L’omosessualità conviene

In questo periodo di bombe carta, accoltellamenti, noti omosessuali attenzionati, vivo sempre con una irta traccia di malessere che non riesco a definire bene. Sono fatti e frangenti che proprio non capisco, in fondo – mi rendo conto – io non so proprio come discutere con qualcuno che abbia qualcosa contro l’omosessualità, mi sembra una cosa fuori dal mondo, non politicamente sbagliata.

Allora sono andato a ripescare un ragionamento scritto da Max tempo fa – ero ancora in Palestina – che avevo molto apprezzato, perché rendeva – anche – politico, quello che è di umanità.
E lo traduco in italiano, l’originale è qui. L’argomento mi aveva particolarmente attirato, perché io sono sempre molto restio a spiegare che l’omosessualità non è una scelta perché – l’avevo scritto, dategli un’occhiata – questo sembra implicare che se, invece, fosse una scelta ci sarebbe qualcosa di male. Invece no:

(precedono numerosi argomenti scientifici che spiegano come l’omosessualità sia un tratto sia genetico – con un’incidenza fra il 5 e il 10 percento – che condizionato dalla società) Tutto questo per dire che l’omosessualità è parte di un “normale” spettro di comportamenti umani, e l’ambiente inciderà molto poco senza un background genetico con tale propensione: non tutti i figli minori di padri che li maltrattano e madri superprotettive diventeranno omosessuali, né l’opposto di questo preverrà il comportamento! L’inclusione dell’omosessualità nel “normale” range dei comportamenti umani è importante perché un comportamento “anormale” richiama immediatamente il concetto di cura o aggiustamento:  trattamento psicologico (com’era un tempo) o il carcere, come per i crimini.

Una volta che accettiamo che è un comportamento normale, la domanda successiva è “è male per la società?”

Lo stupro, la necrofilia, la zoofilia, l’omicidio non sono solamente comportamenti anormali presenti nella popolazione umana a livelli molto bassi e senza una sottostante base genetica, ma infrangono i diritti di altre entità. Sono comportamenti antisociali crudeli e distruttivi che ovviamente minano le basi della cooperazione sociale e della coesistenza. Violano la Golden Rule “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” (che, per inciso, non è stata inventata da Gesù ma si può datare almeno 5000 anni fa, nel subcontinente indiano con il Giainismo e lo Zoroastrismo), un fondamentale comportamento umano che scaturisce dal nostro innato senso di empatia e dal nostro spirito di cooperazione (il contraltare del nostro innato istinto competitivo), la base per i moderni diritti umani.

L’omosessualità non ha nessuna di tali caratteristiche. Non viola la Golden Rule.  Molteplici e vasti studi sostengono la tesi di “nessuna differenza” per i figli di coppie omosessuali. In più l’esposizione a un ambiente più diversificato porta a una maggiore tolleranza e apertura mentale da adulti, così che  la coesistenza e la cooperazione sociale ne beneficiano. Dove l’omosessualità e i matrimoni omosessuali sono legali la società non è crollata né si è dissolta, il cielo non è caduto: anzi, una forza lavoro più educata, più motivata, e più impegnata è stata promossa e attratta; i diritti civili hanno stabilizzato coppie e famiglie, togliendo tensione ed eliminando le incertezze. Ci sono molti elementi che suggeriscono che un’ampia accettazione sociale dell’omosessualità rende le persone più felici, e delle persone più felici sono migliori lavoratori e consumatori. Alla fine, l’omosessualità è ottima per l’economia!

Poi, un giorno, anche in Italia i gay potranno sposarsi e adottare, e l’indomani nessuno ci troverà nulla di strano. Tutti percepiranno il vietarlo come un’inammissibile discriminazione, la Chiesa dirà che ciò che ne dicono i testi sacri va “interpretato”, e tutti vivranno felici e contenti, con i teisti che rivendicheranno come parte della loro fede (Dio è amore!) le conquiste fatte a scapito loro soltanto dieci o venti anni prima.

Termino con un video di dove queste cose sono già successe, e dove chi ha due papà lo va a cantare – non in un programma di approfondimento – ma allo Zecchino D’Oro.

