E anche se l’omosessualità fosse una scelta?

Quando si leggono notizie come queste, “padre accoltella figlio perché gay”, si parte sempre dal presupposto che l’omosessualità non sia una condizione sui cui l’interessato può speculare. Si dice sempre, per difendere una persona dall’orrore di non essere accettato, che “l’omosessualità non è una scelta”. Capisco l’utilità nell’affermarlo, capisco e condivido il salvifico principio della riduzione del danno; però bisognerebbe sempre pensarci – e magari dirlo – che la cosa è del tutto irrilevante: fosse anche una scelta, sarebbe opinabile quanto tutte le altre scelte, quindi quanto l’eterosessualità.

Perché sì, le discussioni su un livello filosofico un po’ più distaccato dal materialismo (assolutamente necessario) del sopruso quotidiano sono il campo d’inciampo della sinistra, se non c’è Dio a stabilire il Giusto, e non si accetta il relativismo bieco e fancazzista, bisogna trovare un nuovo appiglio che necessariamente non è evoluto. Spesso si ripiega sul diritto naturale, o più abborracciatamente su cosa ci sia in natura (senza spiegare perché quello che c’è in natura, annesse le peggiori crudeltà fra animali, dovrebbe essere giusto); si difende dall’accusa della contro-naturalità dei gay obiettatando che non sia “naturale” neanche il matrimonio, o che persino fra altri animali – scimmie in testa – l’omosessualità sia diffusa. Anche qui: foss’anche innaturale, embè?

Certo che – se non si mette in mezzo un Dio – non c’è nessun motivo Universalmente Giusto per nessuna cosa, quindi neanche per i diritti civili, per il riconoscimento delle coppie gay, etc. Ma portiamola alle proprie conseguenze questa argomentazione, quella per la quale Bagnasco ha – impeccabilmente – sovrapposto incesto e omosessualità, diciamo che non c’è nessun motivo Universalmente Giusto per non bruciare in piazza i gay, e staccar loro le braccia: e questo è – argomentativamente – un pizzico meno persuasivo, no? Ma soprattutto non c’è nessun motivo per non fare lo stesso con chi è eterosessuale. Non c’è nessuna ragione perché sia Giusto riconoscere il matrimonio etero, per dire.

Facciamola noi ‘sta scelta, decidiamo di essere partigiani, di stare dalla parte dei più deboli: faziosi delle minoranze. Non per il fascino romantico di quest’ultime da parte di un certo conservatorismo di destra e di sinistra (che poi guardacaso quando si parla di omosessuali in Iran se ne frega), ma perché la democrazia – e ancora di più tutte le altre forme di governo – ha l’aporia della dittatura di chi è maggioranza. E bisogna costantemente mettersi nei panni dell’altro, farne da costanti supervisori: armarsi, proprio armarsi di empatia. Perché il sano principio della libertà propria che finisce quando inizia quell’altrui è sempre scivoloso, ed è difficile stabilire quale sia il punto di valico: come un cattolico può dirsi offeso dall’esistenza di matrimonî gay, un Ayatollah può contestare – anche qui impeccabilmente – una donna non velata in quanto questo inficerebbe la propria libertà di non vederla e esserne offeso.

È lo stesso per l’inveterata abitudine del definire l’essere gay come pura normalità: come al solito l’intenzione è buona ma finisce per adombrare un concetto pericoloso, ovvero che chi non è normale vada bandito. Cercando di estendere abusivamente la definizione di normalità a qualunque cosa (il che, comunque, è una considerazione puramente statistica), non facciamo difetto a quelli che – giocoforza – ne rimarranno fuori? L’omosessualità non è normale? In qualche modo è vero. Ma se questo è il campo di discussione, neanche tifare per la Fiorentina a Roma è normale. E penso ci siano tante altre cose meno, normali, dell’amare una persona dello stesso sesso – anche nell’ambito dei gusti sessuali – cose che nessuno si sognerebbe di contestare.

