San Valentino

Tanti auguri. Agli unici innamorati al mondo che non possono permettersi di non sopportare questa festa. Che non hanno il diritto di sogghignare dei lucchetti a Ponte Milvio o farsi venire l’urticaria per le strade tappezzate di cuori di peluche rossi. Di ridere delle scritte per terra, o di considerare kitsch le scatole di cioccolatini a forma di cuore.

In Arabia Saudita festeggiare San Valentino è vietato dalla legge. Ti viene a prendere la Polizia per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Non è uno scherzo, si chiama così. E “chi non si conforma, verrà punito“. Perché amarsi è un’idea occidentale.

A tutti coloro per i quali volersi bene è – necessariamente – un atto rivoluzionario, a loro, buon San Valentino.

Burqa sì, Burqa no

E così sembra che la Francia andrà ad approvare una legge che vieta il Burqa e il Niqab. L’uniforme dei militanti sessuofobi e sessuomani “offende i valori nazionali”. Non è un divieto assoluto, ma qualcosa di più simile a un’obiezione di coscienza: sarà vietato indossare la gabbia di stoffa nei locali pubblici, nei mezzi pubblici, eccetera. Non sarà vietato per strada, sembra, perché la Francia è un paese libero, solamente – sembra – “a casa mia non si fanno queste cose”, come ciascuno di noi, magari, non vorrebbe far entrare in casa una persona che indossa una svastica.

Hijab mia sceltaLa Francia, come altre volte, si dimostra uno Stato. Uno Stato civile nelle fibre, e che afferma fortemente delle idee. Questa è la laicità, nel senso più pieno e genuino del termine. Laicità vuoldire scegliere, non essere imparziali.
Eppure percepisco sempre un sinuoso turbamento per misure come queste, perché essere così tanto “Stato” finisce per incidere la libertà delle persone: come in altri casi, come sulla negazione dell’Olocausto o del Genocidio degli Armeni (entrambi reati d’opinione puniti per legge in Francia).

Io sono un integralista del primo emendamento, e non (solo) perché consideri la libertà sacra, ma perché trovo che la libertà di espressione di certe posizioni contribuisca a screditarle – in un ambiente dove c’è una vera competizione di idee. Penso sia giusto difendere il diritto dei nazisti a dire le loro indegnità, quanto è giusto che io abbia il diritto – anzi, il dovere morale – di dileggiarle. Se viviamo in un mondo in cui nessuno sostiene (più) che le streghe volino sulle scope non è perché abbiamo messo una legge per vietarlo, ma perché abbiamo costruito una società consapevole che è ridicolo pensarlo.

Trovo quindi la motivazione di questa legge orribile. Ciò che “offende i valori nazionali” non deve essere vietato per legge. Ci sono mille cose che offendono me: chi sostiene lo stalinismo, chi dice (o pensa) che sono un cretino, e chi si mette il fondotinta. Però queste offese me le tengo. Come si dice a Roma: se m’incazzo, mi scazzo. Perché altrimenti da qui a stabilire che l’affermazione della legittimità di un’offesa sia appannaggio del destinatario è un passo breve: e così finiamo con le ambasciate date alle fiamme per delle vignette su un uomo vissuto mille e cinquecento anni fa.

Per questa ragione non ho un’alta opinione dell’obiezione di coscienza. Lo trovo – in genere – un espediente: una piccineria, boriosa e al tempo stesso connivente. L’importante non è cosa succede nel mondo – si legge in quel principio – ma quello che faccio io, che la mia coscienza rimanga pulita. Per questo parlai, una volta, di sopravvalutazione della coscienza di ciascuno.

***

burqaSono dunque contrario a questa legge? Non lo so.
Innanzitutto credo che bisogni partire da due presupposti: 1) le motivazioni di questo disegno di legge sono orribili 2) Il Burqa è male.
Il primo punto credo di averlo argomentato a sufficienza fino a ora. Sul secondo c’è poco da aggiungere: chiunque pensi che esistano, in qualche parte del mondo, delle persone che – geneticamente (e quindi non è un concetto inoculato loro) – nascono con la concezione che il corpo nel quale sono nate è uno strumento di peccato è precisamente un razzista. Chiunque consideri giusto che il controllo sessuale dell’uomo sia situato sul corpo della donna, come per la ragazza stuprata perché va in giro in minigonna, è un fascista.

Dunque, per capire meglio come la penso, mi faccio delle domande.

