Cara ragazza che ho fermato per strada questa sera, sono quello a cui hai detto «no, no» e sei ripartita.
Ti ho chiesto se mi potevi accompagnare all’ospedale perché la madre del mio amico più caro, l’unico a volermi bene tanto ottusamente, aveva avuto un ictus, ed era in coma. Che io l’avevo appena saputo, e però non avevo nessun mezzo, perché le donne di casa sono fuori per il week-end con la macchina.
Non ti ho detto che avevo pure un febbrone, ed ero lì al freddo perché temevo avessi paura del contagio.
Era vero.
Io non ti biasimo neanche, ma vorrei che tu sapessi – e non lo saprai, ma chissà – che per me sei la testimonianza del male del mondo. Non il Male. Però la testimonianza di.
Non mi venire a dire che era l’unica cosa prudente da fare, lo so, so bene cosa vorresti dirmi: ma sappi che era vero.
E anche che io, sì al posto tuo nel tuo corpo e nella tua vita – e chi dice “non puoi immaginare come sia essere donna” è un cane – avrei fatto diversamente. E anche Marco, sicuramente.
P la conosco da quando avevo sette anni, una volta mi diede un piatto di pasta con dentro dei vermi. Per fortuna ero ancora un bambino, e lo trovai molto divertente così che – credo – non si vergognò poi troppo.
Agli altri che mi leggono dico di non scrivermi parole di cuore per Marco o per me, le conosco già, e ringrazio di esse.