Gli yazidi

Nel campo ci sono persone che vengono dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan. Le etnie nelle quali si identificano sono però le più disparate: arabi, palestinesi (che sarebbero arabi, ma qui sono un gruppo distinto), curdi, yazidi.

Gli arabi siriani sono i più influenti qui: un po’ perché parlano l’arabo, che è l’inglese del Medio Oriente, un po’ perché sono di più. Principalmente perché sono più ricchi. Così hanno le tende migliori, quelle più vicine ai punti di distribuzione di ogni cosa, e sono riusciti a costruirsi un ambiente relativamente abitabile.

All’altro capo dello spettro – e del campo – ci sono gli yazidi, lontani da tutto, sprovvisti di ogni comodità, molti dei quali parlano soltanto un dialetto curdo. C’è solo una cosa che è più vicina alle tende in fondo, e cioè agli yazidi, rispetto a quelle davanti: il campo dove organizzo i giochi tutti i pomeriggi.

È un fatto al quale tengo molto, proprio per questa forma di isolamento interno che vivono le comunità più povere. Così, io che pensavo di rafforzare il mio carentissimo arabo mi sto ritrovando a imparare qualche parola di curdo: per ora so contare fino a dieci, dire quando è fallo, “fuori”, “basta”, “piano”, “ai più piccoli” (si vede qual è la mia fonte di nozioni, eh?).

WP_20160419_17_53_04_Pro

Lui è Mahir, è uno yazidi iracheno ed è una delle persone con le quali ho più legato qui. Il primo paio di giorni era un ragazzo come gli altri che vuole stare con i grandi e farsi i fatti proprî, poi ha capito che può darmi una mano con i bambini e si è trasformato in una risorsa, umana – è il caso di dirlo – molto preziosa. Certo, senza parlare una lingua in comune è dura: ma è riuscito comunque a raccontarmi un po’ della sua comunità. Mi ha detto che nel campo di Katsika ci sono 249 yazidi che vengono da Sinjar, o Shingal come la chiamano loro.

Sono tutte persone che sono scappate sulle montagne all’arrivo dell’Isis e, più fortunate di altre, sono riuscite a scampare al massacro. Quando parlavo con lui di questo è arrivato anche un signore più anziano che, sempre a poco più che gesti e con le pochissime parole in arabo che condividiamo, mi ha raccontato di come l’intervento sia stato tardivo, di quanti bambini siano semplicemente morti di sete, di come gli elicotteri che lanciavano viveri siano stati pochi e in ritardo.

Ripensavo a quando l’estate scorsa sentivo le notizie dell’assedio di Sinjar, degli yazidi fuggiti nelle montagne, e di come mai mi sarei aspettato di incontrarne uno di persona, tanto meno di giocare tutti i giorni assieme a quei bambini. È una banalità, ma è vero, le notizie che si leggono superano quell’endemico velo di distacco psicologico e assumono un altro potere evocativo se, in qualche modo, incrociano la tua storia vissuta.

5 Replies to “Gli yazidi”

  1. un abbraccio da nonna a tutti i bambini del campo e uno grande a Mahir
    Fate tanti bei goals mi raccomando !

  2. volevo farti sapere che, nel silenzio, ti leggo e condivido i tuoi post sulla mia bacheca facebook. Probabilmente siamo in tanti che facciamo così. E quindi siamo forse in tanti…ciao

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *