devierà su un altro binario. Più oltre, in un altro tunnel, ci sono cinque uomini a lavoro. I morti saranno meno.
Ma se Greg tira la leva, sceglierebbe deliberatamente di dare la morte al gruppo dei cinque. Se non fa nulla, non sarà lui a causare morte fra i quaranta. Deve provocare la morte di poche persone o permettere che ne muoiano di più? Ma non è peggio uccidere le persone che lasciarle morire?
I binari sferragliano, il treno si avvicina fischiando. Greg ha pochi secondi per fare la sua scelta. Uccidere o lasciar morire?”
Capito. Sì, anch’io non penso che possa essere la fine del conflitto, per questo ti chiedevo cosa ne pensassi di quell’articolo.
Gli articoli li leggo la sera, l’ho giò stampato, poi allora ti dico.
Nell’esempio che faccio non vedo quali sarebbero gli elementi che potrebbero complicare il quadro, no?
Scusa se insisto, Giovanni: anch’io condivido l’idea che l’importante siano le vite umane, più che un’astratta idea di pace.
Occorre però, secondo me, distinguere molto bene tra le varie condizioni, e questa distinzione la si può fare soltanto “dall’esterno” (non importa se un esterno geografico o temporale).
Sono convinto che le guerre (e qui per “guerra” intendo scontro armato in generale) davvero inevitabili siano pochissime, e tra queste penso quasi esclusivamente alla protezione armata di genti minacciate da pulizia etnica (nel nostro tempo: Cambogia, Ruanda, Serbia, Sudan, Congo, ma anche Algeria, Cecenia, Timor Est, eccetera, stragi anche queste, peraltro, non sempre inevitabili). Altre situazioni, compresi gli immani macelli della I e della II G.M., compreso l’Iraq, l’Afghanistan e la Palestina sono state e sarebbero evitabili, e non lo dico io, che mi interesso di Storia soltanto per diletto.
Certo, per sostenere l’evitabilità dei conflitti, dobbiamo rinunciare all’idea di malvagità dell’Uomo come accessorio irrinunciabile.
E’ una sfida che potremmo (dovremmo? dovremo?) iniziare a raccogliere.
Che diacronicamente le guerre siano inevitabili è evidente. C’è sempre qualcosa o qualcuno che fa qualcosa di sbagliato o non bene previsto che porta a quelle condizioni.
Ma io parlo a livello sincronico, quando la frittata è fatta: a quel punto si può convenire che “si sarebbe potuto fare”, ma poi bisogna prendere una decisione. Talvolta, e purtroppo, quella decisione può essere una guerra.
Io credo che la sfida la si raccolga anche mandando l’esercito in Rwanda, perché non farlo – come non si è fatto – è confermare, nella nostra indifferenza, l’assunto della malvagità umana.
Assolutamente concorde per il Rwanda (quantunque, a vedere quanto hanno fatto i Caschi Blu canadesi a Tuzla…), e per casi simili (Territori compresi).
Sulla decisione da prendere “post frittatam” distinguerei molto di più. Talvolta, come tu dici, la guerra è inevitabile (II GM), talvolta no (in Iraq, per esempio. Penso che preferire la morte alla mancanza di libertà sia una delle scelte possibili, ma sia comunque una scelta che spetta all’oppresso, non ad un “volonteroso” liberatore.
Rosa, ho letto l’articolo, mi sembra poco realistico. Perché la voce che considera Israele l’oppio dei popoli arabi – letto di recente anche questo – è molto minoritario, anche nell’Islam politico (o nazionalistico, come dice qui). Inoltre il sostrato compiaciuto dei nemici che lottano fra loro a me non piace, anche perché credo nella contagiosa forza della libertà , come intesa nelle società libere.
Ovviamente, però, questo mio parere è in relazione alla coerenza con quello che ho scritto qui sopra, perché non sono un esperto della cosa e mi fiderei di pareri più titolati dei miei, se fossero concordi.
Paolo: sì, sono d’accordo che spetti al potenzialmente liberato. Anche se l’equazione morte per libertà supera i confini dell’esempio.