Nel paese di Enzo Baldoni

Quando quest’estate mi scrisse Saverio, dopo la scemata di Piazza del Popolo, chiedendomi “vieni a parlarcene?”, io ebbi la reazione che si ha quando uno sconosciuto chiama il tuo nome. Mi son girato, ho visto che dietro alla mia scrivania non c’era nessuno, e ho detto: ma parli proprio a me?. Dice, sì, noi si pensa – qui a Città di Castello – che la cosa che hai fatto è un sacco significativa, io dico, guarda vi sbagliate, però a Città di Castello ci vengo – sì che certo.

La loro associazione culturale si chiama Il Fondino, andate a darci un’occhiata perché quelli che parleranno assieme a me hanno fatto delle cose davvero significative.
Di più: prima di noi hanno parlato Ettore Scola e Vincenzo Cerami (una volta vi racconterò di come ho preso 30 e lode a un esame con Cerami raccontando una barzelletta – voi dite, ecco come ti sei laureato!).

E io che c’entro? Sì, esatto, me lo domando anche io. Però intanto vado lì, e – per non essere all’altezza – racconto un po’ di prodromi della scemata, e faccio una bella apologia del proselitismo!

Insomma, domenica sera son lì. Se qualcuno di Bolzano sabato sera fa tardi e decide d’andarsi a prendere un caffè a Reggio Calabria, beh, più o meno di passaggio c’è Città di Castello. In quel caso, dopo il caffè, affacciatevi.

Posso èsse amico tuo?

GRADISCA, PRESIDENTE

L’ultimo giornale che parla di me mi è stato regalato qualche giorno fa da Ludovico Fontana, un giovane giornalista del «Corriere del Mezzogiorno»

Ho appena scoperto che la quindicesima parola del libro di Patrizia D’Addario parla di mio cugino!

(sono invidiosissimo)

Delusione

L’aereo è arrivato con un’ora e mezzo di ritardo, e non c’era nessuno. Cioè solo una persona, ma la conoscevo già e non vale. Se qualcuno è venuto all’ora esatta ed è tornato a casa non sapendo dell’attesa, mi dispiace.

p.s. E grazie per i messaggi di benvenuto

Voglio pubblicare un libro

Uhm, forse questa cosa dovevo scriverla la settimana scorsa, quando un sacco di gente nuova è capitata sul mio blog, ma – e lo dico senza alcun compiacimento – il marketing non è il mio forte.

Dunque, io ho scritto questo libro, quando ero in Palestina. È un racconto dei miei giorni là. Chi mi ha seguito, al tempo, ne conosce buona parte. Poi l’ho aggiustato per bene, ci ho aggiunto delle cose, l’ho rivisto: secondo me è venuto bene, c’è molto del mio meglio.

Ora, l’ho quasi finito e lo vorrei pubblicare. Però non so come si fa. Allora io, intanto, metto qua un bell’estratto di venti pagine che secondo me riassume bene tutto il libro, perché c’è tutto: i bambini, la politica, la quotidianeità, e il conflitto arabo-israeliano. Anche io, un po’.

Se passa uno che fa l’editore, gli dà un’occhiata. Tutti gli altri, se hanno voglia, gli danno una letta e mi scrivono critiche e consigli: tanto il giorno che lo pubblico, voglio metterlo disponibile anche qui, gratis.
C’era anche un giornalista importante che era capitato sul mio blog al tempo della Guerra a Gaza manifestando apprezzamento, al quale avevo chiesto di farmi la prefazione, e che forse mi ha detto di sì.

Il libro lo trovate qui:
DISTANTI SALUTI, duecento racconti dalla Palestina

Concorso – la cena del cretino

In questi due giorni mi sono arrivate tantissime email, e sto piano piano rispondendo a tutte (quindi non vi preoccupate ché una risposta arriva) in mezzo ai mille affaccendamenti per la partenza.

Ho pensato a questo: visto che molti mi hanno proposto d’incontraci, come fossi una celebrità, ma anche come fossi – quale sono – un cretino, l’idea è la seguente: la cena del cretino, che poi sarebbe il pranzo del cretino, ma non tornerebbe col film.

