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Giulia Innocenzi, alla quale mi legano diverse frequentazioni comuni che me ne hanno sempre parlato in termini molto positivi, e perciò – credo – anche una vicinanza su molte cose che pensiamo, ha scritto una sciocchezza: “partiamo dal velinismo prima che dal burqa“. Non solo fa un’equivalenza fasulla, ed efferata, fra due fenomeni la cui gravità è di una sproporzione spaventosa, ma articola l’idea per cui la priorità vada data al principio ragionevolmente meno impellente.
Naturalmente il velinismo, che è perfettamente riassunto nell’atteggiamento da millantatore in punta di cazzo del Presidente del Consiglio, è un fenomeno preoccupante, ma c’è un dato evidente: conosco tante persone che non si (s)vestono come veline. Possono farlo. Nessuno le ammazza, le picchia a sangue, le persegue per legge, le costringe in casa (anzi, semmai succede l’opposto) per essersi vestite troppo. Le donne costrette a portare il burqa – o anche l’hijab – invece non hanno scelta: se non lo fanno vengono uccise, massacrate e rinchiuse, nella migliore delle ipotesi (!) violentate – del resto è proprio questa la ragione per cui il Corano (33;59, 33;55) e numerosi Hadith sostengono che le donne debbono coprirsi: preceisamente per non aizzare il desiderio sessuale dell’uomo, e subire molestie (riecheggia qualcosa questa teoria della donna troppo svestita e quindi responsabile del proprio stupro, eh?).
Ciò, naturalmente, non vuol dire che non ci siano alcune donne che fin da bambine sono state così indottrinate a considerare il proprio corpo come strumento del Diavolo, come succedeva fino a qualche tempo tempo fa in Italia, da voler mettere il Burqa di volontà propria, né che bisogni toglierglielo per legge. Anzi, io sono contrario al divieto del Burqa come in Francia, come ho detto in altre occasioni sono un “integralista del Primo Emendamento”, trovo la libertà d’espressione insindacabile (naturalmente, diverso è il discorso per una minorenne). Un’osservazione da fare, però, è che chiunque sia a favore dell’obiezione di coscienza come concetto – idea che io, invece, non sopporto – potrebbe trovare buone ragioni per essere a favore della legge: lo Stato francese fa obiezione di coscienza rispetto a una cosa che non ritiene giusta, ovvero il burqa.
Bisogna smettere di gonfiare questo benaltrismo sciocco per cui “noi-non-siamo-meglio-degli-altri”, e quindi ce ne laviamo le mani: intanto noi chi? Altri chi? Io considero giusta e importante dare l’adozione agli omosessuali, non mi sembra che la società in cui vivo – quel noi – sia molto favorevole alla prospettiva. Ma poi: da quando in qua le idee son giuste o sbagliate a seconda di chi le dice? Da quando in qua un’idea giusta, detta da uno che ha altri tipi di magagne, diventa un’idea sbagliata? Allora, se domani il Papa si alza e dice che bisogna eliminare la fame nel mondo, eliminare la fame nel mondo diventa sbagliato?
Noi – io, voi, tutti, ciascuno per sé – dobbiamo cercare di fare sì che gli altri, che sono quelli che ci stanno accanto ma anche quelli che ci saranno, siano meglio di quello che siamo noi. Non cerchiamo di farli assomigliare alla nostra società attuale, se non per le cose che ci piacciono, ma a una società migliore di questa.
“Giulia Innocenzi, alla quale mi legano diverse frequentazioni comuni che me ne hanno sempre parlato in termini molto positivi, e perciò – credo – anche una vicinanza su molte cose che pensiamo, ha scritto una sciocchezza: “partiamo dal velinismo prima che dal burqa“
perchè lo ha fatto?
La risposta che mi do è:
Per lo stesso motivo per cui in italia i politici comunisti negavano le schifezze stalististe e castriste e i politici democristiani negavano le schifezze commesse dagli USA.
Sicuramente per qualcuno è un cosciente calcolo politico, ma per molti altri questo calcolo è inconscio. Volendo essere buoni è un po’ come il non-vedere qualche ruga nel volto della donna amata, o al contrario il non apprezzare un bel gesto di un nemico.
Sono gesti che indeboliscono una posizione dogmatica, quindi non possono quindi essere fatti da chi sa che le proprie convinzioni non poggiano su basi così solide da potersi permettere il lusso di essere messe in discussione.
Nella posizione di Giulia c’è anche molto del comportamento che Gramellini su “la Stampa” definisce “il rimpiattino”
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=867&ID_sezione=56&sezione=
Scusa giovanni, siccome spesso mi sono considerato di posizioni vicine alle tue, stavolta io arrivo a conclusioni diverse.