Insomma qui si decide, con qualche licenza al bando, di non usare quelle stropicciate espressioni – come quella da cui sono partito secondo cui “l’omosessualità non è una scelta” – che, senza volerlo, insinuano un concetto da tregenda: cioè che l’omosessualità sia uno scempio della natura, ma in quanto tale vada accettata. Che non si può scegliere, è una menomazione, e che quindi bisogna accogliere cosa ti dà in sorte il destino. Che un figlio omosessuale è una disgrazia, ma una disgrazia ineluttabile. Spianiamo con la ruspa, questi assunti. Non permettiamo, neanche, le sinuosità.

Ah, ovviamente, ma questa non è né un’intuizione né una novità, la disgrazia è avere un padre simile.

Non passa lo straniero

Queste parole vanno marchiate a fuoco, aspettavo che venissero dette, l’avrei dette io molto peggio:

Promemoria: il “nostro” paese è di tutti
Tanto per ricordare a tutti che, prima delle sacrosante questioni di ordine pubblico, criminalità, convivenza civile, a volte sfugge un dettaglio: che il diritto mio nei confronti del territorio cosiddetto “italiano” non è in niente diverso o superiore da quello del primo albanese o senegalese o rumeno che arriva. E viceversa: un prato di Londra o di Bucarest è mio quanto di un londinese o di un rumeno. Che la nostra pretesa di avere maggiori diritti di stare qui di quelli che ha chiunque altro è basata moralmente solo su una convenzione necessaria: ma non abbiamo fatto niente per meritarcelo. Ci limitiamo a cercare di esserne degni, e peraltro non tutti. Abbiamo avuto una botta di culo: tra una botta di culo e un diritto morale c’è una certa differenza.

La tirannìa dei bradipi

Francesco Cundari fa un post perfetto, nel senso che su tutto quello che ha detto la penso esattamente all’opposto. Non solo su come bisogna che vada il mondo, penso che sbagli, ma anche su come pensa che vada.

Io ho esattamente il forte sospetto che la storia dell’umanità sarebbe stata molto diversa, e ci saremmo risparmiati un bel po’ di massacri, tragedie e trasmissioni inutili, se solo ci fossero state in giro un po’ più di persone capaci, al momento buono, di dire semplicemente: “Io, per prima cosa, proporrei di non stare fermi, che mi pare già un buon inizio”

La tirannìa che viviamo è quella dei pigri. È quella che se uno non interviene non è colpa sua. Che l’immobilismo non è mai colpevole. Che la neutralità di fronte a un’ingiustizia esiste. Che se uno critica qualcosa – appunto – non deve confrontarsi con quello che già c’è, e quindi non è necessario che proponga un’alternativa.

È la tirannìa che rende possibile quel solito studio per cui sei su un treno che sta andando a spiaccicare 5 persone, e potresti andare lì e fargli cambiare di binario – eh sì, perché il mondo è crudele, l’autista s’è preso un colpo – ma vedi che sull’altro binario c’è una persona, e allora non fai nulla: perché è peggio essere responsabile con le proprie mani per la morte di una persona, che essere responsabile senza le proprie mani per la morte di cinque. E altre otto persone su dieci farebbero come te.

Perché se si chiude fuori casa il “tu cosa proponi in cambio?” si spalanca la porta al “tanto peggio, tanto meglio”.

Per essemplo di lui

blair-e-berlusconi.jpgIn giro si dice che David Cameron abbia vinto le elezioni perché si è blairizzato e ha blairizzato il proprio partito. Che era ovvio, perché Blair aveva introdotto un altro tipo di comunicazione e un altro messaggio. Blair aveva dominato la politica dell’ultimo decennio, con un paio d’anni un po’ più opachi: per battere il, New, Labour non si poteva essere, Old, Tories.

In giro si dice che Veltroni abbia perso perché si è berlusconizzato, che se uno fa il verso a quell’altro è chiaro che la gente vota l’originale. Che le persone non sono stupide, e non si fanno fregare da uno che scimmiotta l’altro. Che Berlusconi aveva dominato la politica dell’ultimo decennio (tranne un paio d’anni un po’ più opachi), e la gente voleva qualcosa di diverso. Di fortemente diverso.