Come funziona? Non dirò a nessun amico, né nessuna madre/padre/sorella/cugino, di venirmi a prendere all’aeroporto. Chi vuole, fra tutti i lettori, simpatizzanti, sicarî, animali addomesticati, api maie, viene e ci si va a fare tutti insieme una mangiata. Dove? Io direi ad Ariccia, dove si mangia bene e si spende poco (ho un posto dove una volta feci qualcuna delle mie scemate, tipo giochi a cui alla fine parteciparono tutti gli avventori, e il gestore mi chiese – per favore – di tornarci, promettendomi di poter mangiare “per sempre” tutto quello che voglio a 10 euro: e si badi bene, non “a vita”, ma “per sempre”!), ma comunque sono aperto a tutte le proposte: una volta che ci incontriamo si decide a maggioranza, e se siamo pari ne ammazziamo uno (in caso possiamo chiedere l’aiuto dei sicarî convenuti).

Ovviamente il tutto a rischio e pericolo, magari non viene nessuno e mi prendo il mio bel pullman per Ottaviano, la mia bella metro per Flaminio, il mio bel trenino per Labaro, e il mio bel bus per Colli d’Oro.
Se invece qualcuno c’è, ci facciamo una bella mangiata, ci divertiamo un primo pomeriggio, vi porto sulla salita-che-sembra-una-discesa dove tu metti una biglia e invece di scendere sale, e ci facciamo qualche bella foto che metto sul blog, e chi ha un blog mette sul suo blog.

Quando? Beh, avevo pensato di proporvi di venire al mio arrivo a Ouagadougou, in Burkina Faso, ma poi ho riflettuto che vi sarebbe stato un po’ ostico raggiungerlo (pelandroni! Ho sempre sognato di usare questa parola), quindi facciamo quando torno a Roma.
E cioè? Io arrivo a Fiumicino giovedì 12 novembre alle 12.40 con Air Algerie (faccio scalo ad Algeri), e ci vediamo all’uscita del Terminal C: il mio numero di telefono è 3281682797, così non ci perdiamo. Poi lo ripeterò, più in là, ma intanto chi vuole mangiare tanta porchetta e bere il vino de li Castelli se lo segni.
E per chi non è di Roma? Beh, non pretendo tanto! Ma se qualcuno vuole approfittarne per farsi un giro nella capitale posso offrire un materasso per terra in camera mia.

Unica regola: nessuno mi dica “io vengo”, voglio davvero rischiare di rimanere lì come uno stambecco.

Il Burkina Faso, il Grande Fratello, e mia nonna

Ieri ho scritto due cose che hanno fatto sì che molte persone mi scrivessero, per la maggior parte gente che già conoscevo, chiedendomi e facendomi commenti.
Allora forse è il caso di aggiungere qualche parola su entrambe le cose.

La prima è la notizia della partenza per il Burkina Faso: intanto no, non vado ancora una volta per dei mesi. Vado per due settimane a organizzare un incontro di Alto Livello al quale parteciperanno molte First Lady africane e ministri per la parità di quei paesi. La conferenza è messa in piedi, insieme al governo del Burkina Faso, dalla Cooperazione italiana,  da alcune agenzie ONU, e principalmente da Non c’è Pace Senza Giustizia. Il titolo è “per la totale messa al bando delle mutilazioni genitali femminili”.

Non c’è Pace Senza Giustizia è un’organizzazione non governativa con la quale ho iniziatoa collaborare da qualche mese.
Effettivamente questo è un cambio abbastanza radicale nel mio approccio: se c’è una cosa che aveva accomunato le mie esperienze di volontariato, con i bimbi in Palestina, al tendone dei senza tetto, in Abruzzo dopo il terremoto, o a insegnare italiano agli immigrati, era il tentativo di fare le cose “dal di dentro”, in mezzo ai fatti.
Mi sono però sempre più reso conto di una cosa: gli sforzi dal basso sono genuini, coraggiosi, e in una misura funzionano, ma un impegno più politico, con più risorse, delle volte riesce a fare anche di più: cambiare le cose con la volontà politica, ché spesso non basta “cambiare il mondo per cambiare le leggi” perché delle volte bisogna anche cambiare le leggi per cambiare il mondo.