Qual è il pericolo?
Sicuramente quello della ghettizzazione. È molto probabile che una parte, una buona parte, delle donne che ora vanno in giro con il Burqa subirebbero divieti ancora più stringenti da parte dei loro mahram (mariti, fratelli, zii, cognati che le hanno in “gestione”). E non è per nulla facile identificare questi veri e proprî rapimenti, anche perché queste donne – spesso – in Europa hanno solo la famiglia, che è quella che le reclude.

A chi giova?
Sicuramente la cosa più importante non è il fatto in sé, non è quella manciata di donne che – non potendo mettere il Burqa o il Niqab – usciranno un poco più scoperte, bensì il messaggio che si manda. I messaggi sono importantissimi e significativi, e sono sempre troppo sottovalutati. In questo momento, in ogni parte del mondo, ci sono delle persone che stanno combattendo la loro battaglia contro il burqa, una battaglia con sé stesse e con i loro maschi-padroni. Sapere che c’è qualcuno che sta dalla parte giusta è fontamentale, e infonde forza. Tutte coloro che ne sono uscite non smettono mai di raccontare quanto sono importanti questi segnali, così come non smettono mai di rimproverare gli atteggiamenti troppo accomodanti su cui ogni tanto ci impigriamo.

Ci sono altre ragioni per essere contrarî a questa legge?
A parte la questione della libertà e quella della ghettizzazione, con tutti i suoi rivoli, direi di no: soprattutto bisogna guardarsi dai Tariq Ramadan. Quelli che così-non-si-favorisce-il-dialogo-con-l’Islam ma che al tempo stesso l’Islam non è questo. Delle due l’una: se l’Islam è questo – il Burqa e la segregazione – non c’è nessun dialogo da fare ma solamente un’ideologia da sconfiggere. Se, invece, l’Islam non è questo – come spesso sentiamo dire – allora non c’è nessuna ragione per cui l’ostilità al Burqa dovrebbe sfavorire il dialogo.

Mi sono chiarito le idee? Mica tanto. Mi sembra di essere in disaccordo con gli uni e in disaccordo con gli altri.

Voi che ne pensate?

Il diritto di offendersi

Gli atei sono insorti nelle strade di tutto il mondo oggi, come reazione a delle vignette danesi che mostravano nessuno con una bomba sopra la testa
Gli atei sono insorti nelle strade di tutto il mondo oggi, come reazione a delle vignette danesi che mostravano nessuno con una bomba sopra la testa

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Buonsensofobia

L’espresso fa un sondaggio per eleggere la peggiore castroneria del 2009. In mezzo a tante stupidaggini e cretinate c’è una frase, di Daniela Santanché, che dice «Maometto era pedofilo».

Di tante corbellerie che Santanchè ha detto, in vita sua, e nello stesso discorso – che ricordo: «la nostra cultura, la mia cultura, etc», e scemate dello stesso tenore – viene registrata l’unica cosa ovvia, di buon senso, che ha detto: che Maometto era un pedofilo.

Fra l’altro, l’Espresso titola la frase “Master in storia delle religioni”. Altro che master, scuola elementare di storia delle religioni. Si tratta di una cosa molto semplice. Una delle tredici mogli di Maometto, Aisha, era una bambina. E uno che sposa una bambina di sei anni e consuma tale matrimonio quando lei ne ha nove è una cosa sola: un pedofilo.

È possibile che tale costume fosse più comune a quel tempo che non ora – il fatto che stupri, schiavitù, sterminî di massa fossero più comuni, un tempo, non li rende meno sbagliati – ma ciò non sconta nulla della definizione. Anzi, semmai acuisce la risibilità dell’affermazione di immutabile infallibilità di tale profeta, senza la quale crolla tutta la costruzione religiosa.

È davvero sconfortante constatare come la religione sia l’unico campo in cui, anche i più critici – spesso giustamente, come l’Espresso – applichino una sospensione del giudizio ridicola, in nome di un malintesto rispetto delle buffonate credute dagli altri. Ma non c’è alcuna ragione per contestare le mie idee se dico che penso che la gravità non esiste, e non contestarle se dico che Maometto è volato in cielo su un cavallo alato, o che la madre di Gesù Cristo era vergine.

p.s. Su Daniela Santanchè rimando a uno dei post che mi erano riusciti meglio, negli ultimi mesi: questo.

