Le storie

Molte delle persone che lavorano o hanno lavorato qui raccontano le storie delle persone che vivono nel campo: quello che gli è successo, i drammi e le aspettative. Io, per ora, non l’ho fatto. Ho spesso detto a varie persone: «poi mi racconterai la tua storia», ma non mi sono mai seduto ad ascoltarla. È stato un provvedimento inconsapevole, non ci ho ragionato, uno strano senso di pudore me lo ha interdetto, nonostante raccogliere storie sia una delle cose che più mi piace e nella quale penso di essere bravo.

In parte è stato certamente per ragioni contingenziali, come l’essere stato impegnato in attività che non ti permettono di fermarti e fare domande, ma c’è un’altra parte bella grossa di me che ancor prima di non raccontare le storie di queste persone, non si è messa d’impegno a raccoglierle. Nonostante questo, ovviamente, le ho sentite, dalle persone stesse o relate dagli altri, più di una volta in lacrime: «niente di nuovo, gli è morta tutta la famiglia e ora è qui, solo, senza un futuro».

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Spesso è sufficiente passare davanti a una tenda per essere invitati a prendere un tè, e la maggior parte delle persone è desiderosa di raccontarti di sé

Eppure ho preferito non raccontarle, senza rendermene conto. Ora mi sono fermato a ragionarci su, e ho pensato che il mio sia un pudore sciocco, che molte persone hanno voglia di raccontare la propria storia, e non c’è ragione per la quale non dovrei raccontarla anche io, a mia volta, dato che penso siano storie che interesserebbero a chi mi legge.

Ma visto che, comunque, ho questo tarlo che mi frulla in testa, ho pensato di domandare qui qualche parere. Credo che l’origine di questa mia refrattarietà sia stata una qualche forma di rispetto, ma facendo questo il racconto è finito per essere un’esperienza quasi vuota di persone, e non lo è. Quindi la mia idea, ora, sarebbe quella di cominciare, senza affanni, a raccontare alcune di queste storie. Voi cosa ne pensate?

p.s. Mi ero dimenticato di scriverlo, per chi leggesse solo il blog e non i social network: ho scritto un piccolo reportage per l’Unità su Katsika, chi vuole lo trova online qui.

14 Replies to “Le storie”

  1. Capisco il tuo pudore. Io confesso: mi piacerebbe sì leggerle… ma non so quanto sia giusto raccontarle al mondo intero, visto che tutte contengono dettagli personali (alcune probabilmente solo dettagli personali).

  2. Sul problema dei dettagli personali non mi esprimo: penso che ognuno abbia i suoi motivi per decidere di condividere la sua storia ed eventualmente ometterne delle parti, e che queste ragioni vadano rispettate in ogni situazione.

    Molto spesso queste storie vengono usate in modo strumentale (quanti articoli di giornale cominciano con la storia straziante di Tizio o Caio che viene usata per argomentare in modo fallace su una visione politica?), ma anche per un lettore saltuario come me è evidente che non è questo il caso. Anzi, secondo me raccontarle in un posto intellettualmente onesto come questo blog sarebbe utile per ribadire che, anche se un singolo esempio non può spiegare la complessità di un fenomeno sociopolitico, è pur sempre un tassello del puzzle.

    P.s. Ne approfitto per ringraziarti, Giovanni, per queste preziose testimonianze. Trovo il tuo blog davvero unico nel suo genere, e per questo molto importante.

  3. Racconta, racconta.
    Se ti restano ancora dubbi ti basterà omettere i nomi, o meglio ancora sostituirli con nomi di fantasia.

  4. sì, credo che le loro storie siano personalissime ma che appartengano all’umanità. E che l’umanità ne abbia disperatamente bisogno. Perché non si sentano sempre e solo i rutti di Salvini, Trump e simili

  5. la vera storia dell’umanità non è quella dei grandi eventi,la grande Storia dei libri di scuola,ma è quella fatta delle piccole storie di ognuno e di tutti. Questa sarebbe la vera storia ” maestra di vita ” , studiandola e meditandola arriveremmo forse ad evitare le tragedie dei campi come quello al quale stai dedicandoti con tanta profonda umana partecipazione.Raccogliere i racconti spontanei dei rifugiati e farli conoscere con il loro consenso e con profondo rispetto sarebbe il modo per farci sentire più vicini e per conoscersi e comprendersi, dunque una cosa buona. Attendiamo augurandoti ancora buon lavoro

  6. Ciao, Giovanni
    è la seconda volta che ti vedo titubante nel voler raccontare. Perplessità in questo senso ne avevi espresse nell’incipit del post precedente: “Mi sono domandato se avesse senso raccontarla qui, in fondo è un luogo pubblico”. Probabilmente erano diversi i motivi, però il risultato è il medesimo. In quello stesso incipit scrivesti anche: “Mentre lo faccio, mi rendo conto che c’è un rischio di essere narcisista…”. Ora – la butto lì – non è che il tuo problema di fondo, il principale responsabile di questa specie di blocco, sia proprio la fobia più o meno cosciente di apparire un narcisista?