Così ho provato a vedere quale fosse il modo per cominciare a lavorare “dall’alto”. Sapete che quello che considero il più grande scempio, nel mondo, è la privazione dei diritti delle donne, e quello che considero il più grande scempio, fra le privazioni dei diritti delle donne, sono le mutilazioni genitali femminili. Così ho conosciuto Non c’è Pace Senza Giustizia e ho iniziato a dare una mano lì. Sono bravissimi. Se dovessi, un giorno, avere diecimila euro da dare in beneficienza li darei subito a Non c’è Pace Senza Giustizia, perché ho visto il lavoro che fanno e l’approccio con cui lo fanno. Mi sembra una delle poche associazioni che sta, davvero e sempre, dalla parte di chi subisce un sopruso.

Questa incontro a Ouagadougou è quello che segue l’incontro simile tenutosi al Cairo l’anno scorso e cinque anni prima, in cui le First Lady dei varî stati si sono impegnate a dare una legge e un’applicazione a tale legge in ogni singolo stato. Piano piano le cose cambiano, e gli stati dell’Africa che si dotano di una legge sono sepre di più: ora diciassette. Speriamo che dopo questo incontro, siano ancora di più. L’incontro è dall’8 al 10 di novembre, e io starò lì per un paio di settimane a cavallo di quella data. Poi sarò di ritorno a Roma.

L’altra cosa è il Grande Fratello, e su questo volevo commentare le email che ho ricevuto solo in un modo: non sono un eroe.
Né un antieroe. Non ho fatto nulla di eroico, ma soltanto quello che mi è sembrato più sensato, e ciò di cui avevo voglia, in quel momento.
Accetto al massimo – ogni scarrafone, eccetera – di essere l’eroe di mia nonna, che – senza dirmi che legge il mio blog, né a cosa si riferiva – mi ha scritto un’email che diceva solo così:

sei un eroe.Grazie per non avermi dato questa umiliazione.   ti abbraccio

Credo che molte altre nonne, diversamente, si sarebbero dispiaciute di non poter vedere il proprio nipote in televisione.
Se non ho firmato quel contratto, forse, è anche merito della nonna Vittoria, di essere cresciuto con lei.

Distanti saluti al Grande Fratello

Nel senso di saluti da lontano. Ho letto che ieri è cominciato il Grande Fratello.

INTRODUZIONE
Oggi vi racconto una cosa che non ho raccontato al tempo per un insieme di ragioni, prima delle quali è che non avevo tanta voglia di ascoltare pareri altrui, o più precisamente non avevo voglia di ascoltare pareri impegnati nel convincermi a cambiare idea: una brutta ragione la mia, insomma, ma ogni tanto capita.

Capita dunque questo: la volta che avevo fatto la scemata dello stendino in Piazza del Popolo, quel minuto spazietto di celebrità che aveva attirato – più di quanto meritato, a dire il vero -, aveva catalizzato su di me un’attenzione impropria: c’era stato il piccolo servizio del tg3, il breve intervento a Condor, le pagina sul boxino morboso di Repubblica, pezzi sui giornali locali e qualche intervista su altre radio.

L’EMAIL
In quei giorni lì mi aveva scritto anche una persona, molto cortese, dalla “Endemol che realizza il Grande Fratello” chiedendomi “Sei inorridito o incuriosito?” e aggiungendo poi: “Ci interesserebbe incontrarti. A te interesserebbe incontrare noi?”.
Tutto in modo molto gentile, perfino più di un certo limite, chiudendo la mail aggiungeva che, se non avevo voglia di rispondere, “noi teniamo d’occhio il blog” e “Verremmo a trovarti in piazza”.