Ora, io Blair lo copierei pure per comprare una squadra di calcio, e Berlusconi solo per quello, però mi sa che il ragionamento è un po’ farlocco.

P.S. Che poi io non penso che Veltroni si sia troppo Berlusconizzato, e che fosse veramente molto meno vecchio, e non (solo) in senso anagrafico: sarà mica quello? che bisognava essere più berlusconizzati?

Piuttosto che sbagliare

Volevo scriverla da tempo questa cosa – e già questo è un anacoluto come scrivere “a me mi”, però come scrisse qualcuno, citato anche qui (da sempre negli scritti altrui), “l’importante non è fare errori, ma non sapere che lo sono”.

  1. ‘Piuttosto’ significa invece, non oppure.
    es. Possiamo andare al mare piuttosto che in montagna = andare al mare è meglio che andare in montagna
    Spiegazione: piuttosto, più tosto, significa più velocemente. Prima, quindi più graditamente. Fare un lungo elenco intervallato da ‘piuttosto’ è come fare una graduatoria, il 10 piuttosto che il 9, piuttosto che l’8, piuttosto che il 7.
  2. Si dice “nelle file”, non “nelle fila”.
    es. Batistuta entra nelle file della Fiorentina – Ho tirato le fila del discorso.
    Spiegazione: in latino fila e filum sono due parole diverse, così in italiano fila e filo. La fila, al plurale file, è quella che si fa alle poste: non ha dunque senso dire che qualcuno fa parte delle ‘fila’, a meno che non si parli di tessuti. Il filo, quello con cui si cuce, ha due plurali uno analogico ‘fili’, e uno più colto in ‘fila’ (filum è neutro, al plurale ha la terminazione in ‘a’, come ‘braccia’). Entrambi sono più che accettabili, quindi si può dire sia “i fili per cucire” che “le fila per cucire”, con una preferenza per il plurale in ‘a’ nelle espressioni idiomatiche, e quello analogico ‘fili’, in tutte le altre circostanze. Invece dicendo “nelle fila”, si fa confusione fra le due radici.
  3. Si dice “sua sponte“, o “di sua spontanea volontà”, non “di sua sponte”.
    es. ho fatto quella cosa mea sponte, ha fatto quella cosa di sua spontanea volontà.
    Spiegazione: sua sponte è un’espressione latina, e non ha quindi bisogno di alcuna preposizione poiché questa è già espressa nella terminazione. Sarebbe la stessa cosa che scrivere “in grosso modo“. Ovviamente è pienamente ammissibile anche la traduzione italiana di tutta la frase: di sua spontanea volontà. Quindi o tutto in italiano, o tutto in latino, non a metà.

p.s. C’è un pigro tic che fa leva sulla stessa pigrizia: quello di pensare che chi corregge qualcun altro lo faccia per supponenza anziché per dargli una mano. Del tutto affine al ritornello menefreghista per cui “non accettiamo lezioni da chicchessìa”, questa abitudine, invero molto italiana, eleggerebbe la noncuranza quale comportamento da seguire.
Certo, ci sono occasioni e occasioni, non è il caso di far notare un raddioppiamento fonosintattico sbagliato al sermone di un funerale, ma in generale chi corregge qualcun altro dà la possibilità a questo di imparare qualcosa. Se tutti mi fossero stati zitti, avrei continuato a non sapere tanti degli errori che faccio o facevo.
Spiegare dove si sbaglia è altruista, senza spranghe o giustizialismi, ignorare per non fare brutta figura è cieco ed egoista. I care.

p.p.s La nemesi: volendo correggere altrui malcostumi linguistici, avevo fatto uno strafalcione ben più grave io (mia anziché mea sponte, grazie Arianna). Ben mi sta; eterogenesi dei fini, questo mi dà il destro per citare un’altra ragione per cui è giusto arrischiarsi nel correggere gli altri: avere l’occasione di essere corretti a propria volta. [un concetto che mi ha ricordato il punto uno di questo, dagli scritti altrove]

Fesso lo dici a mia sorella

Berlusconi applaudeL’appellativo “fesso” mi è sempre sembrato torbido, una maniera con cui chi ingenuo non è, ma anzi molto compromesso, definisce chi non partecipa a quel gioco al ribasso. Un modo per autoassolversi, anche.
Il contraltare è il viramento semantico che ha colpito il termine “furbo”. Da persona intelligente, intuitiva, a furbetto del quartierino.
Insomma: l’ho spesso considerato un titolo di merito.