Per quanto mi riguarda, è giusto vietare il burqa, proprio perchè è sbagliato dire “ognuno rispetti le proprie tradizioni”, e alla luce dei diritti delle donne, della persona etc, ritengo giusto vietarlo.
Peraltro, la questione segregazione si applicherebbe a una percentuale bassa, e in un lasso molto limitato nel tempo, per cui non vedo conseguenze negative
fblo scrive::
È una conclusione a cui sono giunto recentemente (qui avevo scritto tutti i miei dubbî: http://www.distantisaluti.com/burqa-si-burqa-no/), quindi la dico come ipotesi di lavoro che però mi sembra – e ora come ora mi sembra decisamente – la più convincente.
Naturalmente è diverso lottare, come tu e io faremmo, per combattere quell’usanza e invece legiferare che sia vietato metterla in pratica. Uno Stato liberale ha il diritto, e – rispetto a casi orrendi come il burqa e le mutilazioni genitali femminili – anche il dovere, di disincentivare nei modi più forti queste pratiche, ma non valicando i limiti dell’autodeterminazione della persona. Come dicevamo, uno Stato liberale è liberale anche se permette le cose più stupide (come bruciare il Corano) o dannose (come indossare il burqa).
Dopodiché, armiamoci e bagagli per cercare tutti insieme di convincere più donne possibile – e, è particolarmente importante, tutelarle e metterle nella condizione di poterlo fare – a dismettere quello stumento di oppressione.
Vietare il burqa o ponderare sulla gravita` del velinismo e` mancare il problema.
L’unica cosa sbagliata e moralmente inaccettabile e` che qualcuno/a venga costretto/a ad atti umilianti o lesivi. Bisognerebbe, piuttosto che vietare, rendere reale la possibilita` di *non* mettersi il velo integrale.
Significa riuscire ad educare alla liberta` d’espressione (perche` puo` esistere chi *vuole* mettersi il velo). Significa anche educare alla responsabilita` civile (perche` ci sono situazioni in cui *non* si deve mettere il velo). Significa riuscire a punire efficacemente chi obbliga, sia questo il marito, la madre o la comunita` in generale.
Sono d’accordo con Giovanni sul principio di non vietare, ma c’e` una motivazione ben piu` pragmatica per cercare l’altra via. Non solo risolveresti il vero problema dietro al burqa, che poi in un paese come la francia tiene banco per pura propaganda dato che coinvolge qualche centinaio di persone su decine di milioni di abitanti, ma risolveresti problemi altrettanto gravi di violenza domestica o di comunita`, i quali non avendo un nome o una causa precisa sfuggono all’attenzione pubblica, ma sono ben piu` diffusi.
Mah, in Francia su milioni di donne musulmane, è stato calcolato che il velo integrale riguardi qualche migliaio. Peraltro, se queste donne non denunciano ora le percosse e le altre violenze che tu attribuisci loro (di cui sei stato testimone, presumo), continueranno a non farlo anche quando, a causa della proibizione legale, non potranno proprio uscire di casa.
Secondo me, il velinismo e tutto il puttanesimo berlusconiano ci urtano di meno perché ci siamo abituati. Come ci scandalizza poco anche la scelta di farsi suora, che pure è ancora più nichilista e autolesionista che portare il burqa, se proprio vogliamo.
Però è un autolesionismo che la nostra cultura accetta, riconosce e addirittura stima… e soprattutto, non è islamico. La legge antiburqa è una legge programmaticamente razzista dal punto di vista etnico e culturale. Essa segna la fine della democrazia liberale come l’abbiamo conosciuta finora, con il consenso ingenuo dei progressisti e la gioia malvagia dei fanatici occidentalisti come Sarah Palin. Mala tempora currunt.
Lorenzo, mi sa che hai totalmetne mancato il punto perché io ho detto di essere contrario a questa legge.
Mi sa che devo fare un altro post in cui spiego come la penso, sul perché sia sbagliato, se non è chiaro.
Però ti rispondo:
Lorenzo L. Gallo scrive::
Mi sembra che tu abbia completamente bypassato le mie argomentazioni. Ho scritto perché una cosa è più grave dell’altra, se non sei d’accordo confutalo.
Dopodiché io vedo un’enormità di gente (giustamente)indignata per il velinismo di Berlusconi e pochissimissimi interessarsi alla condizione della donna nell’Islam.
Lorenzo L. Gallo scrive::
A me la scelta di farsi suora scandalizza moltissimo.