Il simbolo dell’Occidente è toglierlo

Ecco, lo so, partire da un gruppo di facebook come argomento di un post è davvero facilone. Effettivamente si potrebbe sfruttare un gruppo di facebook come pezza d’appoggio per fare un post indignato su qualunque argomento sulla Terra. Però mi ci è capitato l’occhio, e allora mi è venuta voglia di rispondere.

Sono anche in ritardo, come non si fa, ma vabbè: cosa ne penso del crocifisso è scontato. Va tolto, per tutte le ragioni del mondo, senza che questo ne faccia – dello staccamento del crocifisso – una questione di impellenza e rilevanza dirimente.

Il gruppo è questo. In due parole dice: “cari mussulmani, non potete venire qui a casa nostra chiedere di togliere un simbolo dell’Occidente come il crocifisso”. È un’obiezione che mi fa imbufalire. Intanto, sì, per la miseria del mancare di valutare una richiesta, o un’affermazione, sulla base della bontà degli argomenti portati ma sull’identità di chi è a proferirli (“cari mussulmani”, “casa nostra”), rimodulazione del concetto di autorità anziché di autorevolezza.

Ma poi la questione è tanto peggiore in quel “crocifisso simbolo dell’Occidente”. È invece l’opposto: l’Occidente è diventato il miglior posto dove vivere proprio quando ha rinunciato a quei simboli.
Ciò che ossequiamo – e giustamente – dell’Occidente, è essere riuscito a produrre un consesso di esseri umani che i nostri antenati, soltanto cento anni fa, avrebbero considerato una mirabile utopia. È essersi liberato dallo spettro della teocrazia e della religione di stato. È l’aver fatto del libero pensiero il metro e la morale di ciascun individuo. È ciò che, ancora, nella maggior parte dei paesi islamici non si è riusciti a fare.

Chi pensa di difendere l’Europa dall’oscurantismo dell’Islam agitando i crocifissi è, piuttosto, un nemico dell’Europa.
Il simbolo dell’Occidente, ciò che lo fa differire dall’Arabia Saudita, non è il crocifisso – quello c’era anche e più quando l’Europa era oscurantista e retriva come l’Arabia Saudita – ma è l’Illuminismo.
Il simbolo dell’Occidente, e il suo genio – quello che vorremmo per tutto il mondo – non è il crocifisso, ma l’avere le pareti sgombre.

E basta, chiamiamoci atei

Voglio ora parlarvi dell’eventualità che nelle prossime settimane San Marino – in alleanza con un gruppo di indipendentisti marchigiani – dichiari guerra all’Italia; aggiungo anche che questa guerra sarà combattuta da tutti con dei forconi da contadino, e solamente nei giovedì di luna piena.

forcone_zavattiniDunque, cosa pensate di questa faccenda? Che non succederà, ovvio. Ma vorrei che foste un po’ più specifici: perché pensate che non succederà? Immagino che la risposta abbia a che fare con il fatto che l’insurrezione di un gruppo di indipendentisti marchigiani è altamente improbabile, come quella che un conflitto, al tempo d’oggi, si combatta con dei forconi.
Se anche trovaste, al discount sotto casa, uno stock di forconi a metà prezzo dubito che lo comprereste. Perché?
In un concetto, inferisco, non avete nessuna prova che vi porti a credere dell’esistenza di questo dato pericolo: magari se domani ascoltaste al telegiornale di dimostrazioni anti-italiane ad Ascoli Piceno, e di traffici sotteranei di forconi in direzione della piccola repubblica appenninica, iniziereste ad avere qualche dubbio in più. E sarebbe normale, perché è successo qualcosa, delle manifestazioni, degli avvenimenti, che suggeriscono l’eventualità.
Ma in caso contrario molto difficilmente cambiereste, anche di una virgola, il vostro comportamento. Non ci credete, non ci scommettereste neanche dieci euro in cambio di poterne vincere 100.000. Non c’è niente che lo suggerisca. Eppure, se vi chiedessi: potete escludere al 100%, senza alcuna sbavatura di dubbio, che succeda? Neanche il più grande sostenitore dell’inoffensività dei marchigiani potrebbe escluderlo categoricamente.

