Eluana Englaro

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Ho sempre avuto un moto di repulsione verso il chiamarla con il solo nome, come fosse un’amica.

Due anni fa finiva la vita biologica di Eluana Englaro, mentre la sua vita e basta era finita tanti anni prima.

Al tempo scrissi un bel post in cui sbattevo la testa al muro per quanto fosse magistralmente assurdo che fossero proprio i cattolici a lamentarsi di quello che era successo. Dicevo, fra le altre cose:

I cattolici sono (fra) quelli che credono in Dio; credono – in vari e diversi modi – che c’è una vita dopo la morte. Credono anche che questa vita successiva, se meritata, sia mirabilmente migliore di quella che viviamo qui. Quindi li si dovrebbe ritenere più inclini a considerare prossimo al ridicolo il valore di questa vita, tantopiù che morire prima significa traslocare nel luogo più bello, nei pressi del Creatore.

Muore giovane colui che è caro al Cielo. (Menandro)

Se ne avete voglia, è un buon momento per rileggere quelle considerazioni: è una delle poche cose che riscriverei proprio così.

Le ebree ortodosse con il burqa

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Allora, la storia è questa: i fondamentalisti ebrei sono gli haredi, gli ebrei ultraortodossi. Ortodossi più ortodossi di tutti. In Israele ce n’è un bel po’ e vivono in comunità chiuse e unite, interi quartieri come Mea Sharim a Gerusalemme, o cittadine come Beit Shemesh. Quando ero lì in Palestina avevo raccontato qualche episodio al riguardo. Ricevono soldi dallo Stato in cambio delle loro preghiere, e dove sono maggioranza hanno creato una sorta di Stato nello Stato: una specie di polizia dei costumi, segregazione di genere, strade chiuse di shabbat e così via. Il governo israeliano il più delle volte chiude gli occhi.

Ora, come immaginerete, la pudicizia delle donne è uno degli aspetti fondamentali. Niente sesso prima del matrimonio, mentre dopo un sacco di sesso, ma solo per dare una quantità industriale di figli a Dio (e infatti se ne vedono una dozzina a famiglia). Alcuni sono più pazzi degli altri, fanno sesso con la moglie solo attraverso un panno che ne copra le parti non strettamente indispensabili alla procreazione, e tutte quelle altre cose per cui Dio ha inventato la misteriosa parola “fornicare”.

Ecco, succede che le mogli di questi mariti decidono di sorpassarli a destra (in Israele è pratica comune): si imbattono in qualche burqa indossato da donne palestinesi, e pensano: «oh, che bella idea: questo sì che è un modo per essere pudìche». E quindi – tadàn – iniziano a indossare il burqa anche loro e farlo indossare alle proprie figlie, per le quali approntano anche delle improvvisate scuole parallele (giacché quelle haredi non le vogliono). C’è anche un caso, divenuto piuttosto celebre, di genitori determinati a costringere la figlia a indossare il burqa (per poi scoprire che è fidanzata con un arabo). D’altronde, se il metro è la modestia, non c’è modo migliore per essere modeste che coprirsi da capo a piedi.

Non sono un gran numero queste ebree-talebane, qualche centinaio, però hanno creato un bel po’ di scompiglio: diversi mariti, invece di essere contenti dell’estrema castità delle loro mogli, si sono arrabbiati e hanno cercato di convincerle a cambiare idea. In più, in una società segregata come quella – non soltanto su basi sessuali ma anche su basi etnicoreligiose – fare qualcosa che assomiglia alle abitudini degli arabi-mussulmani è visto di pessimo occhio. Niente da fare, però.

Così questi uomini hanno deciso di rivolgersi ai rabbini perché decretassero che quell’abbigliamento non fosse conforme alle norme dell’Ebraismo. I rabbini in un primo tempo cincischiano, sedotti anche loro dal desiderio di castità delle donne. Poi, dopo qualche mese, visto che la moda sembra diffondersi, decidono di emettere una condanna di questo nuovo – spumeggiante – costume. È un feticismo, dice: come farlo con le manette e la divisa da poliziotto.