Ma il fatto che tu dica che è più nichilista del burqa, e della società che c’è dietro vuol dire che non hai la minima idea di ciò di cui stai parlando. In tutti i Paesi mussulmani dove c’è una rilevante minoranza cristiana (Egitto, Palestina, in parte Libano, Giordania) sono moltissime le donne che per essere più libere (sic) decidono di farsi suore. E stiamo parlando di persone cristiane, che non porterebbero neanche il chador, ma che così hanno almeno il diritto di uscire di casa non accompagnate.
Lorenzo L. Gallo scrive::
Lo sai che razzista dal punto di vista culturale è una contraddizione in termini? Si può essere razzisti solo dal punto di vista etnico, combattere contro un’ideologia o un’insieme di pensieri non è razzista, è etico.
@ Lorenzo L. Gallo:
Sai una cosa, Lorenzo? Ci sto ancora ripensando: trovo una cosa gigante il fatto che tu abbia detto che la suora vive in una condizione più autolesionista rispetto a una donna che indossa il burqa, e mi rendo sempre più conto che le persone non sanno davvero di cosa stiamo parlando – come del resto non sapevo io prima di interessarmene.
Una donna che indossa il burqa è una donna che viene da una società che la considera zero, che vorrebbe la distruzione di qualunque sua personalità . Non solo non può decidere con chi sposarsi, questo lo decide la famiglia, ma se prova a boiettare qualcosa può essere uccisa. Ammazzata. Spesso i matrimonî di queste donne vengono celebrati in fretta e furia, se c’è un fratello da sposare, perché la dote che il marito porta serve da dote al maschio della famiglia per sposare una donna, e comprarla a sua volta. Dopo che una donna è stata comprata dal proprio marito, non ha nessun diritto, nessuna scelta, le più fortunate possono girare per strada, le altre vengono rinchiuse in casa. Sono costrette a fare sesso con un uomo che, magari, non sopportano, e a subire delle vere e proprie violenze sessuali. Non possono lavorare, naturalmente, saranno comandate da qualunque figlio maschio che imporrà loro qualunque angheria, anche a undici anni.
Giovanni Fontana scrive::
quel che dici è tristemente vero.
riguardo alla questione “suore” vorrei far notare che la chiesa richiede castità anche ai colleghi maschi delle suore e cioé preti e monaci.
che poi la castità non venga rispettata da alcuni è vero, ma la “legge”, in quel caso, è uguale per tutti, uomini e donne.
Giovanni Fontana scrive::
pensa un po’.
sulla questione se sia giusto o no vietare il burqa per legge…
sarebbe una legge illiberale, è vero, le donne che lo portano sarebbero costrette in casa, è vero, il burqa è solo la punta dell’iceberg, sotto c’è una vita di soprusi e torture e angherie di ogni genere…tutto vero.
ho sentito alcune di queste donne dire che se la legge si farà pagheranno la multa e buonanotte.
ovviamente parlano da donne convinte già in tenera età e a furia di sure coraniche di essere strumento del demonio.
ma, non ricordo, il velo integrale è già stato messo fuorilegge da qualche parte in Europa?
e se si, con quali risultati concreti per le donne?
perché alla fine sono quelli che contano.
angia scrive::
No, se n’era parlato in Belgio dove l’iter della legge è stato interrotto da una crisi di governo che dura da mesi.
Giovanni Fontana scrive::
Su Repubblica uscì la notizia che, nonostante la crisi di governo, in Belgio – primo paese in Europa – fu approvato all’unanimità il divieto totale:
http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/29/news/belgio_vieta_velo-3714034/
Inoltre pare che anche per le prossime elezioni svedesi di domenica prossima sia stato proposto:
http://www.europa451.it/3/post/2010/08/elezioni-in-svezia-proposto-il-divieto-di-burqa-e-niqab-a-scuola.html
E mi pare che anche in Spagna se ne sia dibattuto, ma non so poi se abbia avuto un seguito concreto.
ila scrive::
Su Repubblica uscì la notizia che, nonostante la crisi di governo, in Belgio – primo paese in Europa – fu approvato all’unanimità il divieto totale:
http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/29/news/belgio_vieta_velo-3714034/
Errata: manca l’approvazione del Senato.
Giovanni quello che dici delle donne di minoranza cristiana che si fanno suore e` vero, ma non appiattire la questione solo sull’aspetto religioso.
C’e` un fortissimo gradiente in funzione della tua classe sociale e educazione. Ricordo abbastanza bene l’elite universitaria giordana, le donne erano in posti di responsabilita` e non portavano nemmeno un fazzolettino sui capelli.
Al di la della brutalita`, sicuramente piu` grave in un caso rispetto all’altro, sia il burqa che il farsi suora sono concezioni della donna come oggetto sottomessa a una figura maschile.
dasnake scrive::
Non c’è dubbio.