Questo post di Leonardo mi ha fatto ripensare a quel ragionamento, e a come la sinistra voglia assomigliare (anche negli scritti altrui) alla destra, quando quest’ultima gioca sporco. Il teorema di Leonardo, se ben intendo, è che siccome l’infausta legge elettorale in vigore ha consegnato alla sinistra un paese ingovernabile – ricordiamolo, senza di essa il senato sarebbe andato alla CDL – sarebbe intelligente, non fesso, dare al prossimo governo, presumibilmente di destra, la stessa gatta da pelare.

Come a dire: poco ci importa del bene del paese, pensiamo al bene del PD. Io, che ho a cuore il Pd, ma anche il paese penso invece che la legge elettorale vada cambiata il prima possibile, anche con il referendum, semmai. Penso che Veltroni non sia fesso a spingere per questa soluzione, ma anzi faccia quello che dovrebbe fare ogni politico, dotato di senso di responsabilità. Anzi, ogni politico e basta.
Prendendo a prestito le ficcanti definizioni di Leonardo: se iniziamo a fare gli stronzi con lo stronzo, cominceremo a non distinguerci più, e a non sapere più distinguere qual è il punto, qual è il motivo per cui chiediamo alle persone di votarci, se non la partigianeria di per sé stessa.
Tornando in metafora: a fare gli stronzi ci abbiamo già provato, ci era venuto anche piuttosto bene, ma lui è sempre riuscito a fare lo stronzo ancor meglio. Su quel campo è imbattibile, torniamo sul nostro.

La sinistra deve fare una cosa, e evitarne assolutamente un’altra: quello che non deve fare è sentirsi antropologicamente superiore, quello che deve fare è cercare di esserlo.

Bravi

Da assiduo e appassionato lettore del Massimo Gramellini di Buongiorno (non a caso la prima citazione fra gli scritti altrui è sua), e da occasionale lettore di altre (Molinari) rubriche (A. Romano) online della Stampa, non mi ero mai accorto di un particolare piccolo, però reso sostanzioso dall’accostamento, a cui andrebbe data un po’ di pubblicità in più. Questo:

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Ecco, una bella novità.

P.s. È da tempo un mio proponimento quello di fare un post sulle ragnatele maschiliste ancora appiccicate negli angoli del nostro linguaggio, ovviamente non trombonerie ridicole come l’uso oramai neutro del plurale maschile per tutto (appunto!), ma su espressioni e/di modi di pensare in cui siamo ancora ben avvinghiati al simpatico concetto che il maschio può e la femmina non può: arriverà.

Rispondere in coscienza

jiminey-cricket-722558.jpgLeggere questa ulteriore stroncatura di Beppe Grillo mi ha fatto venire alla mente alcune riflessioni collaterali, che metto qui in piazza: nel constatare e nell’avere sempre nuove prove che Grillo sia uno di loro, ovvero un fenomeno finto, che tradisce la buona fede dei suoi fan (non sempre, buona fede), proviamo una sinuosa linea di piacere.

A ogni intervista rifiutata, rivelazione sui fini di lucro del suo blog, mancata risposta a civili obiezioni, autoriduzione a luogo comune, palesamento della sua indole reazionaria, o – appunto – dimostrazione della sua plastica strategia dell’isolamento, oltrepassiamo spesso la giusta considerazione che un vaffanculo non sia la risposta, andando a strusciare pericolosamente l’idea che gli altri “sono tutti uguali”, anche i sedicenti campioni dell’Italia pulita.

