Un ritocchino

Chi dice che gli ebrei ortodossi siano rimasti al paleolitico? Sanno addirittura usare photoshop!

Visto che pensano non sia il caso riprodurre immagini di donne, per fortuna loro soltanto due nel nuovo governo israeliano, hanno pensato bene di espungerle dalla foto di gruppo:

MIDEAST ISRAEL MISSING WOMEN

Ieri il mio bastone s’è trasformato in un serpente

Ieri mi è capitato di discutere con amici di buona volontà che, a precisa questione, obiettavano che il problema non fosse l’Islam, ma le condizioni sociali, economiche, in cui noi (sarebbe l’Occidente) abbiamo condotto queste società.
Basta guardare al mondo, a come in Arabia Saudita (dove non ha mai messo piede un soldato occidentale – anzi, non esiste neanche il visto turistico!) le donne vivano certamente peggio che in Palestina, dove un’occupazione dura da 40 anni, per estinguere questo malinteso senso di colpa.

Ma io sono convinto che il problema sia anche più grosso, che ci sia un buonismo, una coazione alla sospensione del giudizio, un tarlo che erode la coscienza dei benintenzionati (e lo sento anche io mentre scrivo queste cose) nel criticare l’Islam. Perché non bisognerebbe. Perché loro, sono gli altri. E invece dovremmo smetterla di pensare che siano loro, e cominciare a pensare che la nazionalità è una convenzione, e che le persone che vivono in quelle società – donne, bambini, omosessuali – non siano antropologicamente diversi da noi, e che meritino gli stessi diritti che abbiamo “noi”.

Il problema è l’Islam. Se è vero che esistono tantissimi mussulmani moderati, e che questi siano la maggioranza, è vero che in una discussione di idee, fra un moderato e un fondamentalista, ha ragione il fondamentalista: perché i testi sacri, il Corano e gli Hadith, danno ragione ai fondamentalisti.

Nel Corano è scritto che gli atei vanno uccisi, che non si possono avere non mussulmani come amici. Tante persone in Palestina, nonostante ciò – spesso ignorandolo – mi sono amiche, lo sono veramente. Ma la strategia da imbonitori, quella di dire che – in fondo – l’Islam è una religione d’amore, è una strategia presuntuosa (perché non è vero, stiamo solo prendendo in giro il nostro interlocutore, dall’alto del nostro chissà cosa) e perdente, giacché nel momento in cui Said – mussulmano moderato, e gran brava persona – discute con l’amico salafita, quest’ultimo gli fa-un-mazzo-tanto: perché nel Corano c’è scritto quello che dice il salafita.

Questa grande strategia dell’inganno, non fa bene a Said.

E il problema è il nostro rispetto per le religioni, tutte. Nel momento in cui non rimarchiamo tutto il ridicolo che c’è nel credere che una donna ha partorito vergine, che un qualche Dio ha imposto di non mangiare il maiale o di circoncidersi, permettiamo una società peggiore, amante del buio, nemica della ragione. Qualunque cosa a cui conferiamo credibilità (proprio in senso letterale), solo in quanto parte di un sistema religioso, ma che non accetteremmo mai, come ragionamento pensato, al di fuori di quell’involucro rivestito di ingiudicabilità.

Ogni volta che incontriamo uno che crede che Maria fosse vergine, dobbiamo rapportarci come a uno che creda che Tarquinio il Superbo avesse l’utero: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che crede che Dio gli abbia imposto di non mangiare maiale dobbiamo rapportarci come a uno che non mangi le mele cotogne, non perché non gli piacciano ma perché gliel’ha detto Harry Potter: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che taglia una parte del pene di suo figlio, da bambino, dobbiamo rapportarci come a uno che taglia il lobo dell’orecchio al figlio neonato: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?

Senza sé

In questa bella intervista ad Adriano Sofri sull’Unità, nel riportare le parole, qualcuno ha trascritto un lapsus molto bello: i pacifisti senza sé e senza ma. Senza ma, e senza sé. Come se quando si perdono i dubbi, e i congiuntivi, si perdesse la pienezza della propria personalità, di sé.

Habemus Vatem

Son seimila anni che aspettano un profeta, e ora l’hanno trovato:

Un documentario della TV iraniana spiega che la diffusione dei film di Hollywood è parte integrante del complotto sionista. In particolare Harry Potter viene propagandato dagli ebrei per una ragione molto chiara: lo considerano il loro profeta.

Sennò che liberale sei?

Spesso mi picco di essere molto bravo a individuare tutte le contraddizioni, e tutto il portato strutturato dietro a ragionamenti apparentemente innocui: specie per quanto riguarda il maschilismo, ma anche su altri concetti a me cari, come l’egoismo del dire «non voglio giudicare quella persona» o l’inane illogicità del pensare che «due cose possono essere diverse, né rispettivamente peggiori, né migliori né uguali».

Il preambolo è lungo, il concetto è che c’è sempre uno più bravo di te:

“Provo a ragionare da un punto di vista laico e liberale – scrive Antonio Polito (il Riformista, 27.2.2009) – cioè a valutare che cosa sia meglio per la comunità, e non che cosa corrisponda di più ai miei convincimenti personali”. Un aborto fin da quest’incipit, questo editoriale, perché “un punto di vista laico e liberale” non contempla alcuna contraddizione tra “convincimenti personali” e “cosa sia meglio per la comunità”.

