Buonsensofobia

L’espresso fa un sondaggio per eleggere la peggiore castroneria del 2009. In mezzo a tante stupidaggini e cretinate c’è una frase, di Daniela Santanché, che dice «Maometto era pedofilo».

Di tante corbellerie che Santanchè ha detto, in vita sua, e nello stesso discorso – che ricordo: «la nostra cultura, la mia cultura, etc», e scemate dello stesso tenore – viene registrata l’unica cosa ovvia, di buon senso, che ha detto: che Maometto era un pedofilo.

Fra l’altro, l’Espresso titola la frase “Master in storia delle religioni”. Altro che master, scuola elementare di storia delle religioni. Si tratta di una cosa molto semplice. Una delle tredici mogli di Maometto, Aisha, era una bambina. E uno che sposa una bambina di sei anni e consuma tale matrimonio quando lei ne ha nove è una cosa sola: un pedofilo.

È possibile che tale costume fosse più comune a quel tempo che non ora – il fatto che stupri, schiavitù, sterminî di massa fossero più comuni, un tempo, non li rende meno sbagliati – ma ciò non sconta nulla della definizione. Anzi, semmai acuisce la risibilità dell’affermazione di immutabile infallibilità di tale profeta, senza la quale crolla tutta la costruzione religiosa.

È davvero sconfortante constatare come la religione sia l’unico campo in cui, anche i più critici – spesso giustamente, come l’Espresso – applichino una sospensione del giudizio ridicola, in nome di un malintesto rispetto delle buffonate credute dagli altri. Ma non c’è alcuna ragione per contestare le mie idee se dico che penso che la gravità non esiste, e non contestarle se dico che Maometto è volato in cielo su un cavallo alato, o che la madre di Gesù Cristo era vergine.

p.s. Su Daniela Santanchè rimando a uno dei post che mi erano riusciti meglio, negli ultimi mesi: questo.

Intanto, da quelle zone lì

  • Ricordate di quando l’esercito israeliano crivellò di colpi la mia bicicletta? Ora, mi segnala Giorgio,  se la sono presa con un Mac.
  • Le donne in Iraq, mi segnala Max, ricominciano a badare alle frivolezze, e questo vuoldire che gli attentati fanno un po’ meno paura.
  • Una delle cose che più mi terrorizza, fa davvero accaponare la pelle, è immaginare di essere vittima di una lapidazione. L’idea stessa di avere il cranio fratturato da pietre mi fa rabbrividire anche ora, mentre lo sto scrivendo. In Somalia, un uomo è stato ucciso a pietrate dalle milizie Hizbul Islam per intercorsi sessuali illeciti.  La foto l’ho caricata qui: non l’ho messa immediatamente visibile perché è davvero truculenta. Ma ogni tanto, io credo, bisogna guardare in faccia l’orrore.

“Repubblica corrompe Google in chiave anti-Berlusconi”

Qualche tempo fa avevo inaugurato una categoria per tutti i complotti assurdi che venivano partiriti dalle menti diaboliche, quelle sì – perché per architettare la figurazione di certe assurdità, anche solo nella tua testa, devi avere del diabolico – di tanti che spiegavano qualunque argomento. L’uno, e il suo contrario, è un complotto. Difendi gli USA? Sei pagato dalla CIA. Critichi gli USA? Stai cercando di occultare il fatto che sei pagato dalla CIA.

Avevo chiamato la categoria “il di dietro”, in ossequio a quelli che – dopo aver fatto mille previsioni strampalate – alla milionesima ci azzeccano e vengono a rivendicare quella misera unica previsione, in mezzo alle centinaia dimenticate (chi si ricorda, ora, di quelli che dicevano che avrebbero ucciso Obama prima che andasse al potere?).

