E così sembra che la Francia andrà ad approvare una legge che vieta il Burqa e il Niqab. L’uniforme dei militanti sessuofobi e sessuomani “offende i valori nazionali”. Non è un divieto assoluto, ma qualcosa di più simile a un’obiezione di coscienza: sarà vietato indossare la gabbia di stoffa nei locali pubblici, nei mezzi pubblici, eccetera. Non sarà vietato per strada, sembra, perché la Francia è un paese libero, solamente – sembra – “a casa mia non si fanno queste cose”, come ciascuno di noi, magari, non vorrebbe far entrare in casa una persona che indossa una svastica.
La Francia, come altre volte, si dimostra uno Stato. Uno Stato civile nelle fibre, e che afferma fortemente delle idee. Questa è la laicità, nel senso più pieno e genuino del termine. Laicità vuoldire scegliere, non essere imparziali.
Eppure percepisco sempre un sinuoso turbamento per misure come queste, perché essere così tanto “Stato” finisce per incidere la libertà delle persone: come in altri casi, come sulla negazione dell’Olocausto o del Genocidio degli Armeni (entrambi reati d’opinione puniti per legge in Francia).
Io sono un integralista del primo emendamento, e non (solo) perché consideri la libertà sacra, ma perché trovo che la libertà di espressione di certe posizioni contribuisca a screditarle – in un ambiente dove c’è una vera competizione di idee. Penso sia giusto difendere il diritto dei nazisti a dire le loro indegnità, quanto è giusto che io abbia il diritto – anzi, il dovere morale – di dileggiarle. Se viviamo in un mondo in cui nessuno sostiene (più) che le streghe volino sulle scope non è perché abbiamo messo una legge per vietarlo, ma perché abbiamo costruito una società consapevole che è ridicolo pensarlo.
Trovo quindi la motivazione di questa legge orribile. Ciò che “offende i valori nazionali” non deve essere vietato per legge. Ci sono mille cose che offendono me: chi sostiene lo stalinismo, chi dice (o pensa) che sono un cretino, e chi si mette il fondotinta. Però queste offese me le tengo. Come si dice a Roma: se m’incazzo, mi scazzo. Perché altrimenti da qui a stabilire che l’affermazione della legittimità di un’offesa sia appannaggio del destinatario è un passo breve: e così finiamo con le ambasciate date alle fiamme per delle vignette su un uomo vissuto mille e cinquecento anni fa.
Per questa ragione non ho un’alta opinione dell’obiezione di coscienza. Lo trovo – in genere – un espediente: una piccineria, boriosa e al tempo stesso connivente. L’importante non è cosa succede nel mondo – si legge in quel principio – ma quello che faccio io, che la mia coscienza rimanga pulita. Per questo parlai, una volta, di sopravvalutazione della coscienza di ciascuno.
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Sono dunque contrario a questa legge? Non lo so.
Innanzitutto credo che bisogni partire da due presupposti: 1) le motivazioni di questo disegno di legge sono orribili 2) Il Burqa è male.
Il primo punto credo di averlo argomentato a sufficienza fino a ora. Sul secondo c’è poco da aggiungere: chiunque pensi che esistano, in qualche parte del mondo, delle persone che – geneticamente (e quindi non è un concetto inoculato loro) – nascono con la concezione che il corpo nel quale sono nate è uno strumento di peccato è precisamente un razzista. Chiunque consideri giusto che il controllo sessuale dell’uomo sia situato sul corpo della donna, come per la ragazza stuprata perché va in giro in minigonna, è un fascista.
Dunque, per capire meglio come la penso, mi faccio delle domande.
Qual è il pericolo?
Sicuramente quello della ghettizzazione. È molto probabile che una parte, una buona parte, delle donne che ora vanno in giro con il Burqa subirebbero divieti ancora più stringenti da parte dei loro mahram (mariti, fratelli, zii, cognati che le hanno in “gestione”). E non è per nulla facile identificare questi veri e proprî rapimenti, anche perché queste donne – spesso – in Europa hanno solo la famiglia, che è quella che le reclude.
A chi giova?
Sicuramente la cosa più importante non è il fatto in sé, non è quella manciata di donne che – non potendo mettere il Burqa o il Niqab – usciranno un poco più scoperte, bensì il messaggio che si manda. I messaggi sono importantissimi e significativi, e sono sempre troppo sottovalutati. In questo momento, in ogni parte del mondo, ci sono delle persone che stanno combattendo la loro battaglia contro il burqa, una battaglia con sé stesse e con i loro maschi-padroni. Sapere che c’è qualcuno che sta dalla parte giusta è fontamentale, e infonde forza. Tutte coloro che ne sono uscite non smettono mai di raccontare quanto sono importanti questi segnali, così come non smettono mai di rimproverare gli atteggiamenti troppo accomodanti su cui ogni tanto ci impigriamo.
Ci sono altre ragioni per essere contrarî a questa legge?
A parte la questione della libertà e quella della ghettizzazione, con tutti i suoi rivoli, direi di no: soprattutto bisogna guardarsi dai Tariq Ramadan. Quelli che così-non-si-favorisce-il-dialogo-con-l’Islam ma che al tempo stesso l’Islam non è questo. Delle due l’una: se l’Islam è questo – il Burqa e la segregazione – non c’è nessun dialogo da fare ma solamente un’ideologia da sconfiggere. Se, invece, l’Islam non è questo – come spesso sentiamo dire – allora non c’è nessuna ragione per cui l’ostilità al Burqa dovrebbe sfavorire il dialogo.
Mi sono chiarito le idee? Mica tanto. Mi sembra di essere in disaccordo con gli uni e in disaccordo con gli altri.
Voi che ne pensate?