Terre di laghi

finlandFra le tante brutte notizie dall’Africa, l’alluvione del Burkina Faso, gli scontri in Gabon, la condanna per Lubna (è di oggi la parziale revoca), mi era sfuggita una bella, davvero bella, notizia: l’incriminazione di Francois Bazaramba, un pastore battista rwandese, per il massacro di 5000 Tutsi durante il genocidio di 15 anni fa da parte di un tribunale finlandese.

E raro che qui si gioisca perché una persona viene processata, e così stavolta. C’è però da rallegrarsi, e molto, per la riaffermazione di un principio sacrosanto che – è un augurio, il mio – dovrà essere esteso in ogni senso: l’aterritorialità dei crimini, faccia torbida dell’aterritorialità dei diritti. Il male non ha nazionalità, un crimine lontano ci deve riguardare quanto un crimine vicino.

La Finlandia ha rifiutato l’estradizione di Bazaramba, spiegando che in Rwanda l’ex pastore non avrebbe un processo giusto, e si è fatta carico della celebrazione del processo: la corte finlandese si trasferirà a Kigali per due settimane così da ascoltare i testimoni.

Viva le renne.

Certezza della pena

Ma che è una notizia? Già mi fanno storcere il naso le risse sugli sconti di pena per buona condotta: fanno parte della legge (che, ricordiamo, non è punitiva). Ma in questo caso, davvero, dov’è la notizia oggi? Gianni Guido avrebbe finito di scontare la sua pena ventennale il 26 agosto 2009, cioè oggi. Lo si sapeva ieri, lo si sapeva l’altro ieri, lo si sapeva il giorno prima: ora che è arrivato il giorno previsto per la fine della pena, quale sarebbe questo ulteriore motivo di scandalo?

A immagine e somiglianza del Male

È molto tempo, da quando ero in Palestina, che tengo questa foto sul desktop: non l’ho mai tolta, non l’ho mai spostata, non l’ho mai commentata, l’ho sempre tenuta lì. Non ricordo neanche più dove l’avevo trovata, a suo tempo: immagino sia presa in una capitale europea, direi Londra. Forse ai tempi della guerra a Gaza.
Più la guardo e più mi viene in mente che questa sia, per mille motivi, la raffigurazione del male. Loro malgrado, malgrado le persone ritratte nella foto: sono tanto restio a usare formule arroganti come “non sanno quello che fanno”, ma in questo caso mi sembra proprio di dovermi permettere quella quantità di presunzione.

Una lezione agli ebrei

La scritta recita: “gli ebrei non hanno imparato (la lezione): hanno bisogno della [svastica] più di prima”.
Ci sono così tanti elementi da cui essere agghiacciati, in questa immagine, che non è la scritta stessa il fattore più terrificante, ma l’insieme inscindibile del tutto.
C’è quella donna, probabilmente la madre della bambina, tanto velata, a cui non è permesso di mostrare neppure il naso. C’è quell’uomo, lì dietro, che va verso casa con la spesa, quasi a dare alla situazione un tocco di normalità. C’è lo zelo precisionista, con cui chi ha disegnato il cartello ha aggiunto le tre frecce, probabilmente a scritta ultimata. C’è l’uso di una bambina così piccola in una manifestazione di tale disprezzo. C’è la mano che fotografa, una fra le tante, lo “spettacolo”. C’è il disprezzo con cui è stata calcata la parola “they”, loro. Ma la cosa più feroce è l’abbigliamento di quella bimba, come – attraverso quegli stracci – le venga inculcato il suo ruolo di femmina inferiore, sin dalla sua tanto vicina venuta al mondo: io non so fare distinzioni di sorta nel ribrezzo scaturente da quella educazione. L’instillazione dell’antisemitismo e l’inoculamento di quell’ordinamento religioso e patriarcale sono tutt’uno.
C’è qualcuno che, armato di bisturi, sarebbe in grado di censurare l’antisemitismo senza nutrire sdegno per la “culturale” costipazione di quelle donne?