Ho letto anch’io la Innocenzi e mi trovi d’accordo sul fatto che, per come la butta giù lei, veline e burqa non c’entrano nulla.
Non so però se abbiamo le stesse ragioni.
Non credo ci siano questioni di impellenza nel senso che le ingiustizie, al mondo, sono tali e tante che farne una classifica può risultare controproducente: forse meglio affrontarle tutte (con la relativa fatica) senza porsi il problema di quale sia la più importante.
Rispetto al tuo “essenzialismo” per cui citi versetti del Corano e hadith so come la pensi, sai come la penso, e non credo ci sia bisogno di un ulteriore lunga polemica in proposito.
Non fa una piega il tuo discorso sul “benaltrismo”.
Quanto al pezzo della Innocenzi in sé avrei capito un discorso sul “corpo delle donne” in genere, una cosa del tipo “il dibattito sul divieto del burqa riaccende il mai risolto nodo…”. Insomma: se la cosa avesse rappresentato solo un richiamo generale e generico per affrontare un tema fondamentale per l’intera umanità : il dominio maschile – più o meno “sublimato” – sul corpo femminile.
Legare invece il discorso a una agenda italiana mi sembra stucchevole, inappropriato, in definitiva un po’ fazioso.
quando scrivi “c’è un dato evidente: conosco tante persone che non si (s)vestono come veline. Possono farlo. Nessuno le ammazza, le picchia a sangue, le persegue per legge, le costringe in casa (anzi, semmai succede l’opposto) per essersi vestite troppo.” sottolinei il fatto che la distinzione fondamentale tra veline e burqa è la coercizione. Ma credi sia la coercizione, o piuttosto il TIPO di coercizione? Se vogliamo essere cinici, dal punto di vista del valore, è peggio la fila di ragazzine che di loro spontanea volontà vogliono spogliarsi in tv, o la repressione fondamentalista? La repressione ancora presuppone che esista una libertà da soffocare; se la partecipazione invece è volontaria significa che la libertà è stata proprio dimenticata.. Se una ragazza rivendica il suo diritto ad essere velina Io vedo già una fase successiva alla repressione. Per il resto condivido tutto l’articolo..
Nicolò scrive::
Grazie per l’obiezione puntuale, in cui argomenti precisamente ciò che non condividi.
Nicolò scrive::
Ma noi non vogliamo essere cinici.
Nicolò scrive::
Il concetto che esprimi mi sembra un po’ oscuro, uno che la mia soglia di rigorosità argomentativa non mi permetterebbe di formulare. O, forse, semplicemente non ho capito.
A me sembra evidente in ogni angolo della società che, fra l’Italia e l’Afghanistan, il posto dove la libertà è dimenticata sia l’Afghanistan. Non capisco su quali basi si possa ribaltare questo assunto.
La differenza fra una coercizione e una non coercizione è la possibilità , proprio fisica, di fare una scelta che la maggioranza non condivide. Questa cosa non esiste in Afgnhanistan. Questa cosa esiste in Italia (come esempio di società “velinizzata”).
@ Giovanni Fontana:
cito qualcuno che si esprime meglio di me, visto che la parte succosa del discorso è rigorosamene oscura o non hai capito: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini. Esso è la società stessa, per come si presenta: lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine”.
La coercizione fisica fa parte di un’altra epoca, come la censura fa parte di un’altra epoca (epoca delle ideologie). Oggi succede semmai il contrario: ogni scelta ci è concessa a livello di spettacolo: si può scegliere che taglia di seno avere, che sesso avere, che età dimostrare, insomma puoi decidere il tuo lifestyle che più s’addice fin nei particolari, e se vai a Las Vegas puoi visitare tutti i più famosi monumenti dell’Europa e magari anche farti fotografare a fianco della sfinge (l’americano non vede differenza tra la Sfinge e la copia in cartongesso). E’ la libertà di scelta perfetta(?) Questo intendevo parlando di TIPO di coercizione: non fisica e privativa ma irreale ed eccessiva (Ovviamente entrambi i tipi sono detestabili, non sto facendo classifiche assiologiche).. Spero sia meno oscuro adesso..
Nicolò scrive::
No, mi sembra che, invece, tu ti esprima molto meglio. Questo passaggio, quantomeno senza un contesto, non lo capisco.
Nicolò scrive::
E menomale! No?
Io non sarei così sicuro, ma se lo fossi starei ballando per strada dalla felicità .
Dopodiché, al di là del passaggio un po’ razzista sugli americani, la sola idea la libertà possa essere considerata eccessiva (sic), dimostra che – come sostengono in tanti – il postmodernismo è semplicemente una nuova forma di conservatorismo.