Guerrilla gardening

Dovevo raccontare di tutti gli altri che avevano condiviso con me l‘incontro di Città di Castello. Mica perché dovevo, ma perché hanno fatto proprio cose interessanti. Per primi vi parlo dei guerriglieri.

Guerrilla Gardners
Guerrilla Gardners

Chi sono? Sono della gente che fa cose illegali, intanto. Ma le fa tanto bene che nessuno ha l’ardire di lamentarsene. E ci mancherebbe! Sai che fanno? Avete presente quegli slarghi, quegli spazî grigi, che si trovano in tutte le città perché il comune è negligente o menefreghista? Beh, chi non fa, falla – dicono loro: facciamo. E che fanno? Nottetempo passano di lì, e zac, una cosa così:

Prima

Diventa così:

Dopo
Dopo

Usurpano il suolo pubblico, per renderlo molto più pubblico e godibile. Dove c’è del terriccio o dei rifiuti, arriva una bella aiuola fiorita.
Michele ed Eleonora – sono loro che ho conosciuto – affiatati e rigogliosi, mi hanno raccontato che tutti ne rimangono lietamente stupiti: un signore una volta ha esclamato «è un miracolo!».

Sono dei veri guerriglieri, sul loro sito trovate un sacco di foto dei loro “attacchi” al cemento pubblico per renderlo più verde. Ci tengono a dirlo, che non l’hanno inventato loro: però intanto fanno, e fanno bene. Ci hanno anche scritto un libro.
Poi se ne sono accorti a Repubblica, e a Report, così li potete vedere all’opera.

Post attacco

(mi raccomando, le belle idee vanno copiate)

È tornato

Oggi, al discorso di accettazione del Nobel.

Obama ha detto le cose per cui avevamo seguito tutte le notti elettorali, con trepidazione, e di cui avevamo scritto. È stato questo Obama qui, quello che era un po’ sbiadito – nel tempo.

Obama ha detto che Gandhi non può funzionare contro Hitler, e difatti non avrebbe funzionato. Che siamo tutti, ora e subito, responsabili delle persone che vengono private della vita, delle libertà, di sé, in quelli che sono luoghi in cui c’è una pace soltanto apparente.

E l’ha detto, coraggiosamente, in quello che è l’ambiente dove è più forte il moloch di una definizione molto limitata di pace: l’idea che essa sia un fine, e non un mezzo per rendere le persone felici, intangibili, uguali nei diritti e nelle libertà. Credo di poter azzardare che nessuno  – in quella sede – avesse mai reso chiare quelle parole.

Certo, sono parole. E sarà pur vero che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma è anche più vero che fra il dire e il non dire c’è di mezzo un oceano. Complimenti a chi riesce ad attraversarlo:

Qui la seconda parte, qui la terza, qui la quarta.
Qui il testo (inglese)

Bene a farsi

Avevo promesso un racconto della serata a Città di Castello, all’associazione Il Fondino, che aveva invitato me, e le altre persone di cui racconterò a parlare delle nostre iniziative. L’evento – che si chiamava “bene a sapersi” – aveva ospitato delle lectio poco magistralis, e anzi molto presenti e vive, di Ettore Scola e Vincenzo Cerami; per l’occasione aveva cambiato il nome in “bene a farsi”, che già come titolo era – come dire – ben fatto.

Intanto che bravi, i ragazzi che hanno organizzato tutto: non è facile trovare tanta gente così bella, così spigliata, così operosa. E diciamocelo, anche così cazzona. Evviva!

