Che gli piaccia o no

Un recente sondaggio Gallup ha indagato su quali fossero le nazioni più amate e più odiate dagli statunitensi. Questo qui sotto è il risultato che n’è venuto fuori. In testa alle preferenze ci sono Stati tutto sommato prevedibili: Canada (che ha anche il favore più “forte”), Gran Bretagna, Germania. Ma non mancano le sorprese: checché se ne sia detto in questo ultimo decennio, due terzi degli americani hanno un’opinione favorevole della Francia, e quasi la metà della Russia (!). Prevedibili, invece, le nazioni meno amate: Iran e Corea del Nord.

Significativa anche l’escursione di consenso fra Israele e Palestina che rispecchia fedelmente la politica estera pro-israeliana degli Stati Uniti; un dato che, credo, non si presenterebbe così in nessun Paese dell’Unione Europea, storicamente più pro-palestinese: solamente il 65% ha una buona opinione di Israele, soltanto il 20% ce l’ha della Palestina (dato, però, in forte ascesa).

Ecco un bel grafico, click e si ingrandisce l’immagine:

L’Italia non c’è.

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Attacchini, io vi odio!

Io li odio, li odio con tutta la parte più a pelle di me.

Non c’è possibilità di sfuggirne, girando per Roma: in un pomeriggio ne avrò visti quattro o cinque, indisturbati, quasi indolenti, lì a ricoprire carta di altra carta. Ci sono alcuni posti dove c’è uno spessore di cartacce sovrapposte di qualcosa come mezzo metro. Non esagero. Attaccheranno dieci manifesti, uno sopra all’altro, ogni giorno. C’è un ricambio in tempo reale, nel corso delle ore.

Ieri dovevo sbrigare varie commissioni e ho praticamente girato tutta Roma, e a ogni quartiere in cui passavo – a ogni isolato di più – sentivo montare dentro di me un malessere che poi diventava rabbia e odio mirato. Mirato proprio a voi, attacchini di manifesti abusivi.

Lo so che il bersaglio grosso non siete voi, che quel qualcuno che vi paga per farlo è probabilmente peggiore di voi, che ci sono – in fondo – centinaia di lavori più disonesti, e che probabilmente siete dei poveracci che non avete trovato altro da fare per campare. Però ci deve essere un punto oltre il quale uno risponde delle proprie azioni, una misura di responsabilità individuale che distingue chi sarebbe disposto a farlo e chi no. Voi sì, e quindi – qui – me la prendo con voi.

Vi ho visto, più di una volta: la vostra macchinina col bagagliaio aperto, le quattro frecce, uno spazzolone e un secchio blu, invariabilmente blu (prendetelo verde, o viola, una buona volta! Non avete manco la fantasia di cambiare il colore del secchio!). Lì ad attaccare in qualunque più recondito anfratto, in ogni angolo a metri e metri di altezza, dei pezzacci di carta collosa. Non ho parlato dell’ambiente, di tutta la carta sprecata. Di tutta la fatica enorme che bisogna fare per togliere una cosa che impiegate cinque secondi a incollare. Ma non è solo questo.

No, io lo so perché vi odio così tanto: perché ogni volta che vi vedo scendere dalla vostra macchinina e, in pochi attimi, ricoprire una città di faccioni orrendi, senza neanche quella furtività che mostri che una abbozzata coscienza dello scempio che state facendo almeno la possedete, beh io mi sento impotente. E colpevole.

Sono in macchina, lì, e non so che fare. Devo escogitare qualcosa. Che faccio? Urlo: «smettetela!»?. Chiedo per favore di evitare? Al limite quelli si spostano di qualche metro e continuano, più lontano dal limite mi fanno una pernacchia. D’altra parte cosa? Chiamare la polizia? Per i manifesti? Magari sì, ma non verrebbero mai. Non ho proprio idea, però stare lì a guardare senza fare nulla mi lascia proprio un senso di connivenza. La prossima volta, ho pensato, faccio finta di fare una foto e vado via. Non che abbia nessun effetto eh, né che possa valere niente una foto del genere. Ma la prossima volta punto un cellulare, e faccio finta di far loro una fotografia, curandomi che loro mi vedano. Magari si mettono paura, magari pensano che – finalmente – c’è davvero qualcuno che sta cercando di intervenire. Chessò, almeno capiscono di non essere invisibili. Magari la volta successiva ci pensano qualche decimo di secondo di più, prima di rifarlo.

Che poi la cosa sarebbe facilissima. Nessuna tolleranza. Manifesto abusivo? Multa. Manifesto abusivo? Multa. Manifesto abusivo? Multa. Nient’altro da aggiungere? Niente multa. Provate a pensare cosa succederebbe se lo facesse un marchio. Provate a pensare un fenomeno di queste dimensioni al di fuori della politica, una pubblicità di qualunque altra cosa: se McDonald’s, per dire, tappezzasse muri, pareti, cartelloni, fermate dell’autobus, vetrine, con i propri manifesti? Finirebbero denunciati e multati fino al torsolo dell’ultimo manifesto incollato nell’angolo più remoto dell’abusività.

