A brigante brigante e mezzo

interesse 3 su 5

La storia, di qualche giorno fa, è questa: uno scienziato nucleare iraniano inizia a collaborare con la CIA, naturalmente all’insaputa di tutti. Amiri, lo scienziato, organizza un finto pellegrinaggio durante il quale sparisce dalla circolazione. Gli viene data un’altra identità, e una nuova vita, negli Stati Uniti, e un sacco di soldi – qualcosa come 5 milioni di dollari – per tutte le informazioni che fornisce agli USA sul programma nucleare iraniano.

La collaborazione va avanti per un certo periodo, dopodiché il tizio inizia ad avere nostalgia di casa, vuole portare il denaro in Iran, e – probabilmente – ricominciare a lavorare per il governo iraniano, però sceglie il modo peggiore per farlo. Decide di riapparire in Iran e inizia a raccontare una storia da film: che gli USA l’hanno rapito quando lui era in Arabia Saudita, e l’hanno torturato per estorcere informazioni. Inizia a dire peste e corna degli Stati Uniti, per accreditarsi agli occhi degli iraniani, e dice di essere vittima di una cospirazione orchestrata dagli americani, e quasi arriva a suggerire di poter fare il doppio gioco del doppio gioco.

Gli Stati Uniti all’inizio esitano, poi decidono di rispondere. Invece di contestare le affermazioni di Amir, per tutta risposta, rilasciano dichiarazioni che suonano più o meno così: “Mr. Amiri ha lavorato per noi”.

Poi li accoppia

Interesse 2 su 5

Magari è soltanto perché appaga la mia ansia d’ordine, ma la questione che quella Federica Gagliardi – ché per noi delle due ruote, la Dama Bianca era un’altra – la ragazza che Berlusconi s’è portato nei varî incontri del G8 e G20,  fosse stata candidata per l’Italia dei Valori, dopo aver lavorato alla segreteria del famigerato Stefano Pedica, è una di quelle incidentalità che mi fa pensare «ecco, appunto».

Deutschland über alles

interesse 1 su 5

Non amo la mia patria:
amo mia moglie.
Gustav Heinemann,
Capo di Stato tedesco 1969-1974

Io volevo dire una cosa sulla Germania, quella del pallone. Quella che è uscita ieri, quella che dicono multietnica, fatta di tanti non-tedeschi. Che tutti hanno lodato, e hanno fatto bene. Vorrei provare a dirvi che i non-tedeschi sono i più tedeschi di tutti, però so che è una banalità, e allora vorrei provare a spiegarvela.

Amare la propria patria, generalmente, è una sciocchezza: sei nato lì, ci sei capitato per caso, non hai scelto nulla. Quelli che dicono di essere orgogliosi – o fieri – di essere nati in Italia, direbbero lo stesso se fossero nati in Slovenia. L’eccezione, però, è quella lì. Gente con genitori turchi, polacchi, bosniaci, nigeriani, ghanesi, tunisini che sono andati via dai Paesi in cui erano nati perché la vita era peggiore, perché non avevano un lavoro, o non c’era da mangiare, perché non c’erano abbastanza libertà, o perché ne volevano delle altre. Pensavano, e hanno deciso, che la Germania fosse un posto migliore, dove vivere meglio. Per quello che mi riguarda tanto basta a farli più tedeschi degli altri.

(ovviamente io tifavo contro, e son contento che abbiano perso, perché i tedeschi, i quattro titoli che ci raggiungono, il baiermonaco, eccetera: forza Olanda, poi)

Naturalmente

Naturalmente tutti coloro che hanno predicato l’attenzione a non turbare la sensibilità dei mussulmani nella vicenda delle vignette su Maometto saranno davvero preoccupati – non bisogna turbare la sensibilità dei cattolici! – per ciò che riguarda questi provocatorî manifesti del Gay Pride di cui Roma è tappezzata. O no?

Naturalmente, invece, con le idee sbagliate non bisogna avere correità. Questo manifesto è esemplare, nella sua semplicità, senza fronzoli ruffiani: due uomini si bacino. Non c’è nulla di male. E ti deve entrare in testa.

Non c’è nulla di male a disegnare Maometto: e anche questo ti deve entrare in testa. Semplice, diretto, giusto.