Happy Birthday

Oggi Barack Obama compie gli anni: cosiccome il vero JF Kennedy aveva avuto una vera Marilyn Monroe, così il finto Obama ha avuto una finta Marilyn Monroe. Il tutto al Madame Tussauds di Londra, il museo delle cere. Chissà se anche la torta è di cera.

obama

Ru486

La discussione non mi trova molto partecipe. Mi sembra una battaglia ideologica nel peggior senso di tale parola, fatto di parole d’ordine fasulle da entrambe le parti. Io, per me, sono ragionatamente favorevole al diritto all’aborto, come scritto qua: mi dànno però fastidio alcune bugie del fronte abortista:

  • Non è vero che l’aborto “è sempre una tragedia”, ci sono alcune donne – viste con i miei occhi, lavorandoci – specie immigrate, che lo usano come un contraccettivo.
  • Non è vero che “è in gioco il corpo delle donne”. Il corpo delle donne è in gioco in Arabia Saudita, non qua.
  • Non è vero che “la 194 ha ridotto gli aborti”. La 194 ha, per fortuna, reso l’aborto più facile e meno pericoloso, eliminando i ganci infilati negli uteri. Nello stesso periodo sono, anche, diminuiti gli aborti: ciò non è certo successo rendendo l’aborto più facile.

Trovo anche ingiusto che una donna possa decidere di abortire senza l’accordo del possibile padre, per lo stesso motivo per cui trovo giusto che un uomo non possa obbligare la donna ad abortire.

Proferite tutte queste chiacchiere, c’è una cosa che mi fa davvero imbestialire – e qui arriviamo all’oggi: come cazzo (scusate) si fa a essere contro alla Ru486?

C’è una legge, si può abortire. Lo dobbiamo ripetere? Si può abortire. Possiamo dare a una donna la possibilità di abortire in modo meno doloroso, con meno effetti collaterali, meno sofferenza. Non è che, altrimenti, non potrebbe farlo: mi dispiace, c’è la 194, non potete costringerla. Potrebbe farlo, solamente in un modo più doloroso.
Una volta che è stabilito che una donna possa abortire – può non piacervi ma questo è il dato – per quale cavolo di motivo volete che soffra?
Perché è una peccatrice?
Ma andate al diavolo! Voi, non lei.

Not in His name

La storia è questa: una ragazza, poco dopo la nascita, perde la vista. Vive una vita molto ritirata, quasi dimessa: esce poco se non accompagnata dai genitori. I suoi genitori non vogliono avere un cane in casa, quindi lei non può avere un cane-guida. In queste condizioni è praticamente privata della possibilità di muoversi. Arrivata a ventotto anni riesce a trovare un escamotage: un cavallo! Inspiegabilmente, questa volta, i genitori accettano.

Se ascoltaste questa storia fin qui cosa pensereste? Che quei genitori sono dei mascalzoni. Che mettono davanti al bene della figlia la loro repulsione per i cani. Chissà quanti di noi non amerebbero avere un cane in casa, però in confronto alla felicità della figlia chi potrebbe sentirsi di fare questioni? Invece questi genitori egoisti e capricciosi non si curano del bene della figlia, ma delle loro fisime.
Sbaglio, o è quello che tutti noi penseremmo?

Mona

Ora, si dà il caso che questa ragazza sia mussulmana, e che per molti mussulmani i cani siano animali turpi: vedete come tutta la storia assume un significato, come quei genitori iniziano ad avere delle potenti attenuanti? La foto con il cavallo ci fa quasi simpatia, alla fine è stata una buona idea. E quanto ai genitori, beh, in fondo è la loro fede. È quello che “sentono”, come tanti altri “sentono” un altro Dio. Che ci possono fare?
Ed è esattamente questo il problema dell’atteggiamento che abbiamo con la religione – ogni religione: ma soprattutto ogni religione che imponga divieti infondati sulla felicità delle persone – e cioè che diamo dei bonus di responsabilità, un assegno in bianco per la cattiveria, a chi motivi i proprî atteggiamenti lunatici e prepotenti sotto l’egida di un culto.

«Fa’ quello che vuoi, amico mio, per carità, ma non sono disposto a scontarti nessuna delle responsabilità di ciò che fai in nome delle cose in cui credi»
Dare a ciascuno le proprie responsabilità, che è anche la cosa più altruista che c’è.