Cosa ho fatto io? Ho raccontato della scemata di Piazza del Popolo, cercando di spiegare perché la trovassi la cosa più naturale del mondo. Poi, introdotta dal mio proposito per l’anno nuovo – che sarebbe quello di fare il “testimone che Geova non c’è”, ovvero andare a casa dei testimoni di Geova la domenica mattina con la Bibbia sottolineata da me e i libri di Russel, Dawkins, Hitchens, Harris per convincerli che Dio non esiste – ho fatto una bella, e sentita, apologia del proselitismo.
Perché quello che voglio fare, di andare dai testimoni di Geova per convertirli, non è mica una vendetta: è il riconoscimento che hanno ragione loro! Che la loro spinta, la loro decisione di voler portare gli altri a fare del bene è altruista. Solo che la risposta è dentro di loro, epperò è sbagliata.

Era stato chiesto, a ciascuno di noi, di esprimere un pensiero a chiosa della nostra esperienza: il mio è stato questo. Tutti mi avevano fatto i complimenti per come avevo saputo ascoltare le persone: ecco, ascoltare le persone è una cosa facile, invece la cosa eccezionale di quella giornata era stata che le persone volevano sentire il mio parere, e volevano darmi il loro. Cioè, in una parola, volevano convincermi della bontà delle loro ragioni, che è la cosa più altruista che c’è.

Ho spiegato che l’idea per cui la propria idea sia degna, e sensata, e fedele, solo se rimane immutabile e inintaccabile dalle opinioni altrui, e che chi cambia idea sia una traditore, è un’idea sciocca e che non contribuisce al progresso dell’umanità. Che cercare di convincere gli altri, e volere che gli altri convincano te, è l’unico dispositivo che abbiamo per progredire, a poco a poco, tutti. E che, se gli altri non avessero cercato – nel tempo – di convincermi delle loro idee, ora sarei una persona molto peggiore di quello che sono.

Insomma ho fatto il saltimbanco, al cospetto e come intermezzo di tante cose più belle e strutturate.
Quello mi riesce bene ogni volta, comunque, e come mi diceva sempre un caro amico: in tutta la corte, il giullare era l’unico che poteva insultare il re.

Siccome ho già scritto troppo, gli altri tre partecipanti, e le loro idee, le racconto in un altro post.
Uno per ciascuna idea, ché se lo meritano!

Il provino

Una bambina di cinque anni da qualche settimana va a lezione di danza. E tra qualche settimana, a fine dicembre, c’è una lezione alla quale deve partecipare anche uno dei genitori, o il babbo o la mamma. E noi le abbiam chiesto chi vuole che ci vada, o il babbo o la mamma. E lei ha detto che adesso ci fa un provino e poi ci sa dire.

Lunedì degli aneddoti – XXI – A che ora è la fine del mondo?

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

A che ora è la fine del mondo?

L’avevo raccontato quando ero in Palestina, ma merita di stare anche qua: una degli aspetti minori della questione arabo-israeliana, e della vita dei palestinesi da “occupati” è che c’è sempre questo equivoco fra l’essere uno stato a sé e il dipendere militarmente ed economicamente dalla forza occupante. Ci sono quindi tentativi, anche comprensibili, di distinguersi sotto qualunque aspetto da Israele per affermare la propria diversità, e quindi indipendenza. Sforzi che però, necessariamente, si scontrano con la necessità di non complicare troppo la vita ai palestinesi che lavorano in Israele: fino alla seconda intifada quasi la metà di tutti gli abitanti della Palestina.

I giorni festivi, ad esempio, sono scelti autonomamente: quindi dove in Israele il giorno festivo è il sabato, in Palestina il sabato è lavorativo, anche se – ovviamente – per coloro che lavorano in Israele, le festività sono quelle del nemico, e questo potenzialmente condiziona l’intero sistema economico palestinese: servono gli autobus, qualche negozio aperto, etc. È il medesimo, invece, l’orario: Israele adotta un fuso europeo (GMT+2, quello della Grecia), e in Palestina si segue lo stesso. Ma c’è un’eccezione, ed è l’ora legale: il rientro all’ora solare non è mai contemporaneo, specie se c’è una coincidenza con il Ramadan. In tal caso, in Palestina come in tutti i paesi arabi, l’ora solare legale viene sfruttata con il principio contrario a quello cui siamo abituati – ovvero di risparmio energetico: solitamente si ritarda il ritorno all’ora solare il più possibile per guadagnare luce, in Palestina – sotto Ramadan – si anticipa l’ora solare per anticipare il buio, e cioè il tramonto (così per riniziare a bere mangiare).