Noi, tutti.

interesse 3 su 5

Ecco, quando dico che le lotte per i diritti degli omosessuali – e in parte quelle per i diritti delle donne – sono state fallimentari perché settarie, intendo proprio questo: quell’idea, diffusa fra le minoranze e fra chi subisce i soprusi, che le battaglie siano identitarie, che gli omosessuali vadano difesi dagli omosessuali, che alle manifestazioni contro il maschilismo debbano partecipare principalmente le donne.

È un concetto orribile di politica, perché valuta come unico sprone possibile quello egoista – cancellando, di fatto, l’idea che esista un metro per il giusto e lo sbagliato – facendo assurgere la difesa della categoria a indirizzo etico, e il potere di rappresentanza a diritto al diritto. E ciò è anche più meschino perché sottintende un’idea persino peggiore: che un omosessuale faccia quelle battaglie non perché le ritiene giuste, ma perché omosessuale. In fondo, se fosse eterosessuale, che gli importerebbe?

Anche dai più insospettabili, coloro che – giustamente – avvocano diritti umani per tutti, ho sentito dire: “un uomo non può capire cosa voglia dire essere una donna discriminata” o “un eterosessuale non può capire cosa voglia dire per un omosessuale essere discriminato”. E tutte le volte ho pensato: io, per nessuna ragione al mondo, ho meno voce in capitolo sulle sofferenze di quelle persone. Non c’è nessun motivo per pensare che leggendo notizie come questa, io soffra di meno di chi è omosessuale.

Sono brutture del pensiero, e per di più non funzionano: la ghettizzazione delle minoranze, proprio perché sono minoranza, è quanto di peggio si possa immaginare. Invece, in un paese civile, l’assenza di diritti per alcuni cittadini dovrebbe essere vista da tutti – e da ciascuno – come una privazione in proprio.

Perciò, a commento dell’efferata notizia di cui sopra, volevo mostrarvi questa foto:

È una coppia, un bianco e una nera, che tengono un cartello con scritto «un tempo anche il nostro matrimonio era illegale». Io la trovo commovente, perché vuole dire “noi abbiamo avuto questo diritto, ma non saremo contenti finché non ce l’avranno anche tutti gli altri. Tutti gli altri noi”.

Come faceva la canzone di quel ‘once‘? Sì, quella canzone. Quella che fece da base per tutte le battaglie per i diritti civili dei neri. Ve lo ricordate? Suonava proprio come quella foto, diceva davvero: We shall overcome.

We.
Noi, tutti.

We shall overcome

interesse 3 su 5

Qualche tempo fa feci un post – contro il burqa e perciò contro Daniela Stantanchè – per ricordare a me per primo che il problema è, effettivamente, la sinistra che è diventata uguale alla destra e difende i regimi islamici nel nome di concetti identitarî e dalle tinte fascisteggianti come il rispetto per le culture, ma non bisognarsi dimenticare il pericolo della destra più classica che maschera come proprie le battaglie giuste, nel mondo, mutuando da sé stessa quegli stessi concetti comunitaristi: ognuno ha ragione a casa propria.

È forse comprensibile avere più a cuore le aporie dei benintenzionati che trascurano i pericoli insiti nell’ideologia islamica, ma non bisogna dimenticare che ci sono anche i malintenzionati, quelli che fanno della propria ideologia religiosa – alternativa, ma non troppo lontana, dall’Islam – il cavallo con cui fare questa battaglia.

Fra questi, in Inghilterra spicca Melanie Phillips, accesa critica dell’Islam, ma contraria ai matrimonî gay, sostenitrice dell’insegnamento del creazionismo, e tutto il pedigree del populista destrorso moderno. Ovviamente Phillips sostiene che c’è bisogno di accartocciarsi sulla propria propria società, e sulla propria fede – lei è ebrea, ma è il medesimo discorso che fa Raztinger con il Cristianesimo – e sostiene che il secolarismo di sinistra è il principale nemico della società liberale perché inevitabile propugnatore di multiculturalismo e del relativismo culturale inteso come annichilimento di qualunque valutazione etica, anziché come promozione dello scetticismo illuminista.