Invece se c’è di mezzo votantonio siamo tutti più tolleranti. Poi dice che c’è l’antipolitica.

«Mia nipote ci è nata con l’epilessia, non l’ha scelto lei»

The bill passed the House at 10:47 P.M. EST with a vote of 219-212.

Oggi gli Stati Uniti sono un Paese un po’ più civile e un po’ più normale. Si parla della riforma sanitaria: è passata! È una vittoria di Obama, in una battaglia su cui aveva investito molta della sua presidenza, e dopo che un anno di balletti aveva insinuato del pessimismo anche nei più fiduciosi.

Ci sarebbero molte cose da dire, sull’inevitabile timidezza del disegno di legge passato a dicembre al Senato, sui repubblicani – che hanno parlato di Unione Sovietica, e sugli stupidi – che oggi hanno un pretesto in meno per odiare l’America.

Ora aspettiamo l’emendamento che potrebbe fare un passettino, ancora, più avanti e poi il discorso di Obama. Poi, per ora, buona notte.

EDIT: Olé! Pure l’emendamento (migliorativo) HR 4872, che ora ripasserà al senato.

Il Paese degli uomini veri

Poi leggo cose come questa e penso che Berlusconi sia solo un effetto:

Sono circondato da uomini che in maniera più o meno sdolcinata cercano di conquistare le donne attraverso regali e soprese (…). Il dubbio è che questi siano diventati gay tutto d’un colpo permane. Cavolo, cento anni fa era tutto diverso. (…) Il problema è che ci sono uomini che hanno tradito la loro masculinità per assecondarle. I gay li per sè non sarebbero un problema, perchè sfoltiscono buona parte della concorrenza per conquistare la mia anima gemella. Una donna alla quale dirò chiaro e tondo che io sono un uomo, tutto d’un pezzo. Uno degli ultimi rimasti, come un baluardo sulle sponde di un fiume in piena. Che anzichè travolgermi mi sfiorano per timore reverenziale.

Se in Italia c’è gente che pensa cose del genere, che legge “riviste” come queste, il maschilismo di Berlusconi, quel suo piglio di onnipotenza da soap-opera, la professionale cura nel tentare – sempre – di approfittare della zona grigia fra ciò che è ingiusto e ciò che è illegale, la proditorietà quasi ammirevole con la quale non si imbarazza MAI delle abiette grossolanità che dice – beh, tutte queste cose – sono solamente il naturale esito delle cose.

Prima ancora che in un Paese dove non si fanno decreti interpretativi, voglio vivere in un paese in cui chiunque dica, a mo’ d’insulto “femminuccia”, venga guardato con sdegno da tutti i presenti ed escluso dalla comunità delle persone frequentabili.

Gol!

Ho letto uno status su Gmail, “Viva TARtaglia”. Ho pensato “l’hanno respinto”. Sono corso su Repubblica.it. Intanto che si caricava la pagina pensavo “dài, dài, dài che ce la facciamo”. Ho visto il titolo: Respinto il ricorso, e ho stretto il pugno agitandolo “EVVAI!”. E nei dici secondi successivi pensavo: «dài, che ce l’abbiamo fatta, dài che ce l’abbiamo fatta: ora vediamo che cavolo s’inventano, quelli».

Mi son ritrovato a pensare: cazzo, è esattamente quello che avrei fatto per un gol di Gilardino.
Non so se sono io che mi son ammalato: può essere.

L’Italia non è una dittatura

Io lo so che è difficile, però bisogna ricordarsi – anche ora – di cosa succede davvero nelle dittature. Dei dissidenti che vengono torturati, persone a cui vengono cavati gli occhi e fracassati i testicoli. Martoriati con le scariche elettriche e trucidati. Uccisi. Fatti fuori. Succede in molti paesi del mondo, anche ora.

Ho letto un sacco di gente – anche persone solitamente più attente – che in queste ore sta parlando di dittatura. Non con un’iperbole, proprio parlando a piena bocca: l’Italia una dittatura. Il direttore di Internazionale, oggi, ha scritto questo:

Tecnicamente si può già parlare di dittatura. Forse non ce ne siamo ancora accorti perché siamo abituati ai colonnelli greci o alla giunta militare cilena. Ma quello che conta è la sostanza, non la forma.

Il fatto stesso che l’abbia scritto e sia ancora vivo dimostra che non siamo in una dittatura.

Non dico neanche che bisogna mantenere la calma, bisogna incazzarsi eccome, ma non bisogna perdere di vista il buon senso, se non altro per rispetto alle persone che si ritrovano il cranio fracassato, o non rivedono più una persona cara per aver espresso un parere contrario a quello del dittatore di turno. E succede, anche ora Birmania, Guinea Equatoriale, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan, Bielorussia, Chad, Cina, Cuba, Eritrea, Laos, Arabia Saudita, Siria, Zimbabwe, Iran, Congo, Guinea, eccetera, eccetera, eccetera.

