Perché sono molestie anche quelle che non sono molestie

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Quando è uscito il video dei commenti ricevuti da una ragazza che va in giro a New York mi sono ripromesso di non leggere nulla nulla nulla delle reazioni online. Era ovvio che la reazione sarebbe stata disarmante, e in un modo particolarmente avvilente: divisa per sesso. Era ovvio che sarebbe arrivato qualcuno a dire «magari lo ricevessi io quel trattamento», e che quel qualcuno sarebbe stato indiscutibilmente uomo. Per me, che non sopporto il settarismo di una parte del movimento femminista, e che professo sempre le battaglie contro sessismo e maschilismo come battaglie comuni è la cosa più deprimente che si possa leggere.

Il video, raccolto in 10 ore, segue il tema di altri video. Questo, francese, che prova a raccontare un mondo al contrario. O questo, fatto al Cairo, la città al mondo dove il problema del sexual harassment è più pervasivo, dove una ragazza riceve gli stessi comportamenti in 2 minuti continuativi, senza alcun montaggio o selezione. Un altro è questo, sempre in Egitto, in cui un uomo si veste da donna e registra le reazioni ricevute. Naturalmente c’è un’enorme differenza fra ciò che succede al Cairo e ciò che succede a New York, ma il fenomeno è lo stesso. Nel primo caso è semplicemente più accettato, quindi più diffuso, e il problema è proprio questo. Il problema è esattamente la percezione che un maschio che adotta un comportamento simile ha di sé stesso, e quale pensa che sia quello che la società avrà di lui.

Una delle obiezioni al video su New York è stata che nel video si riconoscono quasi solo neri o immigrati che fanno commenti o inviti alla ragazza che cammina: è un’obiezione benintenzionata, e si capisce la volontà di prevenire il razzismo. Però qualunque ragazza che abiti in una grande città europea (come Parigi o Londra), dove ci sono immigrati di diverse generazioni e “ghetti” dove si ricreano dinamiche delle società di origine, sa quanto il fenomeno sia enormemente più diffuso in queste comunità e quanto il proprio orizzonte d’attesa debba essere diverso se si va in giro in alcuni di quei quartieri. Il motivo è semplice: più ci si avvicina a una società patriarcale e maschilista, più questi comportamenti sono diffusi. Non è bello da riconoscere, ma è un concetto fondamentale per mostrare a chi adotta o difende questi comportamenti con un “magari lo facessero a me” sia precisamente collocato nel tempo, in una società in cui nessuno vuole vivere.

L'attore in questa foto è un uomo
L'attore in questa foto è un uomo

Intendiamoci bene: non c’è nulla di male nel proporre a qualcuno di fare sesso, anche a una persona sconosciuta. In un mondo ideale questa sarebbe una proposta che si può accettare o rifiutare con serenità, come il fruttivendolo che ti offre le pesche noce in offerta. Il problema è che noi uomini non abbiamo idea, davvero non-abbiamo-idea, di quale sia la condizione psicologica in cui questo tipo di atteggiamenti costringe una donna. Non abbiamo idea, come uomini, semplicemente perché la nostra vita non include precauzioni per non essere stuprati. Ovviamente prendiamo precauzioni, che prendono anche le donne, per non subire violenze, furti, ingiustizie: ma non c’è alcun comportamento che modifichiamo su base quotidiana per prevenire una violenza sessuale (la battuta cinica è: la precauzione che prendiamo è non finire in carcere!). Tutte le donne, tutte, modificano la propria vita per non essere stuprate, adottando una serie di comportamenti sconosciuti a noi uomini: scegliere sempre strade ben illuminate, tenere sempre in mano le chiavi come potenziale arma, non parcheggiare nel garage, controllare sempre che non ci sia qualcuno sul sedile posteriore della macchina, avere una voce maschile come segreteria telefonica, non lasciare la propria bevanda incustodita, non incrociare lo sguardo con uomini, etc.

È una parte di mondo che agli uomini è completamente sconosciuta semplicemente perché non ne hanno esperienza e perché spesso le donne stesse sono imbarazzate a parlarne. Ora la domanda fondamentale: cosa c’entrano questi comportamenti – un «ehi bella, facciamo due passi?» che non è neanche una molestia, o un’insistenza su «dài, dammi il tuo numero» che comprende un breve inseguimento dopo il primo no – con la violenza sessuale? In teoria niente. In una società perfetta, comportamenti simili – che spesso sono fatti per accreditarsi agli occhi del proprio gruppo di amici – sparirebbero con una risposta ben assestata della donna, che annullerebbe istantaneamente i due incentivi che li muovono. Chi fa di questi commenti li fa perché pensa di avere un “premio” dalla parte di società che lo guarda (chi fa l’apprezzamento più osceno è “fico”), e di riaffermazione del proprio potere psicologico sull’altro: “io ho il diritto di fissarti, e dovrai essere tu ad abbozzare”.

Stare
7 min molto divertenti di Mike Birbiglia sulla differenza fra chi fissa una bella ragazza e chi no

In pratica, invece, ogni apprezzamento per strada è una potenziale minaccia di stupro. Mi rendo conto di quanto questa frase sembri esagerata, perché è ovvio che 99 volte su 100 non lo è. Il problema è che ogni ragazza è educata a scongiurare quella piccola possibilità restante con la deferenza, con la subalternità. Ogni ragazza viene educata a non farsi notare, a tenere un profilo basso, a non rispondere mai – MAI – a un apprezzamento per strada, per la dinamica che potrebbe venire a crearsi: “sfidare” un maschio è la dinamica più rischiosa che ci sia, qualunque cosa un maschio generico possa concepire come sfidare. Viene educata a non essere “troppo” svestita, a non apparire “troppo” bella, a rendersi il più possibile anonima (non è un caso che, per mostrare il proprio punto, coloro che hanno girato il video hanno scelto una ragazza non troppo “appariscente”, né particolarmente bella, né particolarmente vestita/svestita, etc). Viene educata alla subalternità, alla prassi che quel tipo di apprezzamenti sono una red flag alla quale si può rispondere solo sottomettendosi a quella mentalità, se non si vuole rischiare. E intendiamoci: insegnare questo concetto a una ragazza non vuol dire sostenere che se indossa una minigonna e viene stuprata è colpa sua, vuol dire insegnarle che se va in giro in minigonna ci sono più possibilità che venga stuprata, e questo è tristemente vero. Nei fatti, il ragazzetto che pensa di riaffermare il proprio ruolo e potere su una ragazza fissandola o facendole un commentaccio ha ragione: sta precisamente ottenendo l’instaurarsi di quella dinamica, attraverso la minaccia della propria forza fisica.