A una presentazione di un libro le hanno chiesto come mai se – come lei sostiene – il secolarismo di sinistra e l’ateismo hanno indebolito l’Occidente promuovendo il relativismo morale, persone come Christopher Hitchens, Nick Cohen e Oliver Kamm sono in prima linea nella lotta contro l’appeasement verso l’Islam radicale. Lei ha risposto le solite sciocchezze à la Calderoli sulla Nostra-Cultura-Da-Difendere.

Ho trovato ficcante, invece, quello che le risponde Cohen:

Cos’è che impaurisce di più i clericofascisti? Cosa tirerà giù i Mullah in Iran e la famiglia reale saudita, Hamas e i Fratelli Mussulmani? Non sarà la diffusione del Cristianesimo nel Medio Oriente a farlo, ma la richiesta di democrazia, la libertà di parola, la libertà dalla persecuzione religiosa, e – più di ogni altra cosa – l’emancipazione delle donne.

In altre parole saranno le mie idee, a vincere la battaglia, non le sue.

La medesima conclusione che avevo espresso nel post che avevo citato sopra. Qui, invece, la risposta di Kamm

David Cameron sarebbe un genocida?

interesse: 4 su 5

In questo momento il nuovo Primo Ministro britannico, David Cameron, starà scrivendo – di proprio pugno – quattro lettere dal contenuto particolare, e assolutamente top secret. In queste missive ci sarà scritto qualcosa come “nel caso il Regno Unito sia distrutto da un attacco nucleare, esplodete le vostre testate e radete al suolo il nostro nemico” Firmato: David Cameron.

Proprio così: ogni primo ministro che prende ufficio in Gran Bretagna diventa il responsabile ultimo dell’uso dell’arsenale nucleare – il Programma Trident – e ha l’ultima parola in caso di qualunque tipo di attacco da dover effettuare. È, però, lo stesso Primo Ministro ad avere questo incarico, anche quando sia morto, ed è per questo che Cameron dovrà scrivere le sue ultime volontà indirizzate ai quattro comandanti dei sottomarini nucleari britannici nel caso che un attacco nucleare faccia fuori anche lui.

In ciascuno di questi sottomarini – poi – c’è una sicura, e all’interno di quella sicura c’è un’altra sicura, e all’interno di questa sicura c’è la lettera del Primo Ministro da aprire solo nel caso che il governo sia stato spazzato via da un attacco nucleare. Oramai è tutto perduto, il Regno Unito non esiste più, vendicarsi o non vendicarsi? Causare la morte di milioni di persone inutilmente, oppure rinunciare completamente all’uso di quelle testate perché oramai la Madre Patria è stata cancellata?

Per la stessa ragione, appena dopo, bruceranno le lettere con gli ordini di Brown: al termine dell’incarico di ciascun inquilino di Downing Street, quello strano testamento viene distrutto. Così non sapremo mai neanche quali siano stati gli ordini di Blair, Major o Tatcher, sebbene nessuno di questi sembri particolarmente disponibile alla conciliazione con una forza nucleare nemica che ha appena ucciso 60 milioni di concittadini, scrivente compreso. Si dice che proprio John Major considerasse la scrittura di queste lettere un compito così importante, da riservarsi un intero week-end per dare inchiostro ai proprî pensieri.

Di speculazioni sul contenuto delle lettere ce ne sono molte: gli storici ipotizzano che durante la guerra fredda contenessero i seguenti quattro ordini:

  1. Mettetevi agli ordini degli Stati Uniti d’America, se ancora esistono.
  2. Andate in Australia, se c’è ancora.
  3. Lanciate i vostri missili per distruggere il nemico contro il quale siamo in guerra.
  4. E, in ultima istanza, usate il vostro giudizio personale.

Come tutte le questioni di fantapolitica, le procedure in caso di attacco nucleare appassionano sempre se le si affronta in maniera solamente speculativa, senza focalizzarsi sull’oggetto concreto della propria speculazione: come nel caso del Designated Survivor, il membro del governo USA che viene portato in una località segreta a ogni evento a cui sia presente tutto il governo – compresi Presidente e Vice-Presidente – per garantire la linea di successione presidenziale in caso di evento catastrofico che faccia fuori tutti gli altri membri.

