Un tocco di perfidia – Diario dalla Palestina 23
Qui è tutto un dirmi «accidenti che bravo che sei», questo-ti-fa-onore, e simili. Insomma sto facendo la figura del santo: è giunto il momento di sfatare questa nomea. Praticamente succede questo, qui la bicicletta la usano soltanto i bambini e i ragazzetti. Ahlam, l’educatrice che lavora con me, mi ha spiegato che a 14 anni il padre le ha tolto la bici dicendole che non era più il momento di giocare, e che ora doveva essere una donna. Ha aggiunto lei: «il problema è che se vado in bici pensano che non abbia soldi per permettermi di meglio». Attenti osservatori l’hanno sentenziato essere un atteggiamento molto mediorientale.
Per le strade di Betlemme, anche in pieno centro del pieno mercato, si incontrano un sacco di bambini in bici, non so il perché ma si divertono a terrorizzare i turisti puntandoli e scartando all’ultimo cosicché i poveri malcapitati si prendano un colpo. È comunque una pratica molto comune perché mi era già capitata una mezza dozzina di volte in due giorni di bici, allora ho preso contromisure.
Io giro in bici un po’ ovunque, potrei dire che è quasi una mia protesi extra-corporea, e quindi ho una certa maneggevolezza con essa: insomma, succede che questi fanno per puntarmi contro, e io acquisto una faccia ferma e risoluta, quasi da killer (la variante è l’urlo di qualcosa di insensato in italiano tipo «la donna è mobile!!!», «qual piume al vento!!!» o «sopra la panca!!!») e faccio finta di mirarli io per primo – insomma, succede che alla fine sono sempre loro a sterzare per primi. E quando mi giro e li saluto in arabo vedo che si sono presi un bel colpo, ma – forse per lo scampato pericolo – non sono mica arrabbiati, e un paio di volte m’hanno persino chiesto di rifarlo!
Qui sembra tutto un gioco. Magari.
immagino la scena, deve essere una roba divertentissima