Ieri ne è girata un’altra, assurda. Quella per cui google avrebbe filtrato le foto di Berlusconi. Secondo tanti genî del male, e anche qualche insospettabile, google avrebbe cancellato le foto del volto insanguinato di Berlusconi rispondendo all’ordine dall’alto di chissà chi. Sto dando una mano ad AP – intern sfruttato, non di più – ora, ed ero in ufficio al momento del fatto, e con esso tutta la diretta. Ecco, a parte il fatto che le foto hanno girato fin da subito su tutte le televisioni, erano l’indomani su tutti i giornali. Il colmo è che su Google News (Italia), fidatevi, la foto di berlusconi insanguinato ha campeggiato come prima notizia per tre giorni. E pure su google video si trovano un sacco di filmati della faccenda.  Come del resto se si cerca su google standard si trovano articoli con foto del fatto di Piazza del Duomo.

Ovviamente Google ha spiegato che è un’invenzione. E vabbè. Ma la cosa, ancora, assurda è che uno si deve mettere in pace con ciò che pensa: cioè, se sei di quelli che ha scritto in lungo e in largo che quello che è successo è male perché favorisce Berlusconi  – insinuando che, invece, non fosse stato per quello, spaccargli due denti… – che così ha guadagnato l’appoggio della nazione, che è balzato in avanti nei sondaggi, etc. poi dovresti spiegare perché Berlusconi dovrebbe voler censurare le foto che vanno a suo vantaggio.

Anzi, strano che non ci sia stato qualcuno a destra – non meno bravi della sinistra a inventare complotti  – che non abbia detto che è stato “il Popolo Viola” o “Repubblica” a imporre a Google la censura.

Condor!

Sarà che un commiato è patetico per forza, o che io non so più scrivere?

Io sono angosciato da una cosa, ed è una cosa che mi tormenta: perdere tempo. Intendiamoci: la concezione che ho io dello sciupare il tempo è molto peculiare – ad esempio giocare a Pro Evolution Soccer con gli amici non è, nei fatti, perdere tempo (mentre giocarci da solo un po’ sì).

Una cosa che, invece, fa perdere tantissimo tempo sono i tragitti. I tragitti, questi sabotatori. Non lo sopporto proprio, pensare di spendere un’ora – ogni giorno – solo nei tragitti è una cosa che mi fa imbufalire, penso sempre ai mille usi che potrei farne, meglio (tipo giocare a PES).
E siccome ho sempre abitato lontanissimo dal centro, a Roma, e quindi ogni giorno è un travaglio: allora ho cercato di escogitare un dispositivo, fin da quando ero al liceo. Quello a cui sono venuto a capo, negli anni, è questo: tutti giorni mi carico il lettore cd/mp3/ipod con un corso di qualche lingua o delle conferenze interessanti – così mi sembra di perdere, meno, quei minuti –  e con Condor.

Ci sono questi corsi audio di lingua: ascolti, parli, ripeti. Non fanno granché, ma ogni volta che vado da qualche parte imparo qualcosina di francese, arabo, o due parole di altre lingue astruse. Invece, al ritorno, Condor.
Condor è una trasmissione che va in onda su Radio 2, e la conducono Luca Sofri e Matteo Bordone. Per l’occasione facciamo uno strappo alla regola aurea che mi son dato – non riferirsi solo col nome, a uno a cui non diresti “stronzo” senza imbarazzo – e li chiameremo Luca e Matteo.

Luca racconta dell’attualità sempre nel modo divertente e azzeccato, e Matteo riesce ogni volta a trovare il capriccio giusto per prenderlo in giro in qualche modo. È uno spasso. Raccontano un sacco di cose interessanti, e – ve lo confesso – qualche volta nelle chiacchiere con gli amici l’ho spacciate per mie: e tutti pensavano “ah, quante notizie interessanti trova Giovanni”, e in realtà l’avevano trovate loro.

Quindi io, da qualche anno, al ritorno da qualunque parte ascolto una bella puntata di Condor. Ogni tanto poi, non ditelo alla mia coscienza, faccio uno strappo alla regola e mi vizio: ne ascolto due, sia all’andata che al ritorno, e chissenefrega di imparare lingue!
Non è che pensi che ascoltare la trasmissione contribuisca alla mia crescita, o altre cose così trombone (ma un po’ sì), cioè diciamo che è un modo per perdere il tempo che perderei, ma meglio.

Insomma, è una mia vera fissazione, come altre – le capitali, la dizione, il ciclismo – ma meno pubblicizzata. Son pochi a saperne la portata, forse perché me ne vergogno un po’: dal Condor 2.0, da quando c’è anche Matteo ho ascoltato TUTTE le puntate, non ne ho persa neanche una. Magari le ascolto con due settimane di ritardo, ma le ascolto sempre. Mica lo so se c’è uno maniaco come me, su ‘sta cosa.

E poi a me, oh sarà che è solo a me, fa ridere tantissimo. Matteo che fa Elvio – chissà, perché mi assomiglia? – mi fa scoppiare in risate grasse. E un po’ in tutte le puntate c’è qualcosa che non mi fa mica sogghignare, ma proprio ridere come nessuno può non notare. Mi ricordo che, in Palestina, era un problema. Perché magari mi succedeva durante le file ai check-point, e la gente pensava che ridessi di loro: quasi nessuno ascolta con le cuffiette, e  tutti dànno per scontato che sia musica.

E perché, allora, lo racconto ora? Perché lo chiudono. Essì. Questa è l’ultima settimana in cui va in onda. Quindi, ecco: ascoltatelo. Condor ha anche un blog, ma il mio consiglio è di ascoltarlo. Così da sapere cosa ci perdiamo.
Dice che fa pochi ascolti, che lo seguono poche donne, ed è un po’ snob. Poi ci son quegli altri, di cui mi fido di più, che dicono che non è vero. Boh.
Non ho mica difficoltà a credere che alla gente piacciano cose diverse da quelle che piacciono a me, anzi, che il mio senso dell’umorismo resti isolato dalla comunità umana mi è noto.

Però, ecco. Funziona proprio bene! Come fa l’universo a non rendersene conto? Mi ricordo che per un certo periodo di tempo ho pensato che quello che volevo fare da grande era Condor: cercare le notizie dal mondo, e raccontarle mentre mi diverto. Meglio del collaudatore di materassi!
Poi mi son reso conto che, proprio, non sarei stato in grado. Quella mezza dozzina di volte che ho dato una mano alla trasmissione su Radio Radicale l’ho capito – alla fine di ogni puntata pensavo: «Che fetecchia che sono. Cavolo, sono troppo più bravi di me».

Dice, e allora protestiamo! Ma come? Qualche tempo fa ho rotto il mio fioretto anti-gruppi su facebook, e mi sono pigramente iscritto qui. Magari se domani 56 milioni di persone scaricano il podcast non lo tolgono, ma la vedo dura.

Accidenti quanto l’ho fatta lunga. La posso dire una cosa smancerosa? Dài, la dico: io son sicuro che fra vent’anni dirò «ti ricordi quando ascoltavamo Condor?!?» proprio con la nostalgia dei vecchi.
Vabbè, niente, lo tolgono. E quindi da gennaio sarò senza Condor. Quasi v’invidio, che non l’avete mai sentito, e potete ascoltare tutte le puntate arretrate.

Chissà, sarà la volta buona che riesco a perdere tempo per davvero.

E tutti gli altri: Valeria Grandi la nostra redazione, Ilaria Mazzarotta la regia, Massimo Piffa Piffaretti (William Castiglioni) il nostro tecnico
E tutti gli altri: "Ilaria Mazzarotta la nostra redazione, Valeria Grandi la regia, Massimo 'Piffa' Piffaretti/William Castiglioni il nostro tecnico"

Apologia dell’invidia

Il messaggio di Berlusconi
Il messaggio di Berlusconi

Uno dei cliché più stupidi che ci siano è che la gente ti odi perché è invidiosa. È una spiegazione compiaciuta e da quarta elementare. «Mamma, Martina mi dice che sono brutta» «lo fa perché è invidiosa di come sei bella».
Invece se uno ti odia lo fa per la ragione opposta, e cioè che è tutto il contrario: che non vorrebbe mai essere come te, e che non condivide in nessun modo quello che fai.