Ma qui c’è di più della speculazione e l’amore per il nozionismo: c’è una questione filosofica – o quantomeno di filosofia politica – molto interessante che ricorda la Teoria del Pazzo di Nixon. L’utilità dichiarata del possedere un arsenale nucleare è quella della deterrenza, ma se  un attacco c’è già stato la deterrenza – semplicemente – non può più esistere. Mettiamoci nei panni del comandante di uno si questi sottomarini: il proprio Paese è stato annientato, compreso tutto il governo e tutta la sua famiglia, non c’è più nessuno a cui fare riferimento, lanciare l’attacco sarebbe del tutto inutile, nonostante questo voglia dire che il genocidio di 60 milioni di persone – o più – rimarrebbe impunito. Si può parlare di senso di giustizia, in questa direzione? No di certo.

E quindi noi vogliamo sperare che nelle lettere che si sono avvicendate, scritte dai varî primi ministri non ci fosse mai scritto “vendicatevi!”. Eppure, quando pensiamo al nemico che potrebbe distruggerci con le sue testate nucleari, e che non lo fa per paura della vendetta, beh, pensiamo sia meglio che il nemico creda che – in realtà – il nostro Paese sia disposto a usarle. Altrimenti a cosa servirebbe il concetto stesso di deterrenza?

Così c’è questa contraddizione, forse solo apparente, in cui noi vogliamo sperare – per noi – che chi ci guida non voglia essere responsabile di un genocidio, ma vogliamo che gli altri immaginino, eccome, che questi sarebbe pienamente in grado di esserlo.

Roscio Malpelo

interesse 3 su 5

Immaginate una società – non così lontana da noi, come dimostra Giovanni Verga – in cui le persone con i capelli rossi (rosci, a Roma) siano considerate maligne, in qualche modo diaboliche e contrarie al naturale corso della specie che ci vuole tutti castani, neri – o al massimo biondi. Pensate che queste persone, considerate un virus per la società, siano perseguitate dalla società, torturate, uccise.

Immaginate che a causa di queste persecuzioni i rosci comincino a nascondersi, e per sfuggirvi tentino di occultare il vero colore dei proprî capelli nelle maniere più disparate, tingendosi, rapandosi a zero, usando una parrucca: tanto che alcuni finiscano per convincersi di essere nati con i capelli neri.

Immaginate che, dopo diversi anni, si affermi un movimento di rosci e non, che rivendichi gli stessi diritti anche per i rosci rispetto a tutte le altre capigliature: a chi ha i capelli rossi vengono ancora negati alcuni diritti fra i più elementari, come quello di sposarsi o avere dei bambini – lo so, lo so, che ora avete capito, ma seguitemi – e che le persone comuni, per fare un esempio, siano spaventate all’idea che nasca loro un figlio roscio: sarebbe una sciagura!

Immaginate, ora, che piano piano i pregiudizî nei confronti dei rosci si vadano erodendo anche grazie alla scoperta di alcune figure simboliche che riconoscano di essere rosce, si tolgano la parrucca, e comincino a dimostrare che – per tutti gli altri – il loro colore di capelli non cambia niente. Pensate a quanto è potente, per le persone comuni, il rendersi conto che quella persona, roscia, è la stessa che prima stimavano.

Cosa pensereste se una di queste persone in vista, coi capelli rossi, volesse continuare a tenere in testa la sua parrucca marrone? Non pensereste che, in una piccola misura, sbaglia perché asseconda il pregiudizio altrui? Non pensereste che, in qualche modo, la sua neutralità, il suo non volere permettere che questa battaglia passi fin dentro alle sue fibre, siano un piccolo danno per la causa di tutti quelli che hanno i capelli rossi?

Per questo ha ragione Ivan, e ha ragione Sullivan. Certo che Kagan ha diritto alla propria riservatezza, ma l’etica è esattamente rinunciare a qualcosa che ci spetta, per aiutare qualcun altro. È un comportamento etico rinunciare a un week-end al mare per dare quei soldi in beneficenza, è etico assistere un anziano che sta attraversando la strada anche se ci fa perdere del tempo. Per quanto in entrambi i casi sia perfettamente legittimo fare il contrario.

Certo, nessuno sta parlando di puntarle un coltello alla gola per farla confessare: ognuno è padrone delle proprie decisioni. Ma gli altri sono padroni delle proprie opinioni su quelle decisioni, ed è legittimo e auspicabile sperare in una decisione – più giusta – rispetto a un’altra. E si può pensare che, se decidesse di non essere prigioniera dei pregiudizî altrui, sarebbe una persona migliore.