Un sorriso gratis

Oggi sono passato davanti a una ragazzotta che aveva un’espressione veramente strana, com molto impegnata ma anche assorta e fuori, poi gli sono passato accanto e ho sentito che prufumava di mamma, non so se mi spiego bene, e mi ha fatto molta tenerezza.

Il mondo fa schifo

Ricordate la faccenda di ieri, dell’incidente e della signora che m’era venuta addosso? Dovevo chiamarmi oggi, per darmi i soldi dei danni. E tutto a posto.

Oggi non mi chiama, la richiamo e mi dice che non ha intenzione di darmi i soldi perché aveva ragione lei.  In pratica il marito è andato dall’assicurazione – ho capito – e quelli gli hanno detto che modificando la sua versione può avere ragione lei, perché quella era una strada principale e aveva la precedenza.

Ovviamente io avevo già impegnato l’incrocio, che è molto lungo, e lei mi ha preso sulla parte posteriore della bici, io sono saltato sul cofano e poi sono andato per terra. Ma come faccio a dimostrare che io avevo già impegnato l’incrocio (lei era ferma)?

Avevo visto che lei era con due bambini, molto impaurita, allora ho cercato di tranquillizzarla. Le ho detto che non m’ero fatto nulla, e che non si preoccupasse, non sarei andato all’ospedale. Lei mi continuava a ripetere scusascusascusa. Mi ha detto: «è che in qusta macchina proprio non si vede davanti, c’è un “buco di visuale”». Io volevo pure registrarla, ho iniziato a farlo con il cellulare, mentre lo diceva. Ma ho smesso di farlo perché mi sembravo troppo stronzo: mi stava dicendo che m’avrebbe ripagato tutto, sembrava onestissima e impaurita. Allora ho smesso di registrare e ora ho soltanto io che dico «è proprio mi sei venuta addosso»  e lei non eccepisce. Poi, fidandomi, come un cretino. Ho smesso.

Il biciclettaio, al quale siamo andati – c’erano lui e un amico che potevano testimoniare a mio favore perché avevano anche loro sentitole dire che era lei la colpevole, e che era lei aveva intenzione di pagare tutto – ha detto che lui non vuole essere messo in mezzo, con un atteggiamento da “non voglio altri problemi”, che mi ha proprio demoralizzato.

Confesso anche una cosa: quando quella lì m’ha chiamato, mi sono veramente arrabbiato. Ripeteva: «tanto tu non ti sei fatto nulla, vero?». Allora quando ho attaccato, bello arrabbiato, ho preso la macchina e sono andato al pronto soccorso. Dopo tutto un bel graffione ce l’ho, e una bella contusione muscolare se ti viene addosso una macchina c’è sempre. Ma poi, appena entrato in sala d’attesa, mi son sentito uno stronzo e non ce l’ho fatta, e me ne sono andato.

È chiaro che è una reazione emotiva, ma ora sono veramente demoralizzato per come il mondo fa schifo…

Dio e il Pi greco

Immerso nelle mie varie letture mangiapretesche,  leggevo che nella Bibbia – per due volte, qui e qui – Dio sbaglia la cifra di Pi greco.

Allora mi sono ricordato di quella specie di filastrocca molto carina che avevo assimilato – una di quelle cretinate che imparo a memoria – e che però non avevo mai messo sul blog; e anche se non siete Dio, può essere utile* per ricordarvi le prime quindici cifre del Pi greco. Fa così:

Tre, imperfettibile è degno archetipo di quella serie che svela – volgendo circolare – mirabil relazione

Che è la descrizione di ciò che il Pi greco è, ma è anche il Pi greco stesso – perché se contate le lettere di ogni parola contenuta nella frase, avrete:  tre, (3,) imperfettibile (14) è (1) degno (5) archetipo (9) di (2) quella (6) serie (5) che (3) svela (5) – volgendo (8) circolare (9) – mirabil (7) relazione (9), che sono anche le prime quindici cifre di Pi greco.