Berlusconi l’aveva già detta, una cosa simile, ché fa molto presa sul senso comune. Ma, invece, no: Tartaglia non era invidioso di Berlusconi, tutt’altro. Fosse stato invidioso l’avrebbe idolatrato, e non gli avrebbe tirato una statuetta in bocca.

Io sono convinto che ci siano molti che, veramente, odino Berlusconi – anche in un modo che io non riesco a capire, oltre al limite dei provvedimenti con i quali Berlusconi ostacola la felicità degli altri individui: quell’atteggiamento insinuante – al di là dei casi specifici – per cui non esiste una zona grigia fra ciò che è legale e ciò che è giusto, e che qualunque tentativo riuscito di spostare in avanti ciò che è legale in direzione dell’approfittarne, è testimonianza di furbizia.
Ma a me, della sofferenza personale di Berlusconi non frega nulla. Anzi, ci mancherebbe, mi dispiace.

Quindi sì, l’odio c’è. E sicuramente – come s’è visto – c’è chi è capace di trasformare quest’odio in un fatto violento. Ma che c’entra l’invidia? È molto più probabile che gli invidiosi di Berlusconi siano quelli che lo votano, che sperano che qualche briciola cada anche al popolo, dal ricco tavolo imbandito del sovrano.

L’invidia è un sentimento bellissimo. L’invidia è quella disposizione d’animo per cui, quando vedi qualcuno che fa una cosa meglio di te, vuoi riuscire anche tu a farla bene come lui.
È la spinta di verità per cui Ahlam – che non ci aveva mai pensato prima – vede una ragazza italiana, Angela, che può andare in giro per strada, camminare e parlare con chi vuole senza bisogno di un uomo che la controlli, e pensa: «perché lei può e io no?».
Alla base di tutte le rivendicazioni di libertà c’è invidia, l’invidia – sana – per chi quelle libertà ce l’ha. L’invidia è il principio, in entrambi i sensi, di ogni evasione.

Certo, chiaro, l’invidia può degenerare. Qualcuno può tentare di rubare, per invidia: ma è sbagliato rubare, mica essere invidiosi.
Per questo l’accusa agli invidiosi è, davvero, la cosa più sciocca che ho sentito in questi giorni.

Poi è chiaro che, in questo momento, come ai funerali e nelle grandi tragedie nazional-popolari, vale tutto. Liberi tutti. E ha anche un senso.

Ma a un certo punto mi fermo: perché la retorica la capisco e la sopporto – l’amore vince sempre sull’odio -, le cazzate no.

Crisi dell’editoria

Oggi l’Herald Tribune, il più autorevole giornale letto a tutti i capi del mondo, è uscito con una prima pagina di copertina tutta pubblicità:

IHT
IHT

Controproducentisti e complottisti

“Il più antiberlusconiano di tutti è…” quello che dice queste cose:

C’è poco da dire su Massimo Tartaglia, un povero disgraziato e malato le cui giornate da domani in poi saranno ben peggiori di quelle che ha vissuto finora. Ci sarebbe molto da dire invece su […] quelli che non riescono che a rimbrottare severamente che «questo è controproducente», o di quelli che anche questa volta non riusciranno a trattenersi dal produrre le teorie del complotto più ridicole. […] Ci sarebbe molto da dire su di voi. Potremmo cominciare col fatto che siete, più di qualsiasi altra legge e leggina che sia passata in Parlamento, la minaccia più concreta alla salute della democrazia di questo paese. Che siete, più di qualsiasi Mastella e di qualsiasi Latorre, un gigantesco problema della sinistra italiana. Io non ho l’aspirazione né tantomeno la necessità di sostenere uno schieramento o una coalizione in cui tutti la pensino come me su tutto. Sono disponibile a confrontarmi, discutere e litigare su centinaia di cose, comprese quelle su cui ho meno dubbi e che mi stanno più a cuore. Ma davvero non ho nulla da spartire con voi che esultate, con voi che nicchiate, con voi che non riuscite a dire semplicemente che in una democrazia l’aggressione violenta a un politico è una schifezza triste, aberrante e fascista.