  7. @ Marcello:
    Grazie dello spunto: ci ho riflettuto, ma non capisco dove sarebbe la componente narcisista del raccontare le storie [mentre la vedo nell’altro post].

    E poi, nel caso, sarebbe essere, non apparire narcisista, no?

  8. Caro Giovanni, presi dalle reciproche contingenze,ci siamo parlati poco in questo periodo condiviso al campo Katsikas. Ti avrei scritto in ogni caso ma ora a maggior ragione perche’ chiedi se parlare delle storie che conosci e naturalmente io ti dico di si. In estrema sintesi credo che possiamo aiutare maggiormente queste persone se creeremo consapevolezza di cosa debba fare la politica a livello europeo e strutturare un movimento di opinione capace di pressare la politica. La gente si lascia influenzare e coinvolgere in particolare sulle belle idee ma anche se alle idee corrispondono visi,nomi,emozioni sentimenti che creano delle forti identificazioni e coinvolgimenti e tu in questo potresti essere maestro. Pensa ad un libro di storie in cui gli attori siano finalmente gli ultimi della terra con la loro dignita’ di perdenti capaci di insegnare a noi, bravi, ricchi, acculturati, benpensanti come si deve vivere. Ti faccio una domanda retorica: ma non saresti piu’ produttivo a scrivere le storie nascoste che appassionerebbero la gente piuttosto che organizzare il magazzino del vestiario dei profughi ? Per fare questo sarebbe sufficiente un Augusto qualsiasi mentre ognuno di noi deve produrre il massimo a seconda dei nostri talenti, in particolare se sentiamo la responsabilita’ di aiutare gli altri. Non e’ facile parlare dei massimi sistemi in quattro righe ma spero di essermi fatto intendere, aggiungo anche che quello che scriverai rimarra’ e assumera’un valore assoluto per il futuro. Giovanni, vola alto perche e’ quello che ti compete.Un abbraccio e rimango a disposizione per gli approfondimenti e le considerazioni che vorrai condividere, Augusto

  9. ciao giovanni, RISPETTO E PUDORE, sembra il titolo di una fiction italiana, ma in questo caso non lo è, sentimenti che ti fanno onore.
    Io mi farei un’altra domanda ….. siamo sicuri che rendere pubbliche le storie anche intime della sofferenza altrui serva a sensibilizzare gli animi di un pubblico disattento e socialassorto ??????

  10. Non le racconti perchè ci sei dentro fino al collo, hai paura di rimanere troppo coinvolto dalle storie di quelle persone. Ora sei li a svolgere un compito, ad aiutare e giustamente una parte di te ti dice di mantenere un certo distacco.
    Alcuni manifestano questo distacco con gli atteggiamenti personali, magari non dando confidenza alle persone. Probabilmente tu che sei uno scrittore sai già inconsciamente che scrivendone il tuo legame con quelle storie e quindi con quelle persone diventerebbe troppo stretto.

    Non scriverne ora, aspetta quando sarai lontano, lo farai volentieri. Non dimenticarti di prendere appunti pero! ciao

  11. Banalmente, penso che tu sia titubante perché quelle storie sono state raccontate a te, e certamente hanno bisogno di raccontarle, ma non è detto che i protagonisti abbiano piacere nel raccontarle a tutti.

  12. Questa cosa delle storie e del pudore mi sembra di riconoscerla in me quando dopo il terremoto dell’Aquila sono andata a fare la conta di morti, feriti e displaced. Da un lato ci stavo scrivendo un libro, dall’altro si era deciso a monte con l’ editore che non sarebbe stato un libro sul terremoto, ed è diventato una guida sentimentale della zona, che paradossalmente a suo tempo pare sia stata di conforto a un mucchio di gente. Io fondamentalmente mi sentivo in colpa di non essere toccata nel quotidiano, anche se lo sono stata negli affetti, dal rivolgimento. me ne sarei tornata a casa subito dopo (anche se casa mia lì ormai era andata, vivo all’ estero da anni e un posto a cui tornare ce l’ avevo). Non so se anche per te sia questo: tu da quel campo te ne vai quando ti pare, loro no.

    Ora la questione privacy altrui si risolve semplicemente: quando ti hanno raccontato la storia chiedi se era solo per te o se hanno piacere che la racconti a un pubblico più vasto, magari senza dire nomi o particolari compromettenti. e senti le persone cosa ti rispondono, da lì ti regoli per te stesso.

    Insomma, mi sembra che possa essere interessante per te capire la tua reazione (intanto l’ hai notata e pure questo è importante): lo fai per proteggerti, lo fai per pudore, lo fai per non sembrare l’avvoltoio delle storie disperate altrui. Potresti farlo come monumento alle vite e alle storie di eprsone che in questo momento una propria voce individuale la devonopoter ritrovare. Ti metti al servizio delle storie altrui, che magari vogliono venir fuori. Vedi tu.

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