Perché Ï€ = 3,14159265358979…

*E se non trovate alcuna utilità nel ricordare le prime quindici cifre del Pi greco… vuoi mettere quanto ci si può bullare con gli amici..?

Maledizione in bicicletta, parte terza

Dopo la volta che un un guidatore pazzo palestinese mi investì in bici, e quella in cui l’esercito israeliano tento di fare esplodere la mia bicicletta, pensavo di averle scontate tutte.

E invece, la prima volta che riinforco la mia Viola (dovete sapere che la mia bici da corsa ha un nome, per una regola spiegatami da Gianluca), vado dal biciclettaio a gonfiare le gomme, e appena dietro casa, una signora, all’incrocio, esattamente come  il pazzo in Palestina, da ferma e senza guardare, mentre io ero già praticamente passato, mi viene addosso.

Io non mi faccio niente, anche se sbatto sul cofano e poi per terra. Ma proprio niente, qualche graffio. Viola, invece se l’è cavata peggio. La signora in questione ha accettato di pagarmi i danni e lei, la bici, è tornata dal biciclettaio dov’era stata fino a mezz’ora prima.

Ho capito che in bici non ci devo più andà.
Non demordo.

Votatemi

Luca, un mesetto fa, ha squarciato la mia serenità chiedendomi: «ma tu alle europee cosa voti?».
Ho pensato: “ah già”. Quindi ho iniziato, riportato alla cruda realtà, a pensarci. E stasera m’è saltata in mente quest’idea.

Un fatto che m’ha sempre dato fastidio era come il campo elettorale fosse l’unico (insieme a quello religioso) dove chiunque, anche non sapendone veramente nulla, sentiva la propria opinione sufficiente, la propria competenza ragguardevole, i consigli di chi ne sapeva di più non necessari. In genere l’approccio dogmatico che vado criticando da qualche mese a questa parte. Ovviamente ci sono opinioni personali su cui uno fonda questi principi che poi lo portano a votare in un certo senso, ma ho sempre avuto l’impressione che le cose andassero nel senso opposto.

Siccome ultimamente (dove per ultimamente si intendono gli ultimi 9 mesi) sono stato molto lontano dalla politica, volevo applicare a me stesso quel teorema, e cioè: chi devo votare?

Io vi spiego quello che penso, così, con le mie poche nozioni: poi voi mi dite cosa sbaglio, cosa dovrei fare, se c’è questa cosa che non ho considerato eccetera:

radicaliIo, così, senza nessun suggerimento, voterei i radicali.
Hanno sempre fatto tante cazzate (ma anche tante cose buone), però sempre in buona fede.
Poi, ora come ora, la cosa che mi ossessiona di più è la religione: meno ce n’è, e melgio è. Fare un salto in Medio Oriente a dimostrazione. Più in genere penso che i miei buoni amici credenti farebbero del bene anche se non credessero in Dio; mentre i miei nemici (Bin Laden, I coloni di Hebron, Ahmadinejad) credenti, sarebbero molto meno portati a fare del male se non credessero in Dio. Insomma, la so tutta la storia del voto buttato, ma almeno voto tranquillo. [il simbolo non è questo, ma questo mi piaceva di più]

pdIdealmente (molto idealmente) sarebbe il mio partito: in genere sono rimasto deluso (che novità eh?) dal PD, e nella circoscrizione centro non posso neanche dare la preferenza a Scalfarotto o alla nuova arrivata Serracchiani, ventate d’aria fresca, ma soprattutto le persone alla forma delle quali doveva essere costruito il PD perché non mi deludesse.  Laicità, europeismo, buone abitudini. Cose tremendamente minoritarie in tanto del resto del PD. Ovviamente non sono l’amante (scemo) deluso: non spero nella disfatta, ma anzi più voti prende più sono contento. Insomma, se mi date dei buoni argomenti mi convincete a rimetterci la croce.

