Giovanni Fontana

iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:

giovannifontana1.JPGMi chiamo Giovanni Fontana, ho 24 anni, e didovessono non lo so dire.
Sono un “mezzo” tutto, quindi un tutto niente. Sono nato a Firenze (vicino a un cimitero), dopo essere stato concepito in Toscana (davanti a un cimitero), da madre toscana e padre americano – pure lui, “mezzo”, italiano. Abito a Roma da una vita (accanto a un cimitero), e studio alla Sapienza (di fronte all’altro cimitero). Di fiorentino mi è rimasta l’attenzione per la lingua e il tifo per la Fiorentina, ma vivo a Roma perché in nessun altro posto al mondo se indugi un poco allo scattare del semaforo, invece di insultarti o aspettare pazientemente, ti senti dire «a regazzi’, piuvverde deccosì nun ce diventa…».

Da bambino volevo fare il capitalista, allora ho imparato tutte le capitali del mondo a memoria. Cresciuto un poco ho ripiegato sul liceo scientifico, per poi scartare di lato e dedicarmi allo studio della linguistica e della letteratura; dopo la triennale in filologia romanza (neanche io sapevo cosa fosse prima d’incontrarla!), mi sto specializzando in una di quelle cose – così inutili che tutti dovrebbero saperle – che hanno a che fare con il medioevo, con Ginevra, Lancillotto, Tristano e Isotta.

Penso che essere di sinistra significhi intervenire, e cioè non girarsi dall’altra parte se qualcuno sta male, come disse bene qualcuno: se vedo uno che viene picchiato, cerco di impedirlo. Poi magari ce le prendo io.
Questo vuoldire tanto, perché in molti casi per fare sì che le cose cambino, bisogna intervenire. Per ciò inorridisco quando sento definire “di sinistra” i personaggi più conservatori dell’intero arco politico.

Proprio per provare a intervenire e a cambiare, con disincanto ma forza di volontà, per non continuare – solo – a lanciare contumelie al televisore, ho pensato giusto tentare di sfruttare quella che è la più grande opportunità degli ultimi anni: il progetto del Partito democratico.
Per quello che ne so io il PD è un partito laico, moderno e libertario. Per quello che ne so io, è il mio partito ideale.
È da qui che voglio profondere il mio piccolo contributo per fare sì che questo progetto si concretizzi come nelle proprie prerogative.
Poi si sa, non tutto va come nei propri progetti, per dire: ora so tutte le capitali, ma non farò il capitalista…

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Morio Cpecei

iMille sono un gruppo di persone convinte che le cose possano cambiare. E che l’unico modo per fare sì che questo accada, è provarci. Fare le cose. Io, con loro, ho fatto qualche cosa per la creazione del Partito Democratico. Oltre ad aver fatto qualcosa, ho anche scritto delle cose:

tuvuofalamericano1.jpgll premio Nobel per la medicina è italiano.
Deve essere un immigrato, forse da qualche parte del centroafrica, perché ha un nome strano: Morio Cpecei.
È un nome particolare, ma i suoi amici lo chiamano così, lui stesso si definisce “Cpecei”.
Vedi? Per una volta si può dire che nel nostro Bel Paese, la ricerca funziona, che anche da noi si può far progredire il sapere. E che, ogni tanto, i cervelli non fuggono, anzi trovano accoglienza!
Questo uno pensa, se legge il titolo del Corriere della Sera, “È italiano il Nobel per la medicina”. E invece.
Invece il nostro Morio vive da 60 anni negli Stati Uniti, e questa minuzia è bastata a quei burloni del Nobel per definirlo statunitense.
E se gli chiedono un’intervista – rigorosamente in inglese, a parte un “arrivedorci” da Stanlio e Olio – viene fuori che ama molto l’Italia, ma che qui è quasi impossibile fare ricerca, che “ci sono bravi scenziati, con idee, in ogni nazione, in particolare in Italia, ma che le grandi risorse dovrebbero essere ‘incanalate’ meglio”.
Niente di nuovo sotto le Alpi, sono cose che iMille dissero e continuano a dire, non perché sia una novità, anzi, perché sono cose così autoevidenti da essere condivise – almeno a parole – da tutti.

Il Corriere – come tutti i media – ha sottolineato le origini italiane dello scienziato: ha raccontato la storia di Capecchi, che per qualche anno girovagò per l’Italia, senza genitori: il padre morto, la madre deportata a Dachau; come quarant’anni fa ci si rincorse a trovare e romanzare la storia di Rocco Petrone, progettista del Saturn V che portò l’uomo sulla luna e americanissimo self made man, figlio di una poverissima famiglia di immigrati italiani.
Insomma come sempre, invece del Premio Nobel, ci accontentiamo del Premio Novel.

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