Come succede in tutti i paesini d’origine dei personaggi celebri, arrivato il giorno del compleanno del VIP in questione, sono tutti a festeggiare: succede a Corigliano per Gattuso, a Pacentro per Madonna, e a Betlemme… per Gesù Cristo!
Oggi Betlemme è una città blindata, c’è un soldato per ogni incrocio, anche il più piccolo. Blindata e ripulita, di manifesti dei martiri se ne distinguono pochi, e ho visto un paio di bandiere con Arafat ammainate; del solitamente onnipresente Saddam neanche uno. Sulle strade più celebri sono comparsi un sacco di sigilli USAID, che oltre a certificare un investimento americano (che però fuori dalle feste è circoscritto a una sola struttura), dovrebbe rassicurare i turisti, credo.
Stamattina c’è stata la marcia degli scout. In una società così ordinata (nel senso di ordinamento, non di ordine) come quella palestinese tutti i cristiani fanno il cursus honorum cristiano: battesimo, scuola cristiana, scout, comunione, cresima, etc. C’erano anche vari dei miei bambini, o di quelli a cui ho fatto lezione d’italiano, ma c’erano anche tanti bambini da scuole cristiane (quindi non vedrete donne velate) di tutta la Palestina: chissà da quanto tempo preparavano l’avvenimento – per certo, passando nei pressi delle scuole in questi giorni sentivi il rullare dei tamburi…
Intanto un bel video, mentre passava la marcia sulla piazza della mangiatoia, è giunto il momento della preghiera del muezzin, e dagli altoparlanti della moschea lì davanti, sono cominciati a uscire gli “Allah akbar”, ed è come se si sfidassero a chi faceva più rumore:
Poi alcune foto:
I neri, greci:
Le bimbe tamburano:
Secondo me hanno anche freddo:
Ci sono tutte le confessioni, con vari cortei da varie città; e poi ci sono pochini gli armeni, con la bandiera armena un po’ ovunque:
Varie bandiere:
Altri tamburi:
Per una volta sono gli uomini a portare il “velo”, e non le donne:
Qualcuno meno fine lo definirebbe il “lato b” della marcia:
Loro sono mussulmane, le uniche: approfittano dell’occasione mediatica per mostrare le foto dei propri mariti o figli morti. Susciterebbero tutta la mia compassione, se non avessi visto le stesse foto – in occasioni meno “occidentali” – con il mitra in pugno:
Non ci crederete, ma fra i miei soliti mille fogliacci che porto a casa, hanno iniziato a comparire anche geroglifici tipo ضعثسÙØ® (no, non è una parola di senso compiuto, è “questo” scritto con la tastiera araba”). È difficilissimo. Ma peggio di quello che potreste aspettarvi, molto peggio. Avrei talmente tanti esempi da farvi, che non so quale scegliere.
E poi, c’è quella storia del fatto che tutti qui hanno nomi in arabo, ma – specie i cristiani – si fanno chiamare con l’equivalente italiano del loro nome in Arabo: quindi Meriem si fa chiamare Maria (o Mary dagli angloparlanti), Yusuf si fa chiamare Giuseppe (o Joseph), e così via. È un accorgimento utile a semplificare la vita degli stranieri, che troverebbero molto ostici alcuni nomi arabi. Per fortuna non ho ancora trovato un “Aissa” che si faccia chiamare Gesù.
Ecco, per la prima volta sono riuscito a instaurare il procedimento inverso: finalmente una persona mi chiama Hanna, abbreviazione di Johanna, che sarebbe “Giovanni” in arabo.
p.s. Domani per Betlemme è IL grande giorno (se si comprende in domani anche l’arco che va dalle 24 alle 02.00 del 25), purtroppo data la poca internnetticità non posso fare liveblogging, ma cercherò di raccontare tutto.
Fra le attività correlate a quelle del Centro, c’è l’incontro con delle famiglie che sono aiutate in un modo nell’altro da qualcuna di queste strutture. In una di queste famiglie, Salim, il padre di famiglia – dimentico di quanto queste pratiche confliggano con il fortissimamente professato cristianesimo – mi ha letto il fondo della tazzina di caffè.
Davvero, non riesco a immaginare delle profezie meno azzeccate, anche nella sua estrema genericità. E lui pareva crederci veramente: l’unica cosa precisa che ha detto è che tornerò in Italia prima della fine del tempo perché qualcuno a Roma starà poco bene. Vedremo.
Voglio indietro il mio pallone! – Diario dalla Palestina 106
Ricordate quando da bambini si giocava in piazzetta, o nelle stradine e il pallone andava inevitabilmente a finire nel giardino del vicino cattivo cattivo, e c’era sempre un coraggioso che scavalcava il muretto o la recinzione – sfidando l’ira funesta del proprietario – per andare a riprendere il pallone prima che fosse troppo tardi?
E le volte che questa operazione non riusciva e quello minacciava di bucare il pallone, oppure di tenerlo lì senza ridarlo?
Sto provando a dare seguito a un’idea bella bella bella che mi è venuta qualche giorno fa. Non vi dico nulla sperando di potervi mettera a parte, a fatto compiuto.