idv Lo metto perché un sacco di gente, per bene, che conosco sta per votarli: quindi son io che non capisco. Ma no, questi credo proprio che sia difficile convincermi a votarli. Diciamo che un partito che ha sull’immigrazione – tema su cui io penso la cosa più ovvia: io ho più diritto a questa terra perché ho avuto il culo di nascerci? naaa – le posizioni della Lega, non può essere il mio partito. Il nome fa schifo (Valori, dopo “onore” la parola più reazionaria dell’intero vocabolario italiano),le candidature sono sempre più berlusconizzate (e le Tonino’s angels, e la tipa dell’Alitalia [era pure del Grande Fratello o mi sbaglio con qualcos’altro? etc.] e i magistrati) hanno un’idea di giustizia medievale: se devo votare un partito di destra – ma soprattutto iperconservatore – vabbè, ho capito, la smetto.
Poi, figuriamoci, non potrei mai votare un partito il cui leader non parla italiano.

sinistra-e-liberta A naso mi starebbero simpatici, già poi il fatto che a sinistra si torni a usare la parola “libertà” mi farebbe piacere. Poi considero i Verdi il partito dalle più grandi potenzialità non sfruttate, che ovviamente è un bene ed è un male. Che un vero partito dei Verdi, progressista, lontano dalla sindrome NIMBY sarebbe un patrimonio per l’Italia, come in molti altri paesi europei. Però, effettivamente, le persone sono sempre le stesse, quelle che hanno fatto di tutto perché i Verdi non fossero quella cosa lì.  Vendola m’è sempre piaciuto, molto: anche quando non condividevo tante delle cose che diceva. E pure Boselli che tutti hanno sempre criticato, ok, capisco il perché, macchissene. Poi un paio di persone che se ne intendono m’hanno detto che non c’è da fidarsi, con argomenti anche ben argomentati. Però, insomma, spiegatemi.

rif-comuni Partiamo da una considerazione: io sono convinto che dentro a Rifondazione Comunista ci fossero delle persone per bene, che davvero in buona fede, pensassero di non fare il proprio, ma di migliorare il mondo così. In Sicilia c’era gente, anticomunista d’ispirazione, che votava lì perché sapeva che erano gli unici che non rubavano. E quindi va bene. Ma come faccio a votare un partito che sta sempre, sempre, dalla parte sbagliata? Quando c’è un dittatore, c’è sempre da scontare qualcosa al dittatore. I diritti delle donne, e degli omosessuali sono importanti, ma solo in Italia. E poi come ci si fa a (ri)alleare col partito più stalinista che c’è: i Comunisti Italiani. Quelliche erano contro la (giusta) guerra in Jugoslavia, però si astennero perché il Partito-dettò-la-linea (la scritta, all’università “Rizzo pelato, servo della NATO” fu grandiosa: c’è sempre uno più puro, no?). Grandi fan di cuba, e vero partito omofobo a sinistra “i diritti degli omosessuali non sono una priorità”. Insomma, la vedo veramente dura convincermi a.

berlusconi

Ma scusa, quindi: tu non la voteresti una destra moderna, liberale e libertaria, quello che è – ovunque – la destra in Europa sui diritti civili, coppie di fatto, laicità? Sì, potrei anche. Appunto.

Esclusi anche questi.

*

Mi sembra, quindi, che le scelte verosimili si riducano a tre: ma non mi stupirebbe scoprire che ci siano altre liste che potrebbe avere un senso votare, e che io non conosco per niente.
Cosa non ho capito? Cosa ho trascurato? Cosa ignoro?

Tu che sei negro

Ma perché quelli che dicono «di colore», quando incontrano per strada un nero che non conoscono, gli danno del tu?

