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Cinquant’anni fa, oggi, Jurij Gagarin fu il primo uomo a viaggiare nello spazio e orbitare intorno alla Terra.
Oramai noi siamo abituati a pensare che andare nello spazio sia una cosa possibile, ma – se ci si pensa – il confine fra il cielo e tutto quello che c’è al di là era il più grande che la mente umana potesse immaginare.
Forse il limite più inviolabile, dopo quello fra la vita e la morte, le vere Colonne d’Ercole della conoscenza umana. Una volta arrivati nello spazio, c’era poco da dubitare: la Luna era lì a un passo (anzi, un piccolo passo per un uomo, eccetera). Eppure se pensiamo allo spazio, pensiamo all’Apollo non al Vostok (già, chi se lo ricordava il nome?).
Oltre a essere un ottimo personaggio per il gioco del personaggio misterioso (indovinare il mestiere di astronauta non è facilissimo, e di lui si dimenticano tutti), la sua vita – e quella missione – sono piene di aneddoti: questi li raccontai qualche tempo fa:
Gagarin, patente e libretto
«La Terra è blu, è stupenda», Yuri Gagarin la disse veramente questa frase quando divenne il primo uomo a orbitare intorno al nostro pianeta. Quell’altra, «non vedo nessun Dio quassù», gliela mise in bocca Krusciov, poi, anche se l’effetto retorico c’era.
Quella mattina lo svegliarono e gli dissero «ehi bello, oggi vai nello spazio». Chi non vorrebbe essere svegliato da una notizia del genere? Beh, non tutti, perché le possibilità che la missione andasse in porto erano cinquanta e cinquanta, e se fosse saltato fuori croce, come dicono nei western, l’astronauta c’avrebbe lasciato le penne.
Lyndon Johnson, che sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti di lì a poco, diceva che non bisogna mai rifiutare due cose: un invito a cena, e un’occasione per fare pipì.
Un consiglio che sarebbe servito anche a Gagarin, quella volta, perché il suo bisogno fece registrare il primo imprevisto in una missione così delicata: Gagarin si fermò, prima di raggiungere la sua capsula, per fare la pipì. Una sosta divenuta un rito, praticato ancora oggi da ciascun astronauta russo in partenza.
Così, a 27 anni, Yuri Gagarin diventò il primo uomo ad andare nello spazio, un’ora e mezzo di volo e un atterraggio non proprio previsto, in un campo, dove dovette convincere due contadini di non essere un nemico venuto dallo spazio. Ci si misero, poi, anche dei soldati, che non lo riconobbero e gli chiesero i documenti.
Alla fine ce la fece, Gagarin, ad avere il meritato tripudio, venne accoltò a Mosca come un paladino al quale furono tributati tutti gli onori, fra cui un pilota personale – Seregin – che doveva tutelare i voli dell’astronauta per garantirne l’incolumità e preservare così la vita dell’eroe nazionale.
L’ironia, o la cattiveria, della sorte raccontano che l’espediente non funzionò tanto bene perché fu proprio un volo pilotato da Seregin, sette anni più tardi, a schiantarsi al suolo mettendo fine alla vita propria e a quella di Gagarin.