1 su 5
Nella partita fra Argentina e Svizzera è successo questo.
Il giocatore che fa quel doppio errore, quello che poteva portare la Svizzera ai quarti di finale dopo sessant’anni, si chiama Blerim Dzemaili. È un giocatore piuttosto bravo per il livello della Svizzera, però è costantemente un panchinaro – ha giocato 54 minuti su 390 – perché i due giocatori titolari nel suo ruolo, Behrami e Inler, sono un poco più bravi di lui. Tutti e tre sono svizzeri d’adozione (Dzemaili e Behrami sono proprio nati in ex Jugoslavia, Inler ha giocato con l’under 21 della Turchia), e tutti e tre giocano nel Napoli, dove è da un paio d’anni che a Dzemaili capita la stessa cosa, quella di essere un poco meno forte dei due titolari. Delle volte mi domando cosa pensi, di quegli altri due, che si ritrova a fargli da tappo sia nel club che in nazionale: saranno amici, di certo, ma se li sogna la notte che gli rubano anche gli amici, la fidanzata o il posto a sedere in autobus?
Nonostante, poi, Dzemaili sia un poco più tecnico e offensivo degli altri due – anzi, proprio per questo – e visto che quelle due posizioni al centro del campo sono occupate, gli è capitato più di una volta di essere il giocatore che entra in campo al posto del numero 10 per difendere un risultato, di essere il cambio con il quale l’allenatore dice alla squadra «va bene, ora ci difendiamo»: ed è una morte un po’ peggiore.
Nella partita con l’Argentina è successo precisamente questo: Dzemaili non ha giocato per 113 minuti. Poi l’allenatore ha deciso di togliere Mehmedi, un trequartista, e mettere lui, per difendere quello 0-0 che la Svizzera si era arresa a sperare: in teoria un poco più avanti di Behrami e Inler, in pratica a correre per tutto il campo, in qualità di giocatore con più energie di tutti. La heat map qui sopra, per chi è un po’ familiare, è assurda nell’essere così diffusa e maculata. In effetti vuol dire tre cose: prima di tutto che ha giocato molto poco, in un momento di gioco molto spezzettato (calci di punizione, calci d’angolo, mischioni, contropiedi), e che non ha avuto una vera posizione in campo nella frenesia di quegli ultimi minuti.
Solamente che a metà di quegli esatti dieci minuti giocati da Dzemaili segna l’Argentina e la ragion d’essere della sua entrata in campo va in fumo. Rimangono due minuti di gioco, più un po’ di recupero. Al terzo minuto di recupero, il 123° – un minuto che avrò visto giocare in tre partite in vita mia – c’è uno di quei cross con tutti in mezzo, anche il portiere, a cercare di buttarla dentro e Dzemaili fa quella cosa lì.
C’è questo momento, in cui Dzemaili ha già colpito di testa, da solo, e ha preso il palo. Non è un brutto colpo di testa, ma ci è proprio andato con il furore turbolento del “o la va o la spacca”. E invece né va né spacca, il pallone prende il palo ed è in quel momento che realizza – la direzione dello sguardo – che ha la possibilità di riprovarci, ma tutto l’impeto che ha messo nel primo colpo di testa l’ha portato a incespicare, sta già inciampando. Ed è così, con le gambe che si sono incrociate da sole, che colpisce la palla nel modo più goffo per un calciatore, di ginocchio, e la palla va fuori.
Ecco, io tutto questo l’ho scritto perché quell’espressione – o la va o la spacca – mi sta proprio antipatica, e mi sono reso conto che ogni volta che leggerò qualcuno scrivere sciocchezze come “mica possiamo stare sempre lì a ragionare su tutto quello che facciamo” penserò al povero Dzemaili, che non sapeva di avere una seconda possibilità, e non ne avrà una terza.
D’accordo sulla (non) posizione in campo di Dzemaili, sulla sindrome da eterna riserva e sul cambio che perde significato dopo due minuti, ma non sull’azione specifica.
Se guardi bene, lui si butta dentro a fari spenti, magari proprio sperando in una ribattuta: non salta per prendere il cross, che viene mancato da quelli che saltano in mezzo all’area e arriva dalle sue parti; a quel punto, senza saltare, allunga il collo per colpire di testa, ma senza particolare foga, altrimenti poteva anche tuffarsi. E’ questo, oltre alla mancanza dell’istinto e dei movimenti da goleador, che gli fa perdere il passo e la coordinazione necessaria per ribattere dentro.
Inoltre, a volte non si segna per il motivo opposto, perché si va sul pallone senza ‘cattiveria’ e pensandoci troppo, col risultato che si perde l’attimo o si colpisce troppo debolmente o troppo ‘bene’, mentre colpendo più sporco si sarebbe potuto mettere fuori causa il portiere.
La differenza la fanno i campioni.
Se ci fosse stato un campione al posto di Dzemaili o di Pinilla sarebbe stato gol.
Ieri ho visto Djokovic a Wimbledon sotto 15 40 al terzo set fare 2 aces di fila. Un caso? Fortuna? No. Un campione. Dzemaili l’avrebbe buttata fuori di poco.
@ Alessio:
Ho l’impressione che, per tanti versi, confondi la causa con l’effetto.
ah poi ieri notte mi sono dimenticato di incollarti questa cosa che ha scritto il solito enorme alessandro ansuini sabato scorso:
“allora tu pensa: nasci in Cile, cominci a giocare, sei bravo, ci credi, comincia la tua carriera di alti e bassi. Sei una punta. Vai in Brasile, Spagna, Portogallo, Scozia, Cipro, Italia. Ormai hai 30 anni. Ti chiamano per il mondiale, non giochi mai, finché ti buttano dentro in un ottavo di finale contro il Brasile, in casa loro. Combatti, tieni palla per quel che puoi. Si arriva ai supplementari. A tre minuti dalla fine arriva un lancio lungo, lo controlli facendo andare a vuoto un avversario, chiedi l’uno due, ti ridanno la palla, lasci partire una sassata. Due centimetri sotto e saresti entrato nella storia, per sempre, avrebbero scritto canzoni su di te. Due centimetri sopra e la palla si schianta sulla traversa, rimbalzando quasi fino a centrocampo. Poi la partita finisce, rigori, lo sbagli anche, ma anche se la tua squadra avesse vinto ai rigori il tuo momento d’immortalità è appena passato. Questa cosa mi tortura. Due centimetri sopra e tutta la tua vita di calciatore e uomo avrebbe avuto un senso, rispetto all’umanità , alla storia. Due centimetri sotto c’è l’oblio per sempre. Bella Pinilla, su con la vita.”
Quanto sei palloso.