Fine della storia? Chissà. Anzi, è difficile: c’è sempre un rabbino che dice il contrario degli altri. Perciò, se non è Dio stesso a decidere di sbarcare sulla Terra per determinare Cosa Si Fa e Cosa Non Si Fa – fatto che tenderei a escludere –, bisogna arrangiarsi a risolversela da soli e andare a vedere sui testi sacri (che generalmente significa dare ragione a quello più scemo). C’è sempre uno più puro che ti epura, una volta di più.

Ecco: la prossima volta che scrivo, come faccio spesso, che “la libertà è contagiosa” ricordatemi che anche la stupidità non scherza mica.

grazie a Emanuela

Hai detto integrazione?

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L’altro giorno ero in ascensore con un po’ di gente fra cui un poliziotto, io non ho quel riflesso di cercare di distogliere l’attenzione – poi essendo spesso il più alto, difficilmente ci fanno caso –, così mi guardavo intorno e ho notato che il poliziotto aveva una spilla con, oltre alla Union Jack, una bandiera francese. Perciò, preso dalla curiosità sul perché un poliziotto inglese avesse la bandiera francese sull’uniforme, semplicemente l’ho chiesto a lui, che mi ha risposto «perché sono francese». Che era al tempo stesso una risposta certamente pertinente, ma incomprensibile dal mio punto di vista (come se mi avesse risposto «tonnarelli all’amatriciana!»).

Io ho fatto una faccia un po’ stranita, perciò quello con tono molto professionale mi ha iniziato a spiegare: è per i cittadini, così che sappiano che possono parlarmi in francese. La polizia di Westminster parla 63 lingue, quella di Londra chissà. La spilla è una bella idea, semplice ed efficace, per favorire l’inserimento degli immigrati.

Intendiamoci, questo non è per dire che il modello d’integrazione britannico – che molti dicono che stia fallendo proprio perché settario – sia un successo, di problemi ce ne sono: il 43% dei mussulmani fra i 15 e i 30 anni vorrebbe l’introduzione della Sharia, ad esempio, e ogni comunità tende a isolarsi sempre più.

Però Londra è la testa di ponte del futuro, quasi certamente la città più internazionale al mondo, e vedere come sarà fra 15 anni ci dirà molto di come sarà il resto del mondo fra trenta. Perciò bisogna essere contenti delle buone idee.

Ma davvero? No.

Gesù: "Ehi, barista, hai sentito che hanno deciso di fare un episodio di South Park che prende in giro gli atei?"; Maometto: "Era l'ora: si sono fatti gioco di qualunque altra cosa" –|– Barista: "Sissì, ho sentito. E a quanto sembra la comunità degli atei è molto arrabbiata, e i leader atei pretendono l'annullamento del programma" –|– Barista: "Di più: alcuni atei fondamentalisti sono così offesi che hanno anche lanciato minacce di morte" –|– Gesù: "Ma davvero?"; Barista: "No".

Jesus & Mo

C’è sempre uno più puro che ti epura

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Naturalmente sono d’accordo col Papa – come lo ero stato qui – sfilare dalle mani dei religiosi il tema del sesso (con l’informazione), è una delle chiavi per mettere fine all’oppressione delle donne, degli omosessuali, di chi vuole scegliere per sé. È, connaturatamente, una minaccia per la religione: un motivo in più per proseguire su questa strada.

Tuttavia, ciò che mi interessa è quello che ho evidenziato in rosso. Il Papa che chiede l’abolizione di una legge contro la blasfemia in Pakistan. Lamentarsi della propria stessa brace, quella agitata mille volte sui comportamenti altrui – l’altro giorno, leggendo questo, ero furibondo – perché ci si è finiti.

Ovviamente è vero che quella legge sulla blasfemia è un’impostura (d’altronde quale legge contro la blasfemia potrebbe non esserlo?), e fingendo di tutelare il sentire della maggioranza viene usata per ledere i diritti delle minoranze. Ma è così: quando si gioca sul concetto di blasfemia, quando si decide che l’offesa è nell’orecchio di chi ascolta, quando si propalano verità da squilibrati come “posso tollerare pazientemente che si rechi offesa a me, ma non posso sopportare che si offenda il mio Dio con le bestemmie” (San Girolamo), si percorre una strada molto scivolosa.