Partire per l’Aquila

A seguito di questo post, molte persone m’hanno chiesto qualche informazione in più, su come andare a dare una mano, di quelle che avevo riferito.
Per capire come funziona, e chi parte – appunto – è molto utile il post di Tommaso C. Lì c’è tutto quanto di ufficiale si possa reperire.

Poi vi dico quello che ho capito io: tutti dicono di non partire da soli. Da una parte ha senso, dall’altra un po’ meno. Vi spiego. Quando invece si sente dire che non c’è bisogno di persone che diano una mano, perché i ranghi sono al completo e le persone sufficienti – beh – questo non è vero. Anche perché quattro mani sono sempre meglio di due, se organizzate. Veniamo all’organizzazione, quindi.

Ora come ora, tutte le associazioni, Croce Rossa, Modavi, etc prendono nomi che saranno utili (?) in un futuro chissà quanto lontano. Sicuramente, questo mi è stato spiegato, in questi casi è molto più facile partire se avete già un gruppo, piuttosto che come singoli. Se chiamate il Modavi e dite «siamo otto ragazzi con una discreta esperienza in montaggio, smontaggio tende, etc», avrete sicuramente la priorità rispetto ai singoli. È vero, però, che le tende per gli sfollati, come del resto i campi, sono già tutte costruite: non è di quello che c’è bisogno, ora.

Quindi cosa fare? Bisogna farla un po’ all’italiana: cercate l’associazione di Protezione Civile più vicina. Purtroppo le pratiche di iscrizione impiegano molto tempo (anche se uno ha già lavorato con la Protezione Civile), ed è per questo che ci sono queste liste d’attesa. Se invece di telefonare per essere messi in lista d’attesa, andate lì, fate due chiacchiere, vi spiegano che è possibilissimo andare come privati cittadini, che ci sono già un sacco di ragazzi che lo stanno facendo. Il punto è capire dove, perché ovviamente a seconda di quello che uno sa fare, e a seconda del momento in cui può dare una mano, le necessità potrebbero essere diverse.

È qui che serve l’aiuto dell’associazione di cui sopra, chiedete se vi sanno dire dov’è che c’è necessità: l’importante è essere introdotti, poi se si va come cittadini privati, e dopo un mese arriva la copertura della Protezione Civile, cambia poco. I funzionarî di quelle associazioni vanno e vengono dai luoghi del terremoto a distanza di pochi giorni, così se chiedete loro «la prossima volta che passi nei varî campi, chiedi un po’ dove c’è bisogno di una mano?». Quello torna e vi dice: «guarda, al campo x ci sarebbe bisogno di uno che faccia questo, etc». A quanto ho capito già moltissimi sono partiti così, ufficialmente “privati cittadini di buona volontà” ma, in realtà, inviati dalla Protezione Civile. La burocrazia ci impiega sempre un po’ più di tempo.

Per quanto riguarda me, domani sera so quando parto.

Simone e Alessandra

Oggi ero Ar mare de Roma, e c’era una scritta che diceva “Ti amo… dolce essenza che inebria la mia vita. Simo + Ale”, così mi son chiesto se fossero Simone e Alessandra, o Simona e Alessandro (oppure ancora Simona e Alessandra, o Simone e Alessandro).

E dunque, preso dal dubbio vivido, ho visto che c’erano due che giocavano a racchettoni, lì davanti, gli ho posto la domanda. Loro, per nulla stupiti, si sono guardati e lui mi ha risposto: «beh, Simone e Alessandra, perché io mi chiamo Simone, e lei Alessandra». «Ma siete voi che l’avete scritto?». «No».

La scritta sul muro, pure col suo forzamento delle convenzioni, è diventata a sua volta una convenzione, e oramai non raggiunge nessun tipo d’originalità (tranne quello lì, o quella lì, che scrisse “io e te quattro metri sopra al cielo, perché a tre metri ci sta troppa gente”).