È verissimo, ovvio direi, ma il possidente qui non c’aveva pensato. Come direbbe quello: « mo’ me lo segno».

Bignami sulle elezioni in Israele

Domani si vota, chi vuole buone notizie può smettere di leggere qui.

Si vota con un proporzionale duro e puro, alleanze formate dopo, e sbarramento al 2 %. A spoglio avvenuto, il presidente Shimon Peres darà mandato al leader di maggioranza relativa – e quindi, a meno di colpi di teatro, futuro primo ministro – di formare una coalizione che superi i 60 seggi entro un mese (che può diventare un mese e mezzo).

Quindi, non soltanto ci sono una miriade di partitini che sperano di raggiungere lo sbarramento (come il Nostro), ma come consueto in Israele ci sono un sacco di partiti medio-piccoli – ma sicuramente sopra al quorum – che si spartiscono percentuali relativamente basse. Per dire, nelle elezioni del 2006 soltanto due partiti – quelli che poi guidarono il governo – ricevettero più di 300.000 voti, Kadima e Labour.

I leader di questi due partiti, e quindi candidati presidente, sono i principali autori della guerra a Gaza, rispettivamente il primo ministro designato Tzipi Livni (Kadima) e il ministro della difesa Ehud Barak (Labour). Se vi aspettereste che questi siano i partiti più di destra, rimarrete delusi: dei primi cinque partiti sono i più a sinistra, che qui significa i più pacifisti. L’altra brutta notizia è che sono rispettivamente secondo e quarto nei sondaggi.

Fino a un mese fa sembrava certa la vittoria del redivivo Benjamin Netanyahu che, convinto che il suo passato (e presente) di falco gli coprisse le spalle sul campo della sicurezza, ha impostato una campagna elettorale fondata principalmente sull’economia – è più o meno universalmente riconosciuto, anche dai suoi nemici, che sia stato un ottimo ministro dell’economia. Netanyahu sembra però avere fatto male i conti (!), perché ultimamente il suo vantaggio nei confronti di Kadima si è assottigliato enormemente, e gli ultimi sondaggi pubblicati dànno Kadima a soli due punti dal Likud. Se questa sembra una buona notizia, preparatevi a essere delusi anche qui: l’ultima emorragìa di voti del Likud pare essere stata a favore dell’estrema destra di Yisrael Beiteinu, un partito che quattro anni fa non conosceva nessuno.

Storicamente votato soltanto dagli immigrati russi, e con una collocazione politica un po’ strana – pur essendo chiaramente più a destra del Likud, ha fatto parte per un breve periodo dell’ultimo governo, salvo poi uscirne quando sono stati intavolati gli ennesimi trattati di pace con l’ANP – sembra essere solidamente la terza forza, con il Labour di Barak quarto e al minimo storico. Il leader del partito, Avigdor Lieberman, una specie di Santanché israeliano, ma maschio e con un passato da buttafuori di discoteche, è sembrato affermarsi come nuovo campione dell’ultra destra israeliana, con una campagna elettorale che aggressiva è dir poco: la cosa che ha fatto più notizia è stata la proposta di togliere la cittadinanza israeliana agli arabi-israeliani che non giurino fedeltà allo Stato. Tutti dicono che sarà lui l’ago della bilancia.

Meritano una citazione lo Shas, il partito degli ultra-religiosi, che propone politiche particolari sullo stato sociale e la famiglia (un po’ come le destre sociali in Europa), ma che per quel che riguarda il conflitto è su posizioni fra l’estrema destra e il razzismo deliberato. Dall’altra parte dello schieramento politico, Meretz, che è sempre stato il partito dei pacifisti e promotore di iniziative come quelle di Ginevra, ha dato il proprio silenzio assenso all’intervento a Gaza, e soltanto ora muove minute critiche sulla condotta di guerra: come dice l’articolo citato sotto, la ragione d’esistere di un partito come questo è l’assunzione di posizioni ferme e coraggiose. In assenza di ciò perché un elettore non dovrebbe votare Labour?

Infine la parte araba. Di solito le percentuali d’affluenza degli arabi-israeliani sono molto basse: si può sperare che un’alta affluenza cambi qualcosa? No, anche qui. Non solo le posizioni dei partiti arabi sono spesso talmente poco concilianti da non permettere una qualunque trattativa, ma sulle questioni civili – come i diritti delle donne e degli omosessuali – hanno posizioni molto più affini a quelle della destra religiosa che a quelle della sinistra pacifista. Per la stessa ragione è molto difficile immaginare un grande numero di arabi che votino a sinistra.

Intanto il ministro degli esteri palestinese ha detto che Hamas sta continuando a lanciare razzi su Israele per cercare di impedire la vittoria di un partito che promuova dei colloqui i pace: ha ragione, ma tutto fa pensare che domani – con o senza il contributo di Hamas – la pace sarà più lontana.

Qualche link (in inglese) per approfondire:

Ritratto di Liberman (Times)
Le reazioni di Fatah e Hamas (Ha’aretz)
Analisi preelettorale (Jazeera)
Che senso ha votare Meretz? (Ha’aretz)
Concisa panoramica sui quattro candidati (Telegraph)

Dove seguire la diretta di domani e dopodomani