Con la sua mano destra in tasca

No, solo per farvi notare che il nuovo campione di statista illuminato, colui al quale la sinistra guarda oramai con ammirazione attònita e come unico punto di riferimento nel fioco panorama della politica italiana per il solo fatto di dire cose di elementare – neanche buonsenso, diciamo – umanità, tipo «anche gli immigrati hanno una dignità» o «lo Stato deve essere laico» o «in un paese civile non si fanno rastrellamenti».

Quello lì, ecco, sì. Gianfranco Fini. Ecco, anche lui su ‘sta faccenda del “decreto interpretativo” sta facendo una figura da raperonzolo.

Due a zero

Avevo scritto che percepivo una misura di disagio nell’esclusione delle liste del PDL dalla competizione nel Lazio, nell’ipotetico caso in cui, successivamente, si dimostrasse ago della bilancia in un’eventuale vittoria di Bonino.

Di sicuro è un malessere ridicolo rispetto alla cialtroneria truffaldina che hanno approvato ora per rimettersi in gioco. Altro che conflitto di interessi, altro che leggi ad personam. In tutti quei casi, per lo meno, si parlava di leggi per arricchirsi o per fuggire un processo. Ma questo decreto è ancora più grave, è una meta-legge ad personam: è una legge che una maggioranza fa per vincere le elezioni.

A livello ideale è come se ora approvassero una legge – lo so che non si può, ma capiamoci – in cui sanciscono che il simbolo dei partiti della coalizione al governo deve essere grande il doppio di quello dei partiti d’opposizione. Sembra proprio «il pallone ce l’ho io, cominciamo da due a zero per me, sennò non si gioca».

La lista della spesa

Faccio una premessa, ché in questi casi le premesse si fanno sempre. Penso che Renata Polverini sia la candidata peggiore che c’è, racchiudendo in sé tutto il peggio di destra e sinistra. Penso invece che Emma Bonino sia la candidata ideale per qualunque cosa, presidente della Repubblica, del Consiglio, della Fiorentina, eccetera.

Bucchi

Ora la dico, quella cosa: io sono un po’ a disagio con l’esclusione della lista del PDL dalle schede della regione Lazio. So che non si può fare altrimenti che escluderla, perché una volta che ci sono delle regole e qualcuno non le rispetta i provvedimenti sono necessarî, perché altrimenti le regole salterebbero completamente. Però non è che sia giusto rispetto alla legge della maggioranza, è soltanto la cosa meno sbagliata da fare.

Se davvero vincesse Bonino con uno scarto di pochi voti, quelli che sarebbero andati alla lista del PDL, sarei certo contento della vittoria della mia candidata, ma sarei anche un po’ turbato dall’aver vinto un’elezione nonostante la maggioranza delle persone non la pensi come me. È un po’ come vincere un referendum sulla scorta delle astensioni, per il mancato raggiungimento del quorum.

Torno a dire che, stanti come stanno le cose, non si può fare altrimenti, e gli sbraiti dei quadri del PDL – che riescono, impresa impossibile,  a essere al tempo stesso incapaci e manigoldi – sono il peggio che si possa ascoltare in Italia. Speriamo davvero – così sì – che perdano una barca di voti con queste dichiarazioni da Bebi Mia esorcizzata.

Però, ecco, se ci fosse un modo per riammettere la lista senza infrangere le regole – neanche nello spirito, con il decreto ad hoc – beh, sarebbe cosa migliore. Non c’è, peccato. Però “peccato”, non “evviva”.

Smeriglia

Uno dei problemi più seri che abbiamo oggi in Italia è la massiccia presenza di leghisti, riconoscerlo non significa essere razzisti.
Si stima che siano oltre tre milioni i leghisti presenti sul territorio nazionale, concentrati soprattutto nelle aree industriali del nord, e il loro numero è in continuo aumento. È innegabile che la convivenza di questa gente col resto della popolazione non sia una cosa semplice; le incomprensioni linguistiche, le barriere culturali, le differenze di valori, idee e abitudini producono inevitabili attriti che sarebbe sbagliato minimizzare. Anche l’aspetto del leghista, con quel suo modo di vestire che a noi può sembrare zotico e i tratti somatici un po’ scimmieschi, ci porta istintivamente a vederlo con diffidenza, come una specie di barbaro arrivato da chissà dove, che con la sua semplice presenza minaccia di distruggere l’ordine sociale così faticosamente raggiunto. Certamente l’integrazione dei leghisti è un processo lento e faticoso, non è gente abituata a vivere in zone urbane densamente popolate, ciononostante deve restare l’obiettivo primario di ogni politica responsabile e razionale, sia essa di destra o di sinistra.

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