Ma piazzarsi davanti a una scritta, fatta da qualcun altro, mantiene un che di sovversivo. Ho voluto credere che si fossero messi lì per quello.

Se ne vogliono, eccome

Il reparto di rianimazione di un ospedale è un luogo, direi propriamente un ecosistema, strano. Dopo tre settimane di frequentazione grosso modo quotidiana posso dire di essermi fatto un’idea.
È strano davvero, perché è il contrario di quello che uno s’aspetterebbe. Si è tutti una famiglia, in uno dei pochi sensi genuini di questo termine. Arriva uno nuovo, diventa parte.

In rianimazione si ride, tanto, tantissimo. Per esorcizzare, per mandare via, la paura, l’attesa, la noia, sopratutto quell’atmosfera lì. Ovviamente la vita di questi branchi, vicini e lontani, è nelle file di sedie appena fuori dal reparto.

Si piange solo il primo giorno. In un modo sguaiato, che può capitare soltanto per un lutto (o per amore). Un modo senza pudore, senza dominio. Soprattutto trascurando completamente quello che pensano tutti gli altri. Una persona entra lì dentro per uscirne chissà quando, e chissà se viva. Chiunque l’accompagna, la prima volta, è in lacrime. Come non si vedono da nessun’altra parte, tutti gli altri – che conoscono la rianimazione – guardano, non fanno finta di niente. Chi è questo nuovo “compagno”? Non c’è censura sociale, se non fossero drammatiche quelle urla e quei pianti sarebbero molto belle.

Poi iniziano il secondo giorno, e il terzo, e il quarto. Sempre alla stessa ora, l’orario di visita. Che incomincia sempre un po’ più tardi dell’orario ufficiale – perché gli infermieri hanno sempre qualcosa da fare – ma finisce sempre molto più tardi dell’orario ufficiale – perché gli infermieri sono esseri umani. E possono entrare poche persone alla volta, così tutti gli altri stano fuori e chaicchierano. Spesso ridono, tante volte ridono. Ti colpisce, è un po’ meno bello, perché sono sorriso di plastica, e si vede. Ma è tanto più umano.

E quelli che il giorno prima avevi intravisto, dagli angoli dei tuoi occhi pieni di lacrime, diventano come incidentali compagni di viaggio. C’è quella cosa che dà tanto sollievo, nel raccontarsi del come-è-successo: che è diverso da ogni altro posto. Non c’è quel peso di spiegarlo, quel peso di non cercare di far sentire un peso – ulteriore – alle persone che ti chiedono: «come mai sei qui?» o «vai in ospedale? Perché».
Fra la gente di quel gruppo non c’è bisogno di spiegarselo: tutti sanno perché sei lì.

E c’è tanta umanità, non solo nell’infermiere napoletano che ti dice «piccirullo, sctai tranquillo, chianu chianu tutto va a posto», ma nel discutere di politica, di calcio, di economia e dei presunti complotti della politica, del calcio, dell’economia. Perché bisogna anche respirare.

Poi, ogni tanto, uno ce la fa. Si saluta, e tutti sono sinceramente contenti che quell’altro, di cui seguivano i minimi progressi («oggi ha respirato autonomamente per 5 minuti!» «accidenti, bene!») ogni volta che si presentavano o un persona emotivamente condizionata li vagheggiava, ce l’abbia fatta. Gli si augura una buona vita, e tanto tanto bene, in un modo onesto e innocente, anche se non li si rivedrà più.

Credo che penserò a quei pianti – e a tutto questo – le volte che sentirò dire che «nel mondo c’è tanto odio e nessuno si vuole bene». Accidenti se sì.

*

Patrizia ha lasciato oggi rianimazione, ed è stata trasferita oggi nel reparto di neurologia: è un grande passo avanti. La tac non ha riscontrato danni permanenti, anche se la riabilitazione potrebbe durare anni, ma già questo era inimmaginabile fino a dieci giorni fa. C’è luce.