E della possibilità che esistano degli extraterrestri, ghiotti di pane e tulipani, che possono assumere le fattezze di Emilio Fede e dirigere il TG4 cosa dite? Dài, la facciamo breve. Lo stesso. Non esistono. Niente lo suggerisce. Se domani vediamo qualcosa che lo suggerisca, magari iniziamo a cambiare idea. Ma intanto non ci crediamo. Poi, certo, non è che lo possiamo escludere al 100%. Niente si può escludere al di là di ogni irragionevole dubbio.

invisibile unicorno rosaEheh, lo so che lo sapete che volevo arrivare da qualche parte. Eccoci arrivati. È questa qui la parte, quella che me l’ha suggerito: sento spesso dire «io non sono ateo, sono agnostico, come faccio a escludere l’eventualità che Dio ci sia?». E quella degli extraterrestri-emilio-fede? O della guerra forconica marchigiano-sanmarinese? Ti definiresti agnostico rispetto all’ipotesi del marziano mangiatulipani?
E così via, alla fine sono tutte rimodulazioni di questo.

Gli agnostici non esistono. Nessuno di quelli che si definisce ateo esclude pregiudizialmente l’esistenza di Dio, semplicemente pensa che non ci siano sufficienti prove a dimostrazione che ci sia. Pensate esista qualcuno che, se Dio arrivasse e facesse capolino da una nuvola batuffolosa dicendo «ciao, sono Dio» si aggrapperebbe alla fede di non crederci? No, la fede – la fiducia cieca – non è roba per chi non è dogmatico.
Il “problema” è che non ci possono essere prove della non esistenza di Dio, perché se Dio non esistesse – come, fino a prova contraria, non fa – il mondo sarebbe esattamente com’è ora.

p.s. Ma non avevi detto che la parola ateo manco dovrebbe esistere? Già, ma è un lavoro lungo.

La religione che fa per te

Da bambino compravo sempre il Corriere dei Piccoli (viva la Pimpa!) per fare quelli fatti così, che si chiamavano “test”. Non mi piacevano quelli coi numeri, ma quelli con le varie alternative che ti portavano a imboccare strade. Ecco qua, un “test” simile: qual è la religione che fa per te?

La religione che fa per te

Marrazzo, la cacca e il culo

Le cose migliori, su Marrazzo, le ha scritte Malvino:

“A me piacciono i trans – avrebbe dovuto dire – e ogni tanto, quando mi va, vado a letto con uno di loro”. Pagandolo? “Non sono contro la prostituzione – avrebbe dovuto dire – e penso che ciascuno sia libero di vendere il proprio corpo, se è maggiorenne e non vi è costretto”.
Ma andare a letto con un trans “Non consento ad alcuno di giudicare i miei gusti sessuali – avrebbe dovuto dire – e tanto meno di criminalizzarli, perché vado a letto con individui maggiorenni e consenzienti. Fatti miei, è il mio privato”.
E allora perché venircelo a raccontare? “Perché non mi ritengo ricattabile – avrebbe dovuto dire – e oggi mi hanno chiesto del denaro in cambio del silenzio su quanto ho qui rivelato”. Piero Marrazzo non l’ha fatto: si è ritenuto ricattabile e ha pagato i suoi ricattatori.

Cosa fa di una persona come Marrazzo un individuo ricattabile? Il fatto che abbia usato l’autoblù per cose private? Il fatto che abbia omesso di denunciare un reato? No. Tutto quello che ne è venuto fuori è incentrato sulla censura – mi vengono i brividi ad associare questa parola a un comportamento sotto le lenzola – morale, per la conduzione di un campione non approvato di vita sessuale.
Intendiamoci, rispetto all’individuo stesso, il fatto che una persona abbia tradito un patto di fedeltà con la moglie è grave – e scontarlo perché “gli uomini sono fatti così” avrebbe il sapore stantìo di quella visione sciupata per cui il sesso ha lo sciocco gusto delle cose proibite, come quando da bambino dicevi cacca o culo sentendoti oscuro e diabolico. Concetto per nulla raro, e di cui è un ottimo esempio, prima fra tutti, la centrifuga berlusconiana.
Ma, importante, esclusivo metro e giudice di questa infrazione può essere solo e singolarmente la moglie: l’unica vittima deliberata di questa defezione.

Questo malinteso senso della gravità delle cose, non mi stanco di dirlo, è colpa di una invertita idea di etica – pressoché appaltata dalle religioni – per cui esistono dei crimini senza una vittima; per cui c’è qualcosa di “immorale” nel fare alcune cose anche se queste non danneggiano gli altri. È l’idea che la misura del bene o del male sia in qualche modo postulata lì in alto, e non risieda nell’infrazione dei diritti o della felicità altrui.

Voglia il Cielo scusarci se proviamo a fare del bene, qui in Terra.