È tornato

Oggi, al discorso di accettazione del Nobel.

Obama ha detto le cose per cui avevamo seguito tutte le notti elettorali, con trepidazione, e di cui avevamo scritto. È stato questo Obama qui, quello che era un po’ sbiadito – nel tempo.

Obama ha detto che Gandhi non può funzionare contro Hitler, e difatti non avrebbe funzionato. Che siamo tutti, ora e subito, responsabili delle persone che vengono private della vita, delle libertà, di sé, in quelli che sono luoghi in cui c’è una pace soltanto apparente.

E l’ha detto, coraggiosamente, in quello che è l’ambiente dove è più forte il moloch di una definizione molto limitata di pace: l’idea che essa sia un fine, e non un mezzo per rendere le persone felici, intangibili, uguali nei diritti e nelle libertà. Credo di poter azzardare che nessuno  – in quella sede – avesse mai reso chiare quelle parole.

Certo, sono parole. E sarà pur vero che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma è anche più vero che fra il dire e il non dire c’è di mezzo un oceano. Complimenti a chi riesce ad attraversarlo:

Qui la seconda parte, qui la terza, qui la quarta.
Qui il testo (inglese)

I diritti di tutti, e quelli di pochi

Della questione dei matrimonî in California ne avevo parlato più volte, su questo blog. Per tante ragioni, fra cui quella che – negli ultimi 18 mesi – è stato un tema e uno spazio campo di battaglia tra coloro che sono contenti che gli altri si vogliano bene come vogliono loro, e coloro che vogliono decidere se e come gli altri individui debbano volersi bene.

Le cose erano andate più o meno così: nel 2008 la Corte Suprema californiana aveva dichiarato anticostituzionale il divieto di matrimonio per gli omosessuali, da quel momento tante coppie avevano cominciato a sposarsi.

La storia, purtroppo, non progredisce solamente, e contestualmente all’elezione di Obama un referendum aveva reintrodotto nella Costituzione il vincolo uomo-donna, vietando di fatto la celebrazione di nuovi matrimonî.

Di più, Kenneth Star, quello famoso per l’affaire Lewinski, aveva poi tentato di impugnare le diciottomila unioni già celebrate.
Era proprio in questo contesto che avevo raccontato della reazione dell’educatrice palestinese al bellissimo video contro quelle cancellazioni.

Ecco, ora, sulla scia di quelle retrive brutture, c’è chi fa campagna per cancellare il diritto, di tutti, al divorzio:

Questo per dire che se te ne freghi dei diritti degli altri, poi arriva sempre il giorno in cui qualcuno viene a togliere i tuoi.
E – sai che c’è? – un po’ ti sta pure bene.

EDIT – Era uno scherzo! E io ci son cascato.

Chi invecchia e chi no

Secondo me Greenpeace non ha evitato di fare il manifesto con Berlusconi più vecchio di 11 anni per questa campagna perché l’Italia non conta nulla, ma perché disegnarci un novantenne non sarebbe stato carino: e questo dimostra l’anomalia italiana.

Posteria numero mille

Ho scoperto che questo è il post numero mille del mio blog, e non sapevo che scriverci. Uno dovrebbe in qualche modo, chessò, festeggiare. Però ci ho pensato un po’, ho pure chiesto consiglio, ma senza arrivare a nulla. Insomma, non so che scrivere.

Allora ho deciso di scrivere dei post su cui non so che scrivere, e degli argomenti che passano senza che qui li abbia commentati – sopravviverete? – dando l’impressione che non mi interessino, o che non li trovi gravi o rilevanti.

Invece non è così, delle volte non so proprio che scrivere, perché tutti coloro che ho letto hanno detto tutto quello che c’era da dire, e l’hanno detto anche bene. E, invece, l’unico contributo che potrei dare io alla discussione è «che scandalo, che vergogna, sono dei criminali!»
In questo caso mi riferivo al caso Cucchi.

Dichiarazione di voto

Domenica ci sono le primarie, sì, del Partito Democratico. Quello che alla fine non ho votato, all’ultimo giro. E io voto quello col maglioncino arancione. Cioè, quello che dice quello col maglioncino arancione. Cioè quello che dice all’inizio, cioè, vabbè, insomma…

…famo che ve lo spiego domani.

Silvio per il Nobel, parte seconda

Non ci crederete, ma ieri ho visto questo tipo qua – ve lo confermano i miei occhi, a pochi metri da me, esiste davvero – che cercava di convincere delle persone rappresentative a prendere sul serio la candidatura di Berlusconi a nobel per la pace.

Le nove domande a Claudio brachino

Queste sono le prime tre:

1. Potrebbe sostituire quel «Mi assumo la responsabilità» che sa tanto di «La ragazza ha fatto una cazzata ma io che ho le spalle larghe la copro» con un più consono «Il servizio l’ha firmato l’ultimo anello della catena alimentare ma ovviamente era rivisto aggettivo per aggettivo da me, ché qui magari ogni tanto ne sbagliamo una ma mica affidiamo i pestaggi a una ragazzina, dai, su, per chi ci avete preso»? Così, per non aver l’aria di quello che scarica il guaio sull’ultima povera crista che ha fatto i compiti richiesti.
2. Posto che io il link al curriculum della Spinoso non l’avevo messo proprio perché era ovvio che finisse così e volevo nel mio minuscolo evitare il contropestaggio; e posto che non riesco a prendermela con lei perché siam state tutte giovani e ansiose di compiacere il capufficio e inconsapevoli di quali fossero le circostanze in cui era raccomandabile dirgli «Non diciamo cazzate»: a lei, Brachino, è chiaro, sì, che il cellulare l’ha messo in rete la Spinoso stessa, non qualche lettore di Kundera nostalgico dei good ol’ days?
3. Le è chiara, sì?, la differenza tra produrre in proprio, inviando troupe sotto casa sua, immagini – peraltro del tutto irrilevanti – della vita privata di un tizio, e pubblicare immagini – peraltro comprovanti fatti oggetto di inchiesta – scattate da una prostituta? In altre parole: lei pensa di essere una D’Addario minore? Devo preoccuparmi della sua autostima? (seguono altre 6)

Tu chiamala se vuoi… Guantanamo

Come biasimarlo? O come biasimarla?

Una saudita ha chiesto il divorzio dopo aver scoperto che il marito l’aveva soprannominata ‘Guantanamò sul suo cellulare. Lo scrive oggi il quotidiano al Watan secondo il quale la donna, di una trentina di anni e abitante a Gedda, ha scoperto per caso che il marito aveva memorizzato con il nome della tristemente famosa prigione americana sull’isola di Cuba, il suo numero di telefono. Ha infatti provato a chiamarlo sul cellulare ma lo sventurato l’aveva lasciato a casa e la moglie ha potuto così vedere il numero alla voce Guantanamo illuminarsi sul display. Furibonda ha chiesto il divorzio sostenendo che attribuendole un simile nomignolo, il marito la considerava una persona tirannica.

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