Io avevo risposto che no, non ero intimorito. E che non avevo quel tipo di pregiudizî. Che avevo parlato con chiunque di qualunque cosa, perché non avrei dovuto parlare con loro? Ma che il Grande Fratello è “un programma che non seguo”, che “non pens(av)o di essere il candidato più adatto a entrare nella casa” e che “insomma, penso che il Grande Fratello non lo farei”.
Non sono uno duro e puro, o che la televisione è il diavolo. Magari in un altro frangente della mia vita avrei detto di sì, però ora ho altri progetti. E poi il Grande Fratello mi sembra una cosa soprattutto noiosa. Cinque mesi senza sapere nulla del mondo, senza poter parlare con le persone a cui vuoi bene. E non mi sarei trovato a mio agio in certe dinamiche morbose. Insomma, il mio rifiuto era un rifiuto molto minimalista, non eroico. Se mi avessero offerto di fare le Iene, che pure non è per me il massimo dell’intrattenimento, probabilmente avrei accettato.

LE TELEFONATE
Pensavo che la mia risposta li avesse dissuasi, anche perché una volta mi era capitato di vedere in un centro commerciale di Trieste la fila che c’era per i provini. Come dire: perché dovrei interessargli proprio io?
Per qualche giorno, difatti, non ho risposta; poi però, diversi dì dopo, mi richiamano una volta, e poi altre due. Mi dicono che «non devo avere paura di loro», io dico loro che non ho paura, ma che non vorrei far perdere loro del tempo. Perché il programma, davvero, non ho voglia di farlo. Ho altri progetti, dico loro. È davvero un momento in cui ho un sacco di altre cose da fare. Loro mi dicono: «guarda che sei sempre in tempo a rifiutare, vieni e ci facciamo una chiacchierata». Io ci penso: effettivamente cosa ho da perdere? Nulla, anzi, è sempre stata una mia curiosità vedere come funzionano questi reclutamenti.

Dico loro che, al limite, vado per vedere come funzionano queste cose, ma che al Grande Fratello non ci andrei, quindi farei loro perdere tempo: mi dicono che certo, non è un problema «tanto di tempo ne abbiamo». L’importante è che io non sia impaurito da loro.
Non nascondo che pensavo anche che, magari, avrei potuto convincerli a farmi fare qualcos’altro: chessò, lavorare con la Gialappa’s Band. Non era questione di principio, non che il classico binomio ricco&famoso mi ripugnasse, anzi, il contrario.

L’INCONTRO
Così in una mattina d’agosto mi ritrovo a salire le scale di questi studî cinematografici, le cui pareti sono piene di poster con l’occhio simbolo del Grande Fratello. Anche tutte le indicazioni sono scritte su manifesti così, con una freccia. Arrivo lì, mi accoglie una ragazza che mi accompagna su una verandina dove c’è un tavolo e una sedia. Mi porge una penna e un malloppo di fogli. «Firmi questo», mi dice. Rientra e mi lascia solo con quel contratto.

Io comincio a leggere, “il contraente si impegna a” e poi un sacco di cose che riguardano “il trattamento della sua immagine”, Italia 1 e Canale 5. Più che vado avanti più che mi domando “ma che ci sto a fare qui?”. La parola “immagine” torna mille volte, lì dentro ci sono scandite mille condizioni e clausole sul maneggiamento della propria apparenza, e delle proprie apparizioni: mi rendo conto di sentirmi enormemente fuori luogo. Non è il posto per me. Restituisco la penna alla signora e la ringrazio, le dico che non mi interessa. Prova a dissuadermi, mentre raccolgo le mie cose. Io, molto timidamente, le dico che – davvero – le sono grato, ma vorrei andare via. Mentre cerca di insistere, ancora una volta, esce da una porta un signore più anziano: con il taglio della mano le fa “basta”, come dire “peggio per lui”. Io le sorrido, le stringo la mano. Poi, per andare verso l’uscita, passo davanti al signore, sorrido anche a lui e gli dico «buon lavoro», supero la porta ed esco dagli studî, soddisfatto di non essermi forzato. Sensazione che conservo tutt’oggi. Qui finisce la storia.

In ogni caso è molto probabile che, magari, gli sarei stato antipatico, e che insomma – qualunque scelta avessi fatto – non mi avreste visto al Grande Fratello.