Sabato 3 gennaio / mattina

Auguri – Diario dalla Palestina 123

Durante le vacanze natalizie, per “alleviare” la scocciatura dei check point ai turisti, hanno messo dei cartelli che augurano buon Natale e buon anno ai turisti. Nei giorni precedenti a Natale le procedure erano piuttosto veloci, ma dallo scoppio della guerra le misure di sicurezza si sono rafforzate e con esse i tempi d’attesa. Per noi, ovviamente, l’unico problema sono le file, perché quando si passa sotto al metal detector che suoni o non suoni cambia poco: gli occidentali passano.

Lo stesso al controllo passaporti, i Palestinesi che passano al di là del muro sono tutti registrati, e sono sottoposti a un controllo con le impronte digitali, mentre agli europei – al massimo – viene controllato il visto. Mi sono domandato se, al di là del brutto effetto che fa essere così privilegiati, sarebbe meglio un sistema in cui tutti sono sottoposti allo stesso trattamento. Ma ho realizzato che questo era un pensiero molto occidentale, sono stati gli stessi palestinesi a farmi capire che un mio piccolo “martirio” nel sottopormi agli stessi controlli non sarebbe apprezzato: farebbe soltanto perdere tempo agli altri palestinesi in fila.

Quanto ai cartelli, allo stesso modo, dopo una prima reazione di sdegno (ma che, li prendono in giro?), ho pensato che valesse il medesimo ragionamento: se qualche mese fa avessi trovato lo stesso augurio per il Ramadan, o dall’altra parte per Hanukkah sarei stato più contento:

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Venerdì 2 gennaio

E il Brcilona – Diario dalla Palestina 122

Questo è il problema quando si tifano squadra spagnole, ma la propria lingua madre ha soltanto tre vocali:

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Trovato su un muro del campo profughi di Aida

Giovedì 1 gennaio / sera

Altri suggeriscono di buttarci l’atomica – Diario dalla Palestina 121

Chi scrive qui, qualche giorno fa, diceva che se tutti avessero il concetto di “possesso della terra” che abbiamo noi – io e chi scrive lì – i problemi del Medioriente sarebbero più vicini all’essere risolti. Era un pensiero forse un po’ supponente, forse un po’ narciso ma in fondo non troppo lontano dalla realtà.

Chi scrive qui (cioè io), qualche giorno fa, aveva fatto un post piuttosto lungo in cui commentava l’attacco israeliano a Gaza. Avevo concluso il commento scrivendo “lo so che avrò scontentato tutti”. Non era un vezzo di chi volesse essere contraddetto, come ha inevitabilmente dato l’impressione di essere, ma la mia sincera convinzione.

Quel post, invece, ha ricevuto molti commenti che negavano di essere stati “scontentati” ed è stato citato da più parti – certo, non tutti erano completamente d’accordo, i più l’avranno citato documentativamente – e anche le critiche ricevute mostravano, comunque, un’interesse non pregiudiziale molto raro in discussioni su questo tema.

Così ho riflettuto sul fatto che dall’inizio di questo diario ho sempre avuto la fortuna di avere commentatori veramente ‘sani’, e questa è una cosa che – inevitabilmente – aiuta, anche nello scriverne, senza aver paura di scatenare un flame per il solo fatto di aver scritto “Palestina”, o “terrorismo”. Quindi, grazie.

E poi che “bisognerebbe portarli tutti in Medio Oriente, i lettori del tuo blog, per fare la pace”, quest’ultimo commento non è mio ma di uno che dentro al conflitto arabo/israeliano c’è dentro per nazionalità: ma non vi dico se israeliano o palestinese.

Giovedì 1 gennaio / mattina

Ragionamenti da maestra – Diario dalla Palestina 120

Mia madre, come già scritto, fa la maestra elementare. Di politica, invece, non se ne intende molto, e del conflitto arabo-israeliano tantomeno.

Ieri mi ha visto tornare con le famose scarpe numero 49, che evidentemente non pensava io riuscissi a trovare, e ha commentato così: «beh, ma là in Israele hanno tutto! Ovvio che poi si fanno la guerra: come quando ci sono due compagni di banco e uno ha la cartella di “Hello Kitty” e l’altro no».