Parlo per me principalmente, ma parlo anche al plurale, perché mi sembra di aver intravisto un atteggiamento simile in molti di coloro che mi hanno manifestato le stesse perplessità nei riguardi del comico genovese, e con cui è come se avessi fatto schieramento (ecco, appunto).
Per continuare a cambiare qualcosa, e fare sì che non ci siano campioni dell’Italia pulita, ma un’Italia pulita e basta, bisognerebbe anche – oltre a molto e ben altro, certo – toglierci queste pigrizie ideologiche.
Probabilmente ho sbagliato quando ho detto che delle volte bisogna armarsi della stessa dietrologia, per smascherarlo.

Che importa se non è Beppe Grillo a scrivere il suo blog, ma un’azienda? Che importa se la Casaleggio Associati fa del tandem Grillo-Di Pietro una chiara macchina del profitto? E che importa se Beppe Grillo ha la sua condanna per omicidio colposo, e vagheggia di fedina penale linda?

Questi sono argomenti melliflui, più propriamente non sono argomenti, non è sostanza. Sono obiezioni che, da una parte stuzzicano quell’insano moto alla compiacenza laddove gli altri siano peggiori di noi, e dall’altra sembrano darci un credito di onestà da spendere per continuare a essere un po’ migliori degli altri, accontentandoci di questo.

È come se facessimo i Beppe Grillo con Beppe Grillo, o in altre parole i Beppe Grillo con noi stessi.

«…ho appena dimostrato che niente è dimostrabile…»

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Oggi sono passato al’Università e c’erano vari striscioni dei cosiddetti collettivi studenteschi contro la venuta del Papa alla Sapienza; uno in particolare mi ha dato il senso – recitava: “Il Vaticano è uno stato senza libertà di parola, non possiamo far parlare il capo di uno stato così”. La quadratura del cerchio.

Ora, si può discutere dell’opportunità dell’invito, ma quando si fanno le barricate per impedire a qualcuno di parlare – molto, molto banalmente – ho sempre un fastidio di pancia. Oltre a essere un principio da monarchia assoluta.

Bepperò…

Credo che questa vicenda non sia di una gravità inautida come dipinta da molti malspopportanti Beppe Grillo: anche coloro a cui ho sentito dire “nulla di nuovo” lo facevano col tono del peggior insulto. È una cosa che non mi stupirebbe sentir raccontare a proposito di molte persone che per altri versi stimo, ma d’altra parte è una cosa sicuramente esecrabile; ne rimarrei deluso.
E qui è il punto – secondo me l’utilità di questo episodio sta nel fornire un argomento inoppugnabile per distinguere fra i sostenitori di Grillo in buona, e in mala fede: coloro che sono persuasi dalle idee del comico e dalle sue istanze politiche, i quali diranno «che peccato, stavolta si è malcomportato, mi ha deluso», e coloro che invece si schierano pregiudizialmente dalla sua parte (ed è questa l’impressione più inquietante che mi ha sempre suscitato il fenomeno), che diranno che… le domande erano indegne.

Io non credo che le domande di Gilioli fossero fuori posto, anzi, mi sembravano utili e pertinenti, ma la cosa è irrilevante: mi sono domandato se ci siano domande che mi offenderebbero a tal punto da farmi rifiutare il benché minimo confronto, e no, non ce ne sono. Se mi assicurano di pubblicare integralmente i miei virgolettati, posso rispondere anche a una domanda sui miei legami con la mafia. Anzi, voglio.

Grillo si è comportato in una brutta maniera, e ha fatto ciò per cui lui si dimostrerebbe torvamente scandalizzato, e per cui chi – come il sottoscritto – non condivide né i toni né gli argomenti, direbbe «io non mi comporterei così» (o meglio, voglio sperare che non farei così).

Certo, ogni cosa ha le sue attenuanti e ognuno è naturalmente attaccato alla propria idea; io, per gioco, mi son dato una regola di condotta: qualunque idea che io propugno deve avere un fatto, un episodio, uno scenario che – se realizzato – mi faccia cambiare idea, qualcosa che in definitiva mi renda inevitabile proferire un «beh, però…».

E allora ho pensato che se c’è qualcuno che manchi ancora di un bepperò sul personaggio – anche stentato, anche parziale, anche lontano da coloro con cui si è sostenuta l’idea contraria – ecco, questo è il caso.