E a correre su di una strada scivolosa si finisce per cadere: come diceva Nenni? C’è sempre uno più puro che ti epura. Vallo a spiegare a quelli che sono offesi dal fatto stesso che voi crediate in un Dio diverso dal loro.

Lunedì degli aneddoti – XXXVIII – La scommessa del Pascal indiano

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Uno degli argomenti teologici più sciocchi sull’importanza di credere in Dio è la famosa scommessa di Pascal. Il concetto è che siccome credere in Dio conviene, allora è giusto crederci. In realtà, come molti hanno notato, non è una dimostrazione dell’esistenza di Dio – sarebbe certamente bello che esista la fontana dell’eterna giovinezza, ma ciò non rende la sua esistenza più probabile – ma dell’opportunità di crederci anche qualora non ci fosse. In pratica, se si crede in Dio e Dio esiste si ottiene la salvezza, se non ci si crede non la si ottiene, e se non esiste non cambia nulla: perciò è meglio credere. È  un argomento ridicolo per tanti motivi: uno che non ho mai sentito dire, ma a cui penso sempre è «ma chi ti dice che Dio sia contento che tu credi nella sua esistenza?» Magari non vuole che gli si rompa.  Per quanto ne sappiamo, Dio – metti che esiste – potrebbe mandare in Paradiso quelli che non hanno creduto in lui, e all’Inferno quelli che ci hanno creduto.  E poi c’è l’obiezione più immediata: a quale dei settemila “Dio” che l’uomo ha inventato bisogna credere per essere salvati?

La risposta l’ho avuta qualche giorno fa in un racconto di un amico, che ha conosciuto il vero Pascal 2.0; era stato in India, in alcuni villaggi abbastanza sperduti del sud: posti che qualcuno definirebbe dimenticati dalla grazia di Dio (e, invece, vedrete!). Ad accompagnarlo era un tassista locale (il nome non se lo ricordava, quindi lo chiameremo “Antonio”), di quelli chiacchieroni e socievoli con cui dopo un po’ di viaggiare per un tragitto prestabilito avevano fatto amicizia, fra descrizioni turistiche e chiacchiere sulle rispettive famiglie. Come succede, alla fine si erano stati simpatici al punto che Antonio li aveva voluti portare a casa sua, a conoscere la propria di famiglia. Così, facendo una gradita deviazione sulla tabella di marcia, erano arrivati a questo villaggio nella provincia di Kottayam, nel sud ovest dell’India. Il villaggio era quasi fortificato, e la sera c’era una sorta di coprifuoco per le tigri: tutte le entrate dell’abitato venivano chiuse all’arrivare del buio. Mentre raccontava di questi particolari, bevevano latte di cocco che Antonio era andato a raccogliere direttamente alla fonte, arrampicandosi su di un albero davanti ai loro occhi. Poi erano entrati in casa e appesi alle pareti c’erano mille poster di cui erano tappezzati tutti i muri – non raffigurazioni, proprio poster: Cristo, Maometto, Budda, Krisnha, Vishna, Shiva, etc. Pareti ricoperte di tutte le divinità che all’apparentemente molto mistica famiglia di Antonio erano venute in mente.

Così, il mio amico, incuriositosi e oramai rassicurato dal loro grado di confidenza gli aveva domandato: «scusa, Antonio, ma – tu – di tutti questi,  per quale preghi?» E lui: «mah… io, per sicurezza, tutti quanti».

Grazie a Jai

Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui qui il quindicesimo: Servizî segretissimi qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto qui il diciassettesimo: La caduta del Muro qui il diciottesimo: Botta di culo qui il diciannovesimo: (Very) Nouvelle Cuisine qui il ventesimo: Il gallo nero qui il ventunesimo: A che ora è la fine del mondo? qui il ventiduesimo: Che bisogno c’è? qui il ventitreesimo: Fare il portoghese qui il ventiquattresimo: Saluti qui il venticinquesimo: La fuga qui il ventiseiesimo: Dumas qui il ventisettesimo: Zzzzzz qui il ventottesimo: Teorema della cacca di cavallo qui il ventinovesimo: Morto un papa qui il trentesimo: L’invincibile Marco Aurelio qui il trentunesimo: L’Amabile Audrey – qui il trentaduesimo: Anima pura – qui il trentatreesimo: Ponte ponente – qui il trentaquattresimo: Batigol – qui il trentacinquesimo: L’originalità del bene – qui il trentaseiesimo: Hans – qui il trentasettesimo: Le svedesi]

Imagine no religion

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Trent’anni fa, oggi, moriva John Lennon.

