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Quella che vedete qui sopra è la testata del primo blog che ho nel mio feedreader, quello di Francesco. È una vignetta che, come spesso capita ai Peanuts, raccoglie un nocciolo di verità. Quella di Lucy, naturalmente, è una battuta, ma è anche un concetto ben distinto che – secondo me – va tutelato in opposizione all’accordo immediato, irragionevole, che spesso concediamo alla banalità espressa da Charlie Brown. Quella di Lucy è una risposta che va a sfidare il montante luogo comune per il quale “come sarebbe noioso il mondo se tutti la pensassero allo stesso modo”.
Le persone che ripetono questa sciocchezza stanno suggerendo due cose: la prima è che la loro idea debba essere tutelata dalle critiche, in quanto ogni idea – anche la più sciocca o dannosa – contribuisce alla varietà del mondo. La seconda, direttamente conseguente da questa, è che la diversità sia un fine e non un mezzo.
Mentre l’inconsistenza del primo punto è abbastanza evidente – essere disposti a cambiare idea, a subire critiche, è la prima delle virtù – mi preme provare a disinnescare l’equivoco generato del secondo punto.
In realtà, io credo, la maggior parte di coloro che sostengono la diversità come fine – semplicemente – non ci hanno riflettuto. Nessuno è contento che esistano i neonazisti, nessuno è contento che esistano gli stupratori di bambini. Eppure quello è un bel surplus di diversità. Alcuni di noi, fra cui il sottoscritto, non sono neppure contenti che in Italia dieci milioni di persone abbiano idee leghiste, o che negli Stati Uniti ci sia una bella fetta di popolazione che crede al creazionismo. Eppure siamo, sono, del tutto contrari a vietare la professione delle idee, qualunque esse siano.
Questo perché la diversità, e la diversità delle idee, è un mezzo. Non un fine. Un mezzo per progredire, e lasciarci alle spalle idee stupide o dannose (che poi sono la stessa cosa). Siamo tutti contenti che, oggi come oggi, in pochi sostengano che la schiavitù è una bella cosa – in effetti la pensiamo tutti allo stesso modo. Siamo contenti che questo sia stato l’esito naturale di un dibattito di idee, in cui ogni idea era ammessa: ma un dibattito, appunto, in cui si è misurato il (diverso) valore di quelle idee, in cui si è cercato di limitare la varietà delle idee auspicabili. Detto in altre parole: di cercare di capire cos’è meglio per il prossimo, per il mondo.
E non c’è nessuna contraddizione nel riconoscere un valore speciale alla diversità come mezzo per progredire, ma rifiutandola come obiettivo del proprio agire: auspicando, cioè, che il maggior numero possibile di persone abbandoni alcune idee che consideriamo sbagliate. C’è una bella differenza fra il sostegno – per me assoluto – alla libertà d’espressione, e il sostegno a ogni espressione della propria libertà. Io posso difendere il tuo diritto a pensare che i negri sono inferiori, e al tempo stesso considerare questa un’idea disgustosa. La libertà di dire cose contro il pensiero comune, contro la maggioranza, merita una tutela particolare. Ma non bisogna, mai, dimenticarsi che la ragione di questo principio è una semplice: che potremmo avere torto. Non che non c’è chi ha ragione, anzi: che, proprio perché c’è, noi stessi potremmo cambiare idea di fronte a nuovi dati, nuovi ragionamenti, nuove idee.
Questo perché le idee sono cose che scegliamo con attenzione, spesso con fatica, talvolta alla fine di ragionamenti lunghi anni: non le otteniamo – o almeno non dovremmo – per caso, non le ereditiamo come l’etnia o il colore della pelle. Se abbiamo delle idee è perché le abbiamo valutate con cura, e misurate rispetto alle altre. Ed è evidente che le troviamo più persuasive rispetto a quelle. Altrimenti, semplicemente, cambieremmo idea!
Quindi sì, è bello – e sano – che un’intera gamma d’idee sia esprimibile, ma non è bello – né sano, per chi ne subisce le conseguenze – che le peggiori fra queste idee siano diffuse. È desiderabile rendere omaggio alla diversità d’idee nella ricerca di ciò ch’è giusto, ma non lo è celebrare il raggiungimento di diverse conclusioni. Perché la diversità è uno strumento, non il fine ultimo. Quello è che il mondo sia un posto migliore.