La storia è questa: una ragazza, poco dopo la nascita, perde la vista. Vive una vita molto ritirata, quasi dimessa: esce poco se non accompagnata dai genitori. I suoi genitori non vogliono avere un cane in casa, quindi lei non può avere un cane-guida. In queste condizioni è praticamente privata della possibilità di muoversi. Arrivata a ventotto anni riesce a trovare un escamotage: un cavallo! Inspiegabilmente, questa volta, i genitori accettano.
Se ascoltaste questa storia fin qui cosa pensereste? Che quei genitori sono dei mascalzoni. Che mettono davanti al bene della figlia la loro repulsione per i cani. Chissà quanti di noi non amerebbero avere un cane in casa, però in confronto alla felicità della figlia chi potrebbe sentirsi di fare questioni? Invece questi genitori egoisti e capricciosi non si curano del bene della figlia, ma delle loro fisime.
Sbaglio, o è quello che tutti noi penseremmo?
Ora, si dà il caso che questa ragazza sia mussulmana, e che per molti mussulmani i cani siano animali turpi: vedete come tutta la storia assume un significato, come quei genitori iniziano ad avere delle potenti attenuanti? La foto con il cavallo ci fa quasi simpatia, alla fine è stata una buona idea. E quanto ai genitori, beh, in fondo è la loro fede. È quello che “sentono”, come tanti altri “sentono” un altro Dio. Che ci possono fare?
Ed è esattamente questo il problema dell’atteggiamento che abbiamo con la religione – ogni religione: ma soprattutto ogni religione che imponga divieti infondati sulla felicità delle persone – e cioè che diamo dei bonus di responsabilità, un assegno in bianco per la cattiveria, a chi motivi i proprî atteggiamenti lunatici e prepotenti sotto l’egida di un culto.
«Fa’ quello che vuoi, amico mio, per carità, ma non sono disposto a scontarti nessuna delle responsabilità di ciò che fai in nome delle cose in cui credi»
Dare a ciascuno le proprie responsabilità, che è anche la cosa più altruista che c’è.