Da vedere a schermo intero, e con la musica. Ché quando si vede la macchinina vi vien da commuovervi:

Nel frattempo, a Gaza

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Una mia amica sta lavorando in Palestina per un’ONG internazionale e ogni tanto mi racconta come vanno le cose, visto che oramai manco da più di un anno. In più, essendo una femmina, mi racconta delle vessazioni subite dalle donne – il tema che più mi stava a cuore – da una prospettiva più inserita. Sempre la stessa storia, naturalmente: camminare per strada significa subire occhiate, commenti osceni, qualche volta vere aggressioni. A quelli della solita sciocchezza sul “ma anche in Italia” bisognerebbe portarceli, per vedere quanto la situazione sia drammaticamente più terribile. E, naturalmente, è sempre colpa delle donne: se non indossi un anello vuol dire che non sei sposata, colpa tua che non l’hai fatto se ti molestano. Se in un taxi collettivo sali accanto al guidatore, quello si sente autorizzato a provare a palparti, e naturalmente la colpa sarà tua: «ti sei seduta davanti?!?».

In questi giorni la mia amica è a Gaza, e mi ha raccontato di com’è la vita nella Striscia abbandonata ad Hamas: le ispezioni all’entrata, per fare fuori alcol e maiale, la possibilità di essere arrestati e pestati se si cammina con una donna non “propria”. Appunto: la situazione ancora peggiore per le donne, i racconti delle ragazze sposatesi giovanissime per poi essere rinchiuse nel Niqab dai mariti. Tante storie a cui, da donna, può avere accesso e che nei miei confronti filtravano soltanto dopo diversi mesi di confidenza.

Inoltre mi ha raccontato, lontano dall’attenzione e dagli annunci di questo ennesimo – inutile – processo di pace da cui Gaza è esclusa, del clima di minacce e ricatto che la leadership politica di Hamas impone alle organizzazioni che lavorano lì. Niente di diverso da una dittatura, a cui le ONG non fanno altro che rispondere con l’appeasement. L’ultima ONG a essere chiusa è stata Sharek, per la mancata segregazione sessuale – la stessa ragione per cui venne chiusa Emergency dai talebani – e il rifiuto di far entrare membri di Hamas nel direttivo. Era un’organizzazione che lavorava con 65.000 bambini palestinesi, ma per i dogmatisti religiosi è chiaramente più importante l’oppressione delle donne, attraverso l’applicazione della legge islamica. Un giorno ci dovremo sedere a tavolino per metterci d’accordo su cosa voglia dire volere bene alle altre persone. Perché se “volere bene” ha anche un barlume di significato che trascenda l’ora e qui, quello che succede alle donne palestinesi – e, in genere, a molte donne nel mondo mussulmano – non lo è.

Tutte le altre organizzazioni sono ridotte al silenzio, una denuncia equivale a ricevere lo stesso trattamento e dover chiudere baracca e burattini. Così tutti stanno zitti, nessuno parla, chi può si rifugia nella definizione di “humanitarian” anziché “human rights”, e quelli che ne pagheranno il conto saranno i posteri; noi, che fra vent’anni dovremo confrontarci con una generazione cresciuta a pane (poco) e odio per le donne (tanto).

Monicelli, e quei 95 anni che erano solo suoi

Il giorno del mio compleanno di quest’anno aveva detto così:

«gli italiani sono fatti in questo modo, vogliono che qualcuno pensi per loro»

Ha voluto dimostrare, in prima persona, che non era vero.

Che riposi in pace, orgoglioso della sua splendida e lunga vita che gli è bastata così.