Mi ritorni in mente

Ce ne fosse uno, di quelli che non vogliono Blair all’UE, che porti un motivo giusto per non volerlo lì.
Io, da amante deluso – quasi per reazione –  ho un ritorno di fiamma.

Poi, metti caso che, hai voglia a banner:

Fratelli Europei: Invadeteci

4 Replies to “Mi ritorni in mente”

  1. Il mio motivo per cui non essere entusiasta? Le sue dichiarazioni di recente sui non credenti, vedi qui:

    http://www.giornalettismo.com/archives/39388/nel-dialogo-interreligioso-di-blair-non-ce-posto-per-i-laici/

    Approccio che non mi sembra molto illuminato, tra l’altro, per una persona che è andata a occuparsi dei conflitti in medio oriente.

    Poi mi rendo conto che per molti versi sia una buona se non ottima scelta, ma da qui a essere entusiasta di Blair ce ne passa (e non dimentichiamo la faccenduola della guerra in Iraq).

  2. Se lo scopo è dargli qualcosa di più fattoso da fare, credo che valga la ricetta Hilary: Mrs. Clinton se la sta cavando meglio come Segretario agli Esteri di quanto non avrebbe probabilmente fatto da Presidentessa (basta confrontare i differenti risultati sull’health-care reform, per dire). Non mi piace quello che potrebbe combinare come Presidente, considerate anche le mire della Chiesa sulle “radici cristiane” nella Costituzione; o il suo track record sulle faith schools.

    Non è solo questo il motivo per carità. Per tornare alla guerra in Iraq: buone argomentazioni le tue, ma come ha scritto il tuo ultimo commentatore (in forma piuttosto rozza purtroppo) penso ci fossero metodi migliori per promuovere la democrazia da quelle parti. Voglio dire, la guerra in Iraq è una forte responsabile della bancarotta degli USA, e del loro ridottissimo margine di manovra in ambito internazionale al momento. Basta vedere quanto siano ridotti male in Afghanistan e quante poche opzioni abbiano da quelle parti al momento. E questo avrebbero dovuto considerarlo. La guerra poi è stata condotta male, IMHO, anche in base alle prospettive strategiche: io contesto agli americani che abbiano fatto una guerra per motivi truffaldini (le WMD), economici (petrolio) e di sicurezza paranoica (terroristi – il che ha condotto alle torture) perché questi obiettivi strategici hanno avuto per troppo tempo la priorità per i generali e soprattutto i politici. La guerra è stata condotta male anche perché c’erano queste priorità piuttosto che salvare i cittadini in prima battuta, e perché gli USA si sono messi al di fuori della legge internazionale.

    Aggiungiamoci che la bancarotta e lo sforzo militare in Iraq hanno posto limiti molto gravi all’azione degli USA in Afghanistan, con la complicazione però che i vicini lì sono stati dotati di armi nucleari. L’aver perso la concentrazione per occuparsi dell’Iraq significa essersi messi nelle condizioni di lasciare nel caos quell’altro quadrante, che vedo molto più critico da un punto di vista della sicurezza globale (e anche delle vite umane, se scoppia una guerra da quelle parti non ci sarà tanto da ridere). Limiti che si fanno poi sentire su tutto lo scacchiere: gli USA non hanno praticamente più margine per interventi militari, al momento, e anche da un punto di vista diplomatico stanno impiengando tempo a ricostruire la rete di alleanze che Bush e Cheney hanno smantellato con le loro politiche dissennate.

    Rimango quindi dell’opinione che avevo nel 2003: la guerra contro l’Iraq è stato un errore, e bello grosso, e non l’unico da quel punto di vista.

    Ora, Blair non è tanto responsabile quanto Bush e Cheney per quel mezzo disastro (sapremo se lo è o meno solo se fra un paio d’anni l’Iraq e l’Afghanistan non saranno caduti nel caos), però ne ha condiviso le scelte strategiche, e questo va considerato. Per il resto del suo mandato non mi pronuncio: lo conosco troppo poco.

    Poi, sembra la migliore scelta sul tavolo, anche perché conosco troppo poco la politica europea per poter conoscere molti altri papabili non ancora in posizione di spicco. Ma da qui ad esserne entusiasta, di nuovo, ce ne vuole 🙂

  3. L’articolo che segue è del 2005. Prima della crisi. Prima della bocciatura della Costituzione Europea. Ora, si possono condividere o meno le idee espresse, ma di certo l’uomo vide lungo. Assai.

    Tony Blair

    La stampa britannica già saluta Blair come il nuovo Wellington: quello
    Sconfisse a Waterloo il cattivo francese Napoleone, questo il cattivo Chirac. Ed è
    Solo l’inizio. Non solo Tony Blair, il laburista più amato dal grande capitale,
    terrà la presidenza UE dal 1 luglio fino a fine 2005.
    Dal 6 luglio ospiterà in Scozia la mega-riunione dei G8: dunque concentrerà
    nelle sue mani tutte le leve di potere internazionale e globale, i poteri
    d’arbitrato (e d’arbitrio), il prestigio e la visibilità mondiale per
    attuare la “riforma competitiva” della UE dettatagli dai poteri forti.

