Nablus è una cittadina della Palestina che vive in uno stato di quasi costante coprifuoco: a ogni via d’uscita dalla valle in cui Nablus è situata c’è un check-point.
Non è un caso: Nablus è considerata la città della resistenza Palestinese, quella che combatte(va) anche quando entra(va)no i carri armati israeliani, nonché luogo di provenienza di diversi attentatori suicidi.
La risposta israeliana è evidentemente mirata a qualcosa che va oltre la sicurezza: c’è – poco nascosto – un fine punitivo; il messaggio che deve passare è “noi siamo i più forti: se voi fate i bravi vi permettiamo di andare in giro quasi quanto vi pare come a Betlemme, altrimenti fate la fine di Nablus”.
La cosa feroce è che, per molti versi, questa logica è efficace.
Anche se con esiti diversi, è lo stesso concetto dell’embargo a Gaza, e la medesima strategia che ha sempre mosso tutti gli schieramenti nella storia del conflitto arabo-israeliano.
Su Nablus avevo già raccontato qualcosa di più pittoresco quando ero stato lì.
Quello che è successo qualche tempo fa è che – non solo cani in gabbia – una banda di coloni israeliani ha iniziato a fare agguati agli abitanti di alcuni villaggi palestinesi nei pressi di Nablus, il cui più violento è culminato nell’assalto alla moschea del piccolo paesino di Yasuf con il rogo di diversi testi sacri, e l’impressione di alcuni graffiti come «vi bruceremo tutti».
La condanna per questo atto era arrivata da tutto il mondo, e un’organizzazione di pacifisti israeliani aveva ricomprato dei corani che un rabbino aveva poi portato al villaggio come segno di rifiuto per quella manifestazione d’intolleranza. Pochi giorni dopo era stato arrestato Meir Kahane, nipote dell’omonimo rabbino integralista che aveva fondato il Kach, partito politico di ultra-destra poi messo al bando quale organizzazione terroristica da Usa, UE e Israele stesso.
Ieri una squadra di più di cento uomini dello Shin Bet, la sicurezza israeliana, è entrata all’alba nella colonia israeliana di Yitzhar arrestando dieci uomini sospettati di aver preso parte o organizzato l’agguato.
Se c’è una speranza per quella terrà là, per quel conflitto là, è in queste cose: nell’essere intollerante con i proprî intolleranti. Quello che Israele ha sempre – a ragione – accusato i palestinesi di non fare, e che Israele ha sempre fatto troppo poco. Ben più di qualsiasi gesto disensivo che vede sfumare la propria portata simbolica nell’inevitabile rappresentazione delle squadre: se un rabbino si incarica di andare a scusarsi per ciò che ha fatto un estremista ebreo, sta – nonostante le migliori intenzioni – inevitabilmente marcando il legame che c’è fra lui e l’altro e la cesura che lo divide da quello che dovrebbe essere più vicino a lui, ma è dell’altra “squadra”.
Bisognerebbe – invece – che, ogni giorno, entrambe le parti fossero inflessibili con gli estremisti che a loro afferirebbero soltanto in teoria. Senza i cameratismi spesso presenti anche fra chi, nella sostanza, non ne condivide gli atti.
Bisognerebbe – invece – che ciascun individuo di ciascuna parte in causa considerasse i fanatici, non compagni-che-sbagliano, ma una cosa quasi banale: nemici.
Vane speranze. Chi appoggia chi combatte nella via di Allah è come se combattesse egli stesso. Chi ostacola chi combatte nella via di Allah è, quindi, automaticamente considerato come se fosse un nemico dei mussulmani.
Israele ha sempre – e tu dici giustamente “a ragione” – accusato i palestinesi di tollerare i propri intolleranti. Questa ne è la ragione.
L’Islam è intollerante con i miscredenti. Perché dovrebbe un miscredente tollerare l’Islam? Rispettiamo le persone, perché meritano rispetto a prescindere. Ma le idee non sono persone, e se non meritano rispetto vanno esposte, derise, demolite, condannate.
Chiamate con il loro nome ed i loro aggettivi.
assolutamente d’accordo ma la vedo dura..
Non riesco ad immaginare una soluzione per quelle terre. Ormai non è più questione di buoni o cattivi, l’odio mi sembra talmente radicato da prevalere anche sul pur minimo buon senso.
Tristissimo.
assolutamente d’accordo, sono ottimista
E gli intolleranti italiani?