Il nemico del mio nemico – un post sconclusionato – Diario dalla Palestina 85
Qualche tempo fa si faceva la considerazione che effettivamente il passaporto italiano, è uno dei migliori passaporti al mondo: certo, se hai quello americano e ti rapiscono in Camerun arrivano i marines, e l’Italia in geopolitica conta come il fattore campo quando si gioca a porte chiuse. Ma non parlo di questo, dico di come gli italiani siano amati un po’ da tutti.
In un conflitto come questo, dove inevitabilmente qualsiasi cosa – persino il colore con cui ti vesti o il bere Pepsi piuttosto che Coca Cola – ha un significato politico, e ogni atteggiamento viene schiacciato sulla tavolozza di uno dei due schieramenti, la nazionalità è una delle prime componenti passate al vaglio, per dire: questo da che parte sta?. È una sinuoso orizzonte d’attesa che inevitabilmente condiziona. Qualunque cosa tu faccia sarà scansionata, e – inevitabilmente – avrai sempre la percezione che c’è qualcosa per cui sentirti in colpa. È chiaro che essere ebreo in Palestina è l’estremo da un lato, e essere arabo in Israele lo è dall’altro (anche se molto meno, se non altro per ragioni quantitative), ma in mezzo – in questo spettro – ci sono mille nazionalità. Un americano, ma anche un inglese, in Palestina è in qualche modo “colpevole”. Così come un francese è considerato, comunque sia, una propaggine di un stato (storicamente) amico dei propri nemici, da un soldato israeliano ai check-point.
Tutto questo non è così chiaro, ovviamente, questi pensieri non sono espressi alla luce del sole, ma sono malesseri sottotraccia che stando una settimana non si notano. Poi via via, vivendo lì, inizi a capire dove comincino le chiavi di questi codici. O almeno, così è come li percepisco io. Mi hanno rimproverato di non parlare mai, nel Diario, di come mi senta io, personalmente: ecco, questa è una cosa che mi fa sentire sempre in tensione. Coi muscoli tirati. Se faccio questo vuoldire che sono filo-palestinese? Se faccio questo vuoldire che sono filo-israeliano?
Ed è forse l’inevitabile sterilizzazione indotta da questo riflesso condizionato a rendermi insofferente per chi fa propri (o meglio, si fa fare proprio da) questi schematismi: qualificarsi come stante da una parte, agire secondo tale canone, significa esserne connivente e riprodurlo – il canone.
Per fortuna, come dicevo, l’essere italiano non connota in questo senso: è un po’ come se la nostra nazionalità non passasse sotto a quella pedante e rognosa lente d’ingrandimento sotto alla quale passa qualunque cosa in Israele e Palestina. Gli italiani – bravagente – non hanno bisogno di essere nemici dei propri nemici per essere amici, sembra. Siamo amici di tutti?
Domani vi racconto qualche episodio.
Ricordo un episodio che ho letto in Comma 22 di Heller, romanzo ambientato nella seconda guerra mondiale in Italia.
Un vecchio italiano spiegava ai soldati che, comunque vada, l’Italia vincerà la guerra. Forse la perderà sul piano militare, ma gli italiani vincono sempre le guerre, perché a seconda di chi vince, cambiano immediatamente colore. Vincono gli americani? Loro sono grandi amici degli americani! Vincono i tedeschi? Loro sono alleati dei tedeschi!
Credo avesse davvero ragione 🙂
Non vedo l’ora, davvero.
son d’accordo con nientepanico.
mah, non sono d’accordo.
qui per esempio(a buenos aires) quando dico che vivo a Roma a qualcuno appena conosciuto, i miei parenti si affrettano ad aggiungere che sono francese.
i francesi hanno tanti nemici,ma vuoi mettere essere presa per una dei “tanos”?
sarà una cosa tipo i romani o gli spagnoli che dovrebbero fa’ simpatia in quanto caciaroni?
Cosa ti piace mangiare in Palestina? Vieni a dirlo nel mio blog, post sull’hummus