In questo modo, però, ci sono due settimane in cui c’è un bel trambusto, perché a ogni passaggio di check-point cambia anche l’ora, e le incomprensioni sono all’ordine del giorno. La più clamorosa – assieme macabra e grottesca – fu il caso di tre terroristi palestinesi, una decina di anni fa, che stavano portando in Israele delle auto-bomba fabbricate nei Territorî così da farle esplodere nell’ora di maggior affollamento nei mercati di Haifa e Tiberiade.
Il piano consisteva nel parcheggiarle lì pochi minuti prima che esplodessero, per avere il tempo di allontanarsi dal luogo dall’esplosione, senza però rischiare che le automobili fossero notate e disinnescate.
Soltanto che gli attentatori non avevano considerato il fatto che il timer degli ordigni era stato tarato sull’orario palestinese – ancora non passato a quello solare, come in Israele – e quindi un’ora in avanti sui loro orologi.
Alle 17.30 in punto, mentre i tre sprovveduti attentatori si stavano ancora dirigendo sul luogo del potenziale massacro, gli esplosivi di cui erano imbottite le automobili scoppiarono per strada, con i tre attentatori come uniche vittime della detonazione.
Il colmo è che questi non erano terroristi-kamikaze, non avevano intenzione di suicidarsi nell’esplosione, come in altri casi – ma soltanto di fare una strage.

Questa prestazione valse loro un Darwin Award, premio che – come recita l’epigrafe – onora coloro che migliorano la specie umana semplicemente rimuovendosi da essa.

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui qui il quindicesimo: Servizî segretissimi qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto qui il diciassettesimo: La caduta del Muro qui il diciottesimo: Botta di culo qui il diciannovesimo: (Very) Nouvelle Cuisine qui il ventesimo: Il gallo nero]

Vuoi indicare un aneddoto per un prossimo lunedì? Segnalamelo.


Oh

Ma qui c’è tanta gente seria che fa tante cose belle!

Domani vi racconto.

I diritti di tutti, e quelli di pochi

Della questione dei matrimonî in California ne avevo parlato più volte, su questo blog. Per tante ragioni, fra cui quella che – negli ultimi 18 mesi – è stato un tema e uno spazio campo di battaglia tra coloro che sono contenti che gli altri si vogliano bene come vogliono loro, e coloro che vogliono decidere se e come gli altri individui debbano volersi bene.

Le cose erano andate più o meno così: nel 2008 la Corte Suprema californiana aveva dichiarato anticostituzionale il divieto di matrimonio per gli omosessuali, da quel momento tante coppie avevano cominciato a sposarsi.

La storia, purtroppo, non progredisce solamente, e contestualmente all’elezione di Obama un referendum aveva reintrodotto nella Costituzione il vincolo uomo-donna, vietando di fatto la celebrazione di nuovi matrimonî.

Di più, Kenneth Star, quello famoso per l’affaire Lewinski, aveva poi tentato di impugnare le diciottomila unioni già celebrate.
Era proprio in questo contesto che avevo raccontato della reazione dell’educatrice palestinese al bellissimo video contro quelle cancellazioni.

Ecco, ora, sulla scia di quelle retrive brutture, c’è chi fa campagna per cancellare il diritto, di tutti, al divorzio:

Questo per dire che se te ne freghi dei diritti degli altri, poi arriva sempre il giorno in cui qualcuno viene a togliere i tuoi.
E – sai che c’è? – un po’ ti sta pure bene.

EDIT – Era uno scherzo! E io ci son cascato.