Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.
Caravaggio bruciava di rabbia
Siamo proprio agli sgoccioli del sedicesimo secolo, e Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, non è ancora così famoso: sta per dipingere quelli che sono i suoi primi capolavori: la “Vocazione di San Matteo” e il “Martitio di San Matteo”. E fa il botto, come non si dovrebbe dire per un pittore. I dipinti, collocati nella cappella Contarelli – e tutt’ora lì – a San Luigi dei francesi, vengono apprezzati da tutti, e destano l’invidia di tanti. Quello che brucia d’invidia è Tiberio Cerasi, monsignore, che punta più in alto e commissiona a Caravaggio un dipinto sulla conversione di Saulo, cioè Paolo di Tarso. È quel dipinto che c’ha messo in testa che San Paolo sarebbe caduto da cavallo, anche se il buon (si fa per dire) Saulo non l’ha mai scritto. Anzi, no, non è ancora quello. Perché Caravaggio fa una prima versione, va dal Cerasi e gliela propone. E il Monsignore gli dice «no». Come no? Ecco, no. Non ci piace. Ma è un quadro di Caravaggio, perbacco! Niente, rifallo, da capo. Che fosse un quadro di Caravaggio lo sapeva bene, per primo, lo stesso Caravaggio, che proprio non ci sta. Prende questo dipinto, se l’arrotola sotto l’ascella, e si mette a vagabondare per Roma, schiumante di rabbia, con l’intento di trovare un bell’angolino per dare alle fiamme quella tela rifiutata, come smacco. Caravaggio brucia di rabbia, non si ricorda più dove sta andando, e si ritrova a Campo de’ Fiori, o lì nei pressi. C’è un assembramento di folla, e il pittore, la cui ira era evidentemente superata dalla curiosità, domanda a un villico: «ma che succede?», quello gli risponde «Lì ar Campo, li preti stanno a brucià n’eretico».
Caravaggio, intimorito, di roghi non ne volle più sapere: tornò a casa – si armò di pittura, di genio e di volontà – e si mise a dipingere la celebre “Conversione di San Paolo” nella forma mirabile che gli conosciamo noi.
Quel giorno era il 17 febbraio del 1600, e l’eretico – che intimorì Caravaggio e atterrì il Papa – era il povero Giordano Bruno, arso vivo per aver fatto girare la Terra, e le palle a “li preti”.
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