    In breve: ampliamento senza freni dell’Europa, per ammettervi nazioni il cui
    costo del lavoro risibile faccia concorrenza, e spinga al ribasso i salari
    dell’Europa occidentale e ricca.
    Riproposizione della “riforma dei servizi” di Balkenende, quella che metterà
    In concorrenza coi più economici servitori polacchi, turchi e rumeni i costosi
    “fornitori di servizi” europei (triste constatazione: ormai la “fornitura di
    servizi” costituisce il 70% dell’economia europea, non più la produzione
    industriale di beni). Smantellamento delle spese sociali, dei sussidi
    all’agricoltura, di ogni residua protezione dell’umanità del lavoro.
    Deregulation estrema.

    Con un solo scopo: “raddrizzare l’Europa”, tramutarla in un ambiente più
    favorevole alla grande speculazione.

    Il capitale speculativo ha urgente bisogno del salvataggio di Blair.
    Il 10 maggio scorso un crack sui derivati – enorme ma incalcolabile, perché
    sulla vicenda è calato il segreto – ha messo in ginocchio il sistema
    bancario,
    risucchiato immense liquidità, infartuato il credito, insomma rischiato di
    bloccare la giostra del “luna park” finanziario mondiale.
    Spaventato da questo disastro, Gerard Schroeder presenterà al G8 la proposta di una severa regolamentazione degli
    hedge funds, i “fondi di copertura” speculativi, grandi e oscuri manipolatori
    della finanza derivata, le cui avventure fuggono oggi ad ogni controllo e
    valutazione.

    Una messa sotto controllo globale, che raggiunga e disciplini gli
    Speculatori anche nei paradisi fiscali.

    Il primo incarico di Blair è dunque quello di vanificare la proposta di Schroeder, nel nome sacro del “mercato”.
    Si conta sulla probabilità che il cancelliere socialdemocratico perda la
    poltrona a settembre; è indicativo che Blair, in una recente visita a
    Berlino, abbia visto, “prima” di Schroeder, la democristiana Angela Merkel, la
    Vincitrice quasi certa delle imminenti elezioni e ritenuta, in quanto nullità politica,
    più amica del business finanziario.

    Un brutale sgarbo istituzionale, anticipazione delle brutalità liberiste
    imminenti.

    Quanto a Chirac, i grandi media del grande capitale già ne cantano il necrologio: il vecchio europeista massone, l’oppositore delle “radici
    cristiane”, privo di idee per una riscossa, è stato scaricato.
    L’asse franco-tedesco, così inviso a Bush e ai suoi neocon, è dichiarato
    defunto.
    E’ crollato l’ultimo ostacolo al progetto ultraliberista di saccheggio,
    proprio del capitalismo terminale.
    La scelta del capitale speculativo è caduta su Nicholas
    Sarkozy, il gollista che ha ricevuto l’incarico di scavare la fossa a Chirac
    e – se possibile – provocarne le dimissioni anticipate, prima della scadenza del
    mandato nel 2007.
    E’ aperta la strada, dice l’americano Herald Tribune (1), per fabbricare
    all’Europa “un nuovo motore” con “Gran Bretagna, Polonia e Italia” (sic) al
    centro, e con “Francia e Germania” in subordine, obbedienti.
    Come si vede, è la “nuova Europa” di Rumsfeld, quella che è in Irak sotto il
    comando Usa,e che si prepara a guidare il disgraziato continente.

    Blair è re d’Europa.
    Non ha nemici.
    Il continente sarà il paradiso dei derivati, a cui deve la sua rovina.
    Alla fine del semestre di Blair, la società europea sarà più “americana”:
    ossia, come gli Stati Uniti, affollata di gente con due o tre lavori per arrivare
    alla fine del mese, di working poors in calo di potere d’acquisto; troppo
    assillati dal problema quotidiano di sbarcare il lunario per voler praticare la
    democrazia, senza tempo libero per associarsi, difendere i propri diritti,
    ascoltare proposte alternative al “pensiero unico” globale.

    Urge la nuova lotta di classe, la lotta dei precari contro i garantiti,
    l’espulsione violenta delle burocrazie miliardarie.
    Ma non è alle viste un leader europeo capace di guidare l’unica, vera,
    necessaria rivoluzione.

    Note

    1) John Vinocur, “With eyes on ghim, will Blair take EU lead?”,
    International
    Herald Tribune, 21 giugno 2005.
    2) Doreen Carvajal, “E new pay plan (end perks) for EU legislators”, Herald
    Tribune, 22 giugno 2005.

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