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La fila all’apertura del primo McDonald’s in Unione Sovietica:
poveri i bambini che finiscono nella squadra avversaria
Chi fuoriesce d’altra partizione…
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Nel Medio Evo era normale per le persone conficcare una spada nell’addome di un altro individuo. Però non ci pensiamo.
Qualche tempo fa scrivevo:
Un americano su tre (uno su tre, se siamo in tre per strada uno di questi l’ha fatto!) ha donato qualcosa per le vittime dello tsunami. È una cifra enorme, se ci pensate, escludendo tutti coloro che volevano farlo, e non l’hanno fatto, quelli che volevano poi non avevano la carta di credito giusta, quelli che si ora lo faccio, hanno sempre rimandato e non l’hanno più fatto.
Ora si parla molto di questa iniziativa, the Giving Pledge, in cui diversi miliardarî si sono impegnati a donare almeno metà – sì, metà – del loro patrimonio. Si tratta della più grande raccolta di beneficenza della storia del mondo.
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Una cosa che mi chiedo da un po’ è come mai nelle automobili ci sia l’accendisigari. Posto che può funzionare da presa elettrica con degli adattatori, che senso ha metterlo come output di default? Ti serve l’adattatore per il computer, quello per il cellulare, quello per l’iPod, quello per etc. Non sarebbe più logico mettere una presa elettrica standard e poi chi vuole si compra l’adattatore per accendercisi le sigarette?
Naturalmente ci sarà qualcuno che troverà utile avere un simil-accendino in macchina ma, o li metti entrambi, o è una scelta del tutto illogica. Voglio dire: immaginatevi casa vostra con tutte le prese a muro fatte ad accendisigari; poi, per ogni dispositivo, dovete mettere l’adattatore. Il ferro da stiro, il forno a microonde, l’albero di Natale. Ciascuno col suo aggeggio per farlo funzionare sulla presa ad accendisigaro.
Cioè, il motivo c’è sicuramente, e lo immagino storico: un tempo non c’era nulla di elettrico da attaccare in macchina, e quindi era più probabile che qualcuno trovasse comodo sfruttarlo per i sigari. Ma ora i tempi sono cambiati. Non sarebbe ora di cambiare anche le automobili?
Grazie a Saverio
A Christopher Hitchens è stato diagnosticato un cancro all’esofago.
Hitchens è il più acuto e sagace giornalista che possiate incontrare. È impossibile leggerlo o ascoltarlo senza imparare qualcosa. Le sue opinioni non sono, mai, prodotte da riflessi condizionati, di partigianeria o tic mentale. C’è sempre una vigorosa e competente tensione verso la verità, che tiene i suoi ragionamenti sempre fuor di pregiudizio, come si può dire davvero di poche persone.
Per questo è sempre stato molto difficile identificarne la matrice politica: Hitchens è un progressista, nel senso più pieno del termine. La sua unica ideologia è l’estirpazione delle sofferenze delle persone. E lo è nella maniera più scanzonata e divertente, assieme dotata della arroganza dei fatti, e dell’umiltà del voler cambiare idea di fronte al torto. Se c’è una persona le cui opinioni non voglio smettere di leggere, è questa qui.
Feroce critico di qualunque conservatorismo, annichilisce – con la forza dei proprî argomenti – chiunque sia contrario ai matrimonî gay o ai diritti delle donne sulla scorta di dogmi risalenti all’età della pietra. È perciò un grande oppositore del Vaticano, dove fu convocato come advocatus diaboli nel processo di santificazione per Madre Teresa di Calcutta (rispose più o meno: «gratis?!?»). Per la medesima ragione Hitchens fu uno dei pochissimi a riconoscere i pericoli dell’islamismo senza che questo lo portasse al retrivo accartocciamento su di sé, del considerare occidentali – né tantomeno giudaico-cristiani – le idee di libertà (d’opinione, sessuale, di governo), per le quali qualunque persona che voglia marcare un segno su questa Terra deve combattere.
Nemico di qualunque dittatura al mondo, si fece picchiare da una squadraccia fascista, per l’irrefrenabile impulso di cancellare una svastica su un muro di Beirut – «quando vedo quel simbolo non posso fare a meno di volerlo cancellare», disse. Acceso sostenitore della democrazia e del governo del popolo, è sempre stato un grande critico al vetriolo della politica estera realista, come nel caso della complicità coi varî regimi dittatoriali delle varie amministrazioni americane durante la Guerra Fredda. Ha scritto Processo a Kissinger in cui enuncia le ragioni per cui l’ex segretario di Stato americano – e teorizzatore della dottrina realista della connivenza con le dittature – dovrebbe essere incriminato per crimini di guerra e reati contro l’umanità.
Dopo l’Undici Settembre, quando George W. Bush passò dalla piattaforma realista di isolazionismo con cui era stato eletto, a farsi campione dell’esportazione della democrazia, l’indipendenza di bandiera e l’eclettismo dell’intelligenza impedirono a Hitchens di fare il salto opposto, come invece tanti altri: fu inizialmente a favore della guerra in Iraq, nonostante Cheeney e Rumsfeld. Pur condividendone la pulsione ideale – umanitaria e libertaria – dell’intervento, conservò rilevanti scrupoli su come l’amministrazione Bush la stava portando avanti: sperimentò in prima persona il waterboarding per dimostrare che si trattava di una vera e propria tortura e chiedere che fosse bandito come tecnica d’interrogatorio.
In uno degli articoli più emotivamente densi che abbia mai letto, raccontò la storia di Mark Daily, un ragazzo arruolatosi nell’esercito americano. Si augurava di poter fare qualcosa per il mondo in cui viveva, e la rimozione di uno dei regimi più sanguinarî del ‘900 gli era parsa una delle migliori cause: fu persuaso da alcuni degli articoli a favore dell’intervento scritti dallo stesso Hitchens, e partì come volontario per l’Iraq. Lì morì. Hitchens si mise in contatto con la famiglia del ragazzo, e presenziò al suo funerale. Dall’Iraq aveva scritto questa cosa alla moglie – credo che sia impossibile trovare parole più belle e ricche che una persona possa rivolgere a un’altra persona:
Una cosa che ho imparato su di me, da quando sono qui fuori, è che tutto quello che ti ho professato a proposito di ciò che desidero per il mondo, e ciò che ho voglia di fare per ottenerlo, era vero.
Il mio desiderio di “salvare il mondo” è, in realtà, solamente un’estensione del tentativo di costruire un mondo adatto a te.
Io spero che Hitch riesca a venirne fuori, anche se ho capito che è davvero difficile: il tumore all’esofago è uno dei peggiori, e il fatto che venga sottoposto alla chemioterapia anziché a un’operazione non fa ben sperare, ma – comunque – continuo ad augurarmi, e augurarci, che fra qualche mese possa uscirne con il suo stile, e con una lettera bella come questa.
Se avete pregato per me, vi perdono.
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Steve Jobs ha detto che non vuole vivere in una nazione di blogger. In più ha aggiunto che oramai le persone sono bendisposte a pagare per le notizie. Io mi ero fatto l’idea che avesse torto su entrambe le cose, e anche quella che di questa mia opinione non interessasse a nessuno. Però visto che al Foglio mi hanno chiesto cosa ne pensassi io, assieme a tanti altri, ho provato a spiegar loro che secondo me è come una partita a calcetto:
C’è un sacco di gente che gioca a calcetto, di domenica sera. Qualcuno anche di mercoledì. Si diverte un sacco, e non pretende di essere pagata. Lo fa perché si svaga, perché così si conoscono tante belle persone, e anche perché confrontarsi sul campo è sano e utile. Poi, certo, ci sono quelli che giocano male, o che finiscono a insultarsi per un rigore non dato: ma io quelle partite non le vado a vedere, e sarebbe sciocco dare la colpa al calcetto se qualcuno gioca nel modo sbagliato. In fondo gioca chi vuole, e chi non vuole si dedica ad altro. Infine ci sono i calciatori che vengono pagati, perché sono più bravi degli altri – o almeno così dovrebbe essere – e quindi quello è il loro mestiere.
Perciò io non capisco perché Steve Jobs non voglia vivere in una nazione di giocatori di calcetto. Ma mi sa che quel ragazzo abbia saltato lo squalo da un po’: almeno da quando – con l’interdizione del porno su iPad – ha smesso di indovinare cosa poteva piacere ai suoi clienti, e ha iniziato a stabilire cosa doveva piacere loro. Di più: secondo me questa volta non l’ha neppure azzeccata. Se ne sono provate tante, principalmente tre: articoli a pagamento, donazioni degli utenti, e pubblicità. Jobs – con iPad – sta puntando sulla prima, quella che ha funzionato di meno: “la gente è disposta a pagare”. Bisognerebbe inventarsene una quarta e una quinta, ma nel frattempo – se dovessi puntarci un dollaro – io scommetterei sulle altre due. Insomma, passa la palla, Steve.
Qui l’articolo originale, con il contributo di altri giocatori di calcetto.
Ho visto questo grafico, e la prima cosa che ho pensato non è “sono tutti giovani”, ma “sono tutti maschi”. E non so dirmi come commentarlo.
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Quelli di Improv Everywhere sono gli unici che riescono a fare